Un approccio interculturale e interreligioso, racconti di vita personale, una posizione netta frontale contro ogni guerra, a cominciare da quella israelo-palestinese, sono questi tre dei principi guida con cui Bulfaro ha scritto questo editoriale che introduce al numero 12 di Poetry Therapy Italia, il quale è interamente dedicato a come poesia e morte, insieme, possano far fiorire in noi benessere. Nel contempo si indica la poesiaterapia come possibile via di un processo di guarigione spirituale.
In classe fa irruzione la morte
rivela segreti ai bambini
che improvvisamente crescono
portano i volti dei padri
dai piatti in frantumi fanno case per i fratelli piccoli
dalle gole esce un rantolo:
sono in cielo
sono in cielo.
Da 32Kg (vv. 12-19), Batool Abu Akleen
Ci sono luoghi sulla Terra dove le persone che ci vivono arrivano a pensare che l’unica soluzione per non soffrire più sia quella di essere uccise o uccidersi. Ci sono luoghi sulla Terra, come oggi lo è la Palestina, dove l’uso di parole come “massacro, strage, annientamento, eccidio, distruzione, uccisione, scempio, liquidazione, abbattimento, carneficina, macello, genocidio, ecatombe”, appare inadeguato per difetto, rispetto a quanta morte e paura della morte, degli esseri umani arroganti stanno infliggendo a propri simili, specie se prossimi. Noi una Terra così non la vogliamo. Questa è la strada che nessun essere umano mentalmente sano dovrebbe imboccare. Volerla percorrere è da ricovero in psichiatria. Perseguirla è da criminali.
Le guerre arabo-israeliana, russo-ucraina e israelo-iraniana, la guerra civile in Myanmar, il conflitto nel Maghreb e nel Sahel, la guerra civile in Sudan e tutte le altre cinquanta e passa guerre adesso in atto nel Mondo (vedi ACLED – Armed Conflict Location and Event Data e IEP – The Institute for Economics & Peace) che rendono infernale un luogo come la Terra – che sulla carta potrebbe essere un Paradiso per tutte le sue creature viventi – ci dà la misura di quanto involuto sia l’uso della nostra intelligenza e rinsecchito sia il nostro cuore, quanto macroscopica sia la nostra stupidità e senza freni sia il nostro delirio di onnipotenza che esercitiamo, per mera autoproclamazione, su tutte le altre specie animali/vegetali e su una casa, la Terra, che è di tuttə e che dunque non dovrebbe essere proprietà di nessuno.
Noi in questo numero 12 di PTI (Poetry Therapy Italia) siamo partiti dalla morte, la foce di un fiume, per ritrovare risalendo la montagna, il senso del corso della vita e riscoprire la sua sorgente. Dovremmo tuttə, come Batool Abu Akleen, “fare pace con la morte”, impiegando la poesia “per tradurre noi stessi”. Se c’è un messaggio corale a cui questo numero di PTI dà forma è la necessità – lo dico in senso metaforico – di imparare a trasformare in fiore la nostra relazione con la morte.
Nulla più della morte ci pone di fronte alla prima delle quattro nobili Verità che stanno alla base dell’insegnamento del Buddha: “la vita è dolore”. La morte è ciò che più di ogni altra esperienza genera in noi il massimo dolore. Nulla più della morte ci può far comprendere l’origine del dolore. Nulla più della morte ci può spronare a trovare la nostra strada affinché il dolore cessi, se non definitivamente quantomeno temporaneamente. Nulla più della morte ci può guidare a trovare la via per trasformare il dolore in un fiore. “Dolore” che, almeno nella lingua italiana, fa rima elettivamente con “fiore” o più specificatamente fa rima, quando il dolore fiorisce in noi dalla morte, con la bellezza elegante del “crisantemo”.
Quale può essere la via eletta per far sì che l’esperienza della morte diventi un’occasione decisiva di trasformazione curativa? La poesiaterapia può rappresentare una possibile via eletta. Lo affermo sulla scorta di tante esperienze vissute in prima persona, ma lo dico anche alla luce degli articoli che compongono questo numero di PTI, il quale con i suoi ben ventisette articoli prova a rispondere alla domanda: “La poesia può trasformare la morte in fiori?”.
Personalmente a questa domanda vorrei rispondere con un fatto concreto: mio padre è morto l’11 aprile 2018, dopo essere stato investito in bicicletta da una automobilista. Dalla sua tragica e improvvisa morte è nato il 1° febbraio 2020 un profumatissimo fiore: la sede di PoesiaPresente – Scuola di Poesia. La tomba che ho progettato per lui (e per mia madre quando morirà) si intitola “AMA”, parola speculare, palindroma, composta da due A, due inizi/persone a formare un ideale cerchio, e da una M, lettera liquida, portatrice di piena interna dolcezza. La tomba, metaforicamente, ma anche alla lettera, rappresenta concretamente una risposta al titolo di questo numero 12: “Sì, la poesia ha il potere di trasformare la morte in fiori. Ogni tomba, sia essa monumentale o croce bianca anonima, poeticamente ne è la concreta dimostrazione”. In questo caso la parola “AMA”, fiorita dalla terra dov’è seppellito mio padre e come ornata di fiori e fogliame sempreverde, sembra sbocciare direttamente dalla bocca di mio padre morto, il quale pare esorti ogni passante nel cimitero ad amare.
Come meglio potremmo spendere la nostra vita se non amando? “Ama il prossimo tuo come te stesso” (La Bibbia, Vangelo di Marco 12,29-31 e Vangelo di Matteo 22,37-39), credo sia uno dei più fondativi comandamenti d’unione concepiti dall’essere umano e al contempo uno tra i più sconfessati dal comportamento della nostra specie.
Batool Abu Akleen nella sua breve e intensa nota racconta che le poesie di 48Kg “sono arrivate dopo mesi in cui ho rifiutato di scrivere, pensando che la poesia non può cambiare il mondo. Ma le conversazioni con molti amici mi hanno convinto dell’importanza di dare forma a quello che sentivo per poterlo meglio capire”.
Umberto Saba nella sua composizione Il poeta assegna al poetare un ruolo ancora più minimale eppure altrettanto salvifico:
Io non so amare,
io non so fare
bene che questa cosa,
cui dava a me la vita dolorosa
unico scampo.
(...)
La poesia non ci salverà dalla morte fisica, anche se spesso, nei secoli, gli esseri umani le hanno consegnato il potere e il ruolo di rendere immortali versi e poetə, nonché le storie e le persone da loro narrate. La poesia non ha mai fermato né mai fermerà l’emorragia di poetə suicidə, tantomeno, quindi, può essere capace di eliminare il milione circa annuo di persone che muoiono per suicidio, andando a definire un tasso “globale” di mortalità di sedici casi ogni 100.000 persone (dato Ministero della Difesa Italiano).
La poesia da sola non può farcela a curare tutto il dolore e le sofferenze che sempre più intrappolano il mondo intero.
Ma nemmeno gli psicofarmaci ci sono riusciti né ci riusciranno mai.
Né c’è riuscita o ci riuscirà mai una sola medicina o visione allopatica, omeopatica, o olistica.
Nulla da solo porterà il benessere sperato per ogni creatura vivente di questa Terra. Affinché ci si incammini nella direzione del benessere condiviso serve comporre una società migliore, vale a dire, in reale profondo ascolto di sé, empatica con l’altro, capace di attivare un costante mutuo soccorso, fiduciosa, capace di astenersi dal giudizio, attenta a mantenere un rapporto equilibrato tra “dare e ricevere” con l’altro, sia questo “altro” da noi, una persona, un insetto, la Terra…
Siamo esseri mortali noi umani, e mortali è bene che si resti, con tutto ciò che di limitato e infinito questa condizione di mortalità comporta. Franz Kafka in Quaderni in ottavo (1916/18), aderisce paradossalmente alla effimera natura umana affermando che “teoricamente esiste una possibilità di essere felici in modo assoluto: credere nell'indistruttibilità in sé e non cercare di aspirarvi”.
La poesia, come le altre arti, da sempre fa la sua parte per rendere il mondo migliore e, dunque, più felice. Oggi però è chiamata a offrire il suo contributo fino in fondo. Mai come oggi la poesia, attraverso lo sviluppo della Poesiaterapia, può e deve svolgere in questo senso un ruolo decisivo. La poesia di un singolo poeta è vero – hanno ragione Cesare Pavese e Patrizia Cavalli – non può cambiare il mondo, ma la poesia di migliaia di poeti di tutto il mondo può cambiarlo; la poesia, che ogni singolo essere umano può attivare dentro di sé, può farlo. Più di 8 miliardi di esseri umani che vivono poeticamente, con la massima cura, la relazione con se stessi e il mondo, questa Terra nostra, possono cambiarla, in meglio e di tanto.
Negli ultimi anni si registrano a livello mondiale circa il doppio delle nascite di esseri umani rispetto a quanti ne muoiono. La popolazione mondiale di esseri umani che attualmente supera gli 8 miliardi, nei prossimi decenni – lo dicono i maggiori esperti di scale demografiche – non cesserà la sua corsa al rialzo. Questi dati, siano essi interpretabili in modo opposto, ovvero come quadri iniettori di speranza o scenari apocalittici, non mitigheranno affatto la nostra personale sofferenza per la morte di un nostro caro, né ci allarmeranno a sufficienza (come dovrebbero) circa l’esaurimento delle risorse del nostro pianeta. Perché queste informazioni non incidono nella condotta della nostra vita quanto, teoricamente, dovrebbero? A rigor di logica o anche solo per buon senso, dovrebbero modificare profondamente il nostro comportamento, ma di fatto le forme di astrazione della morte, in genere, difficilmente hanno la forza di incidere sulla nostra vita. Le esperienze che veramente incidono sul nostro vissuto psicologico sono quelle che coinvolgono interamente e direttamente il nostro corpo e quindi la nostra vita, secondo i confini fisici e psichici con cui tracciamo e percepiamo la nostra identità. Specialmente se queste esperienze vengono percepite come fonte di pericolo e, ancor di più, come minaccia di morte incombente di ciò che percepiamo come nostra identità. Infatti, i percorsi di Poesiaterapia più efficaci in termini di trasformazione di stati di malessere in stati di benessere, sono quelli che coinvolgono nel cambiamento interamente e direttamente il corpo in cui la persona si identifica – e molti articoli qui inclusi lo testimoniano – riconfigurando una visione integrata e armonizzata della relazione vita-morte.
Per alcuni che muoiono soffro, per altri non soffro, per altri ancora resto addirittura indifferente. Perché funzioniamo in questo modo? Lo ha spiegato molto bene 2.500 anni fa il Buddha: l’attaccamento alla nostra vita, o l’attaccamento a quella data persona/gruppo/oggetto/pensiero, è la causa prima del nostro dolore. Da aprile 2025 quante persone, animali, piante, sono morte solo in Italia? Un numero imponderabile. Quante di queste mi hanno toccato dolorosamente con una certa intensità? Quattro. Nel mese di aprile 2025, oltre alla ricorrenza della morte di mio padre, ci sono state personalmente almeno due morti di persone care a cui vorrei rendere onore e restituire tutto l’amore che per loro provo: Papa Francesco e la filantropa Pina Antognini della Fondazione Pasquinelli di Milano. Nel mese di giugno sono morte Angela (vicina di casa dirimpettaia di ballatoio) e Mimina (madre di Deka amico morto giovanissimo di tumore), due persone che certo hanno vissuto la vecchiaia, ma con cui ho intrecciato giorni, parole, sguardi alla finestra… Ognuno ha, inevitabilmente, i propri cari da piangere e a cui riservare una seggiola nel proprio cuore. Le professioni di cura, poesiaterapia compresa, educando all’ascolto empatico, alla pietas, alla compassione, allargano all’infinito la casa del cuore e il numero di seggiole per cui comprendere l'altro da noi.
Se si osservasse con attenzione la Natura e i nostri cimiteri, anche solo per la presenza simbolica dei fiori sulle tombe, non dovrebbero mancarci esempi concreti per comprendere che la morte fisica sia il miglior terreno fertile per la nascita e fioritura della vita. Ciò che manca è comprendere che “la bocca parla secondo l’abbondanza del cuore” e la via della poesiaterapia, si fa eloquentemente virtuosa quando sa accogliere e armonizzare dentro di sé tutte le parole, tutti i silenzi e tutti i gesti, senza pregiudizi, preconcetti o stereotipi, poggiandosi su un approccio interreligioso e interculturale, come ho imparato (e ne ho avuto conferma leggendo Frank Ostaseski) nell’hospice Santa Maria delle Grazie di Monza, nel periodo in cui accompagnavo i malati terminali alla fine della loro vita, nel ruolo di volontario che impiegava i fiori benèfici della poesia.
Immagino che ogni parola di questi ventisette articoli si riveli essere per i lettori una coperta o un mantello. I numeri 11 e 12 di “Poetry Therapy Italia”, intimamente legati fra loro, forse ancor più di tutti gli altri precedenti numeri, sono nati dal desiderio di non lasciare sola nella sofferenza nessuna persona, specie se la causa di questo dolore è un lutto, una perdita, una morte. Questi due numeri, in maniera del tutto accidentale, senza alcuna programmazione da parte nostra (ed è questo l’aspetto sconvolgente che ha fatto venire la pelle d’oca per primi a noi della redazione), sono legati perfettamente a due anniversari di morte: il numero 11 è uscito l’11 aprile 2025, dopo infiniti slittamenti che in modo del tutto casuale ci hanno portato a pubblicarlo esattamente sette anni dopo la morte di mio padre; il numero 12 in modo altrettanto non preventivato, dopo altrettanti slittamenti, lo pubblichiamo online il 23 di giugno, esattamente un anno dopo la morte di Gabriella Sacchi, l’artista che con le sue ceramiche scritte a pennello, ha dato argilla, pigmento e immagini con fotoceramiche a questo numero. Sia per queste due ricorrenze mortuarie, casuali e coincidenti, sia per come sono maturate, ci sarebbe da restare scioccati, se quelle che Jung ha chiamato sincronicità non mi accadessero tanto di frequente.
Nessuno è esente dal dolore. Per quanto una persona possa mantenere un certo distacco, coltivare dentro di sé una prossimità consapevole e compassionevole per il dolore che prova l’altro (o provi tu in prima persona), significa accogliere il dolore, farsi, a partire dal dolore, seme, petalo, afrore.
Scrive Kafka nelle sue “Lettere a Milena” Jesenská, giornalista, scrittrice e traduttrice ceca, amante di Kafka, poi morta nel Campo di concentramento di Ravensbrück, il 17 maggio 1944:
Lo scrivere è ora una faccenda singolare: Lei deve – quando mai non ha dovuto? – aver pazienza. Da anni non ho più scritto a nessuno, in questo punto ero come morto, mancanza di ogni bisogno di comunicazione, come se io non fossi di questo mondo ma anche di nessun altro; era come se per tutti gli anni avessi fatto soltanto di straforo ciò che era richiesto e in realtà fossi stato soltanto in ascolto per sentire se ero chiamato, finché poi la malattia mi chiamò dalla camera attigua e io vi entrai e sempre più fui suo. Ma è buio, nella camera, e non si sa neanche se sia la malattia. In ogni caso mi divenne molto difficile pensare e scrivere, talvolta nello scrivere la mano scorreva vuota sulla carta e così anche ora, non parliamo del pensare (ammiro sempre stupefatto la rapidità fulminea del Suo pensiero, il modo in cui si addensa una manciata di periodi, e vi cade il fulmine), in ogni caso deve aver pazienza, questa gemma si apre lentamente, ed è gemma soltanto perché così chiamiamo ciò che è chiuso.
Perché scrivere e raccogliere così tanti articoli su come la poesia e le altre arti possano aiutarci a relazionarci con la morte, con il suicidio, con la finitudine, con l’aspetto più connotante dell’umano, l’essere mortale? Perché ogni creatura vivente è una gemma, che si può schiudere solo se si ha pazienza. E le scritture raccolte in questo numero sono tutte state modellate con estrema cura e pazienza. Sono tutti articoli gravidi di pensieri ed esperienze vivificanti.
Per non soffrire non dobbiamo diventare anaffettivi o insensibili. Queste naturali forme emotive e percettive anestetiche, sono comunque anch'esse portatrici di dolore. La paura di soffrire o il terrore di morire non ci devono pietrificare, come se queste due paure fossero due personificazioni della Medusa o della Gorgone. Secondo il Buddha nascita e vita attivano un inevitabile rapporto con il dolore e la morte, al pari di come sono intrecciati i fili d’erba verde ai fili d’erba bruni e secchi in ogni istante della nostra esistenza!
La morte può essere mortifera o vitale, così come la vita può essere mortifera o vitale. Kali è una dea indù, figura potentemente immaginifica, spesso associata alla distruzione, al tempo e alla morte, ma anche alla trasformazione e al rinnovamento. Educhiamoci, attraverso la cura, a essere mitologiche Fenici, che sanno rinascere dalle proprie ceneri; educhiamoci con la “cura” a incarnare il “sakura”, il fiore di ciliegio, simbolo di rinascita così iconico della letteratura e cultura giapponese.
Un pensiero morto è un pensiero incurante, che ripete se stesso, come un'automobile che gira continuamente in una rotonda poiché non sa bene quale uscita imboccare e dove andare, ma ha l’illusione di andare da qualche parte. Credi di andare chissà dove ma stai solo correndo su un tapis roulant e non lo sai. Suoni come un disco rotto e non lo sai.
Un pensiero vivificante, lo riconosci subito perché è dissetante come l’acqua fresca di fonte.
(…) e io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l'incubo
della luce come un vino smagliante
Così scriveva lucidamente nei primi anni Sessanta Pier Paolo Pasolini nel componimento Poesie mondane, avendo chiaro, come nessun altro intellettuale del suo tempo, quanto dell’Italia e degli italiani stesse morendo, nel carnascialesco boom economico, fra slogan infarciti di parole come “sviluppo” e “libertà”, che in realtà generavano solo nuove forme di “fascismi” e “omologazioni” travestite e infiltrate nel gran carro democratico dell’Italia Repubblicana.
Ecco, a me pare che questo numero di Poetry Therapy Italia, voglia dire a quasi cinquant’anni dalla morte di Pasolini (2 novembre 1975), qualcosa di molto diverso: “ed io, puntuale all’appuntamento con la morte e vita vera, bevo il sogno del buio come fosse un fiore smagliante”.
Bibliografia
Abu Akleen Batool, 48Kg, Tenement Press, UK, 2025 (in uscita)
Kafka Franz, Lettere a Milena, trad. di Ervino Pocar. Introduzione di Cinzia Calcagnile, Mondadori, Milano, 1979.
Kafka Franz, Quaderni in ottavo, a cura di I.A. Chiusano, SE, Milano, 1991; Feltrinelli, Milano, 2018.
Ostaseski Frank, Saper accompagnare, Mondadori, Milano, 2023.
Pasolini Pier Paolo, Poesia in forma di rosa (1961-1964), Garzanti, Milano, 1964.
Saba Umberto, Preludio e canzonette, Edizioni di Primo tempo, Torino, 1922.
Sitografia
ACLED – Armed Conflict Location and Event Data
IEP – The Institute for Economics & Peac
Ministero della Difesa italiana
Dome Bulfaro (1971) poeta, performer, artista visivo, editore, docente di Poesiaterapia e formatore, si dedica alla poesia (di cui si sente un servitore) e all’arte ogni giorno dell’anno. È uno degli autori italiani più attivi e decisivi nel divulgare e promuovere la poesia performativa ed è il principale divulgatore in Italia della Poetry Therapy/Poesiaterapia.
Ha fondato ed è direttore di Poetry Therapy Italia (2020), rivista di riferimento della Poesiaterapia italiana. Ha fondato e dirige (con Simona Cesana) PoesiaPresente – Scuola di Poesia (2020, Monza), prima scuola italiana di poesia performativa, scrittura poetica e poesiaterapia, prima in Italia a proporre corsi di formazione per Facilitatori/ici in Poesiaterapia.
Dal settembre del 2024 fa parte del board del Journal of Poetry Therapy (USA); nell’ottobre 2024 ha preso parte alla 1st European Biblio/Poetry Therapy conference 2024 (Budapest) come referente per la Poesiaterapia italiana.
(Foto Giuseppe Ruscigno)
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