L’editoriale introduce al presente n. 9 di Poetry Therapy Italia che risponde esplicitamente e implicitamente alla domanda La poesia è sempre terapeutica? Le risposte sgomberano il campo su numerosi, infondati, luoghi comuni circa l’aspetto terapeutico del bello, delle arti e, nello specifico, della poesia.
Non si è mai visto che una poesia abbia cambiato le cose.
Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi[1]
Sarebbe stata d’accordo con Pavese anche Patrizia Cavalli, convinta sostenitrice che “le mie poesie / non cambieranno il mondo”, due versi che oramai rappresentano il suo marchio di fabbrica. Eppure sia lui, sia lei, dopo aver composto questi versi/riflessione, non hanno cessato di scrivere poesie. Perché? Come si coniuga questo pensiero con il ruolo, antitetico e profetico di “salvatrice del mondo”, che tanti altri poeti/e hanno affidato e attribuiscono alla poesia? Quale delle due posizioni afferma la verità? Sempre che ci sia una verità e ci sia una reale opposizione… Forse, in modo balbettante, questo numero 9 di “Poetry Therapy Italia” cerca di snodare un poco anche questi grovigli.
Era impresa assai complessa, fino alle prime due decadi del Duemila, accedere in una struttura ospedaliera italiana con un percorso di poesiaterapia: non era per nulla scontato far comprendere a un medico primario, quanto il netto miglioramento del quadro clinico di un paziente, potesse dipendere anche dalle Medical Humanities, pratiche dove le scienze umane-sociali e le discipline del settore biomedico entrano in sinergia per curare la malattia secondo un approccio integrato, considerando sia la persona nella sua interezza, sia l’esperienza della malattia di un paziente, come un tempo in cui egli può ritrovare una piena connessione con il proprio sé.
Negli ultimi due anni, quella resistenza quasi totalmente refrattaria al cambiamento che noi di Mille Gru, fino a pochi anni fa riscontravamo all’interno del mondo della Sanità italiana, oggi non la registriamo più. In particolare in seguito all’epidemia di covid, stiamo assistendo a un vistoso cambiamento mentale e culturale: le mosche bianche di dottori “illuminati” si stanno moltiplicando e riescono a muoversi all’interno di un habitat medico sempre più favorevole; oggi il personale ospedaliero è più ricettivo e anzi non mancano casi - vedi Biella[2], Monza[3], Vimercate (MB)[4], Omegna (VCO)[5] solo per citare i più recenti - dove abbiamo avvertito la fame di apprendere come la biblio/poesiaterapia possa migliorarli nella loro professione di cura e come persone.
Tuttavia, insieme al cambiamento positivo del clima culturale in cui agiamo, si stanno affacciando anche nuove problematiche ed effetti collaterali tra cui “quello che chiamo la pericolosa beatificazione della poesia in corso”[6]. Con questa frase non intendo affermare che la poesia non vada anche beatificata, dico che bisogna tenere insieme, ovvero nello stesso respiro, “luce, pausa e fango”.
Nello stesso respiro bisogna tenere ciò che è poesia per Amiri Baraka, attivista e icona della rivolta afroamericana,
Questa nazione e questo mondo hanno
un bisogno disperato dei valori umani
più profondi che la poesia può insegnare.
È quello che Keats e Du Bois chiedevano ai poeti di fare,
portare Verità e Bellezza.
Illuminare la mente umana, e portare luce nel mondo.
Poetate![7]
con il “non so” sospeso della Wislawa Szymborska,
La poesia –
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.[8]
ciò che dice della poesia Roberto Bolaño
Si può conquistare una ragazza con una poesia, ma non la si può tenere con una poesia.
con ciò che dice Ungaretti della parola, sia essa poetica o meno,
La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina.[10]
È che noi esseri umani – poeti o altri tipi di artisti inseguitori di Bellezza – “siamo poveri diavoli, poveri commedianti che andiamo intorno per buscarci il pane!”[11] (Verga) e siamo, al contempo, maniacalmente arsi dall’ispirazione divina (Socrate, per bocca di Platone):
V’è una terza forma di esaltazione e delirio, di cui sono autrici le Muse. Questa, quando occupa un’anima tenera e pura, la sollecita e la rapisce nei canti e in ogni altra forma di poesia, e celebrando le infinite opere del passato, educa i posteri. Ma chi giunga alle soglie della poesia senza il delirio delle Muse, convinto che la sola tecnica lo renda poeta, sarà un poeta incompiuto e la poesia del savio sarà offuscata da quella dei poeti in delirio.[12]
L'avvenuta pubblicazione di ogni numero di Poetry Therapy Italia, pare a noi di Mille Gru, l’ennesima follia di un manipolo di sognatori, spinti dal desiderio di essere ogni volta migliori di ieri, più preparati nella teoria e nella pratica della poesiaterapia, più consapevoli, più amorevoli, più degni di queste due semplici quanto straordinarie parole: essere umani.
Da qui la necessità di comprendere sempre meglio la poesia, le parole e i loro poteri, con il fine di utilizzare al meglio in senso terapeutico quelli che sono i due strumenti essenziali della professione di poetaterapeuta. Questa volontà caparbia di comprensione trasuda sia in tutti gli articoli riuniti nel focus, che rispondono direttamente alla domanda La poesia è sempre terapeutica?, ma emerge anche in tutti i contributi che compongono l’intero numero 9 di Poetry Therapy Italia: dalla prima edizione del Festival Internazionale di Poesiaterapia (Manzalini, Bulfaro), alla prima uscita pubblica della BIPO - Associazione italiana di Biblioterapia (Dalla Valle, Monge), dalla valorizzazione del “terapoeta” Antonio Bertoli (Papp, Pozzani) all'esperienza della “poesia come terapia” con i più fragili (McKibbens, Turroni), dalle esperienze personali di come la forma dello haiku ci possa venire in aiuto (Sacco, Acquaviva, Tavernati, ma anche Mazzilli) a come possa farlo l’ecopoesia della Poetura (Haberland, Bulfaro), dalla terapia familiare nella poesia (Papp) alle recensioni che hanno trovato “le parole per dirlo” (Pent, Zazzaroni, Canzi), dal “pugile interiore” dei Colpitori che mette KO le avversità della vita (Guglielmini, Bulfaro) al saper trascendere ogni modello (Papp), per incontrare ciò che unisce ogni relazione di cura: l’altro in noi stessi.
Il presente numero si distingue da tutti gli altri precedenti per una voluta anomalia: include ben 3 manifesti, uno dei quali rimanda in modo antagonistico a un quarto: il primo e storico Manifesto del Futurismo (6-20 febbraio 1909).
Il Manifesto della Rivoluzione poetica (30 giugno 2002), di Ferlinghetti, Jodorowsky, Bertoli, Pozzani, Costa, Giannoni, Ganz, oltre alla sua forza eversiva, ci offre degli indizi illuminanti su quanto sia stato importante, pur lavorando spesso sottotraccia, Antonio Bertoli, poeta che della frase finale “la migliore opera d’arte è la nostra vita” ne ha fatto il suo personale scopo. Il Manifesto della Poetura (scritto nel marzo 2021 e pubblicato il 20 febbraio 2020) viene qui pubblicato per la prima volta anche in inglese, per inaugurare l’omonima rubrica con cui Tania Haberland ed io vogliamo continuare il nostro lavoro di divulgazione e ricerca artistica legata all’ecopoetica. Il Manifesto dei Colpitori (scritto il 2 febbraio 2023 e pubblicato il 21 marzo 2023), che nasce “come forma di difesa in reazione a questa società liquefatta a cui serve tracciare nella terra i propri ring”, facendo sì che le avversità che il mondo ci pone di fronte, diventino opportunità di scoprire in noi stessi ciò che credevamo non potessimo essere.
Tre manifesti che, oltre a riportare in auge una forma letteraria che negli ultimi decenni aveva perso la sua dirompente forza espressiva, ci dicono di quanto sia importante oggi tracciare dei ring (“anello” in inglese) e cavare dai noi stessi tutte le risorse che abbiamo a disposizione per costruire una circonferenza comune dove ogni punto, nella distanza dal centro, è uguale e ha pari valore.
Molti grandi uomini, ma anche molti grandi animali e piante, ci hanno insegnato che non si può avere pace fuori di noi se non si ha pace dentro di noi. Mario Luzi ci ricorda che la notte non viene mai da sola, la notte viene col canto, quando “la canzone non ha più parole”:
La salvezza sperata così non si conviene
né a te, né ad altri come te. La pace,
se verrà, ti verrà per altre vie
più lucide di questa, più sofferte;
quando soffrire non ti parrà vano
ché anche la pena esiste e deve vivere
e trasformarsi in bene tuo ed altrui.
La fede è in te, la fede è una persona.
Questa canzone non ha più parole.[13]
[1] Cesare Pavese (1952), Il mestiere di vivere, Torino: Einaudi.
[2] L’ultimo convegno “Pensieri Circolari” organizzato dall’ASL di Biella (BI) ℅ Città Studi Biella, il 13 - 14 ottobre sul tema “Per un approccio creativo e poetico nelle relazioni di cura” è stato un grande successo non solo di pubblico, ma di attenzione e atmosfera di cura. La direzione di questo prezioso convegno a cadenza biennale e del Dott. Vincenzo Alastra.
[3] Segnali molto positivi di apertura li abbiamo raccolti anche nel convegno “Dolci cose a udir e dolci inganni. Risorse, benefici e insidie del linguaggio poetico”, avvenuto il 7 ottobre 2023 a Monza, promosso dalla commissione psicoterapia dell’Ordine dei medici di Monza e Brianza e curato dallo psichiatra Mattia Morretta.
[4] L’ospedale di Vimercate ha fatto da sede alla giornata del “Convegno internazionale di Poesiaterapia” (16 dicembre 2023) incluso nel Festival Internazionale di Poesiaterapia (14-17 dicembre), organizzato da Mille Gru, in collaborazione con l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale (ASST) della Brianza e la BIPO – Associazione Italiana Biblioterapia e Poesiaterapia.
[5] Ci si riferisce in particolare alla giornata di formazione per impiegare la poesiaterapia con malati di Alzheimer, tenuta il 25 marzo 2023 da Paola Perfetti e dal sottoscritto, intitolata: “Acchiapparicordi: La poesia per contrastare l’Alzheimer” (progetto Mille Gru), organizzata a Omegna per l’Asl VCO a Omegna, dalla Dott.ssa Daniela Morabito, geriatra (e la collaboratrice di alcuni caffè Alzheimer del territorio), e Luisanna Cavestri, assistente sociale e responsabile del Promemoria Caffè del Cusio.
[6] Dall’articolo omonimo La poesia è sempre terapeutica? pubblicato nel presente numero di Poetry Therapy Italia.
[7] Baraka Amiri (2018), Poetate. La poesia è rivoluzionaria, traduzione in it. Giancarlo Carlotti, Sandrina Murer, Milano: Shake.
[8] Stralcio tratto “Ad alcuni piace la poesia” in: Wislawa Szymborska (1997), La fine e l’inizio, trad. it. Pietro Marchesani, Milano: Scheiwiller.
[9] Bolaño Roberto (2009), I detective selvaggi, Palermo Sellerio.
[10] Ungaretti Giuseppe (1961), in “Incontro con… Giuseppe Ungaretti”, Ettore Della Giovanna (a cura di), trasmissione televisiva, RAI.
[11] Verga Giovanni (1887), Vagabondaggio. Firenze: G. Barbera.
[12] Platone (2017), Fedro, trad. G. Giannantoni, Greve in Chianti (FI): Harmakis Edizioni, passo 245a1-8.
[13] Luzi Mario (2014), stralcio da “La notte viene col canto” in: Le poesie, Milano: Garzanti.
Dome Bulfaro (1971), poeta, esperto di poesiaterapia, si dedica alla poesia (di cui sente un servitore) ogni giorno dell’anno. È tra i più attivi e decisivi nel divulgare e promuovere la poesia performativa; ed è il principale divulgatore in Italia della poetry therapy/poesiaterapia. Dal 2021 è docente di Poesiaterapia e Lettura espressiva poetica presso l’Università degli Studi di Verona, nel pionieristico Master in Biblioterapia. Nel 2013 ha ideato e fondato con C. Sinicco e M. Ponte la LIPS - Lega Italiana Poetry slam. Nel 2023, ha ideato e fondato con M. Dalla Valle. P. M. Manzalini e I. Monge la BIPO - Associazione Italiana Biblioterapia e Poesiaterapia, prima associazione di categoria. Ha fondato e dirige Poetry therapy Italia (2020), rivista di riferimento della Poesiaterapia italiana. Ha fondato e dirige (con Simona Cesana) PoesiaPresente – Scuola di Poesia (2020) performativa, scrittura poetica e poesiaterapia. www.domebulfaro.com
(Foto Dino Ignani)
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