Nel libro di Luisa Fantinel una ricerca su come l’Arte può aiutare a costruire una nuova rappresentazione della morte (e della vita)
“Una ricerca ventennale condotta per documentare e promuovere nuove prassi individuali e sociali circa la morte.”
Così l’autrice presenta il volume al quarantennale di Art Therapy Italia nel 2022.
Un volume edito da Skira nel 2021, nel quale indaga la correlazione esistente tra cultura e creatività, per comprendere le rappresentazioni della morte, per farne emergere di nuove dalle coordinate culturali in vigore.
Luisa Fantinel, storica e critica dell’arte, perfezionata in antropologia culturale e sociale, è arteterapeuta a indirizzo psicodinamico. In questo volume ripercorre le rappresentazioni della Morte, fatte dall’arte antica all’arte contemporanea, rappresentazioni che sono interpretazione del significato dato alla morte, del rapporto che, come umanità in Occidente, abbiamo con essa e del tabù che intorno ad essa si è creato.
Incontrando immagini di simboli funebri diversi, si aprono nella mente nuove possibili visualizzazioni.
Un viaggio attraverso le diverse rappresentazioni della morte nell’arte ci restituiscono una diversa interpretazione. Perché la morte è sempre la stessa, ma lo sguardo che l’umanità le ha rivolto lungo il suo cammino ne ha cambiato così radicalmente le sembianze. L’esplorazione è condotta con una prospettiva che integra nella storia dell’arte all’iconologia anche l’antropologia, la psicanalisi, l’arteterapia, oltre alle esperienze e alla sensibilità personali dell’autrice.
Nel corso delle pagine lo sguardo indossa lenti sociali e culturali, mostrando le diverse abitudini e attitudini dell’occidente nei confronti della morte.
Sit ultima felix (Che l’ultima ora ti sia felice) incisione che si ritrovava spesso sulle meridiane, oggi appare come distante e incongruente con un’idea di morte che si presenta a rovinare la festa di una vita che deve essere sempre felice. La Morte vista sempre come un’ingiustizia, un fatto crudele e non naturale che interrompe e tradisce la felicità di vivere.
Morte contro la vita. Vita che si accanisce contro la Morte che rende l’esperienza della morte violenta e da evitare, da tenere lontano da sé. È sparito il cordoglio e il lutto con i rituali che li accompagnavano e che permettevano di elaborare la perdita vivendola. Perché siamo convinti che i sentimenti mossi dalla morte siano da nascondere, per dimenticarli. Vanno evitati tutti i turbamenti dell’agonia e della morte al morente, alla famiglia, alla società, perché considerati troppo forti. Attraverso una carrellata di opere d’arte che lungo la storia hanno scelto di rappresentare la morte, raccontandola in aspetti e modi differenti.
Per restituire alla morte la sua dimensione di soglia, dobbiamo imparare a leggerla in modo diverso. E l’arte può aiutare. Magari proprio attingendo alla ricchezza e alla varietà del patrimonio artistico passato, sicuramente più a contatto di noi, con la morte, con i ritmi naturali, con l’impermanenza:
“Messi a tu per tu con la finitezza dell’esistenza, avremmo potuto, come in altre culture e religioni, percepire l’alternanza delle diurne fasi vita/morte come impermanenza. Impratichirsi di impermanenza dovrebbe essere la base di ogni pedagoga, ma difficilmente questo accade, perché confondiamo l’impertinenza con la precarietà e la precarietà all’animale uomo fa paura; è una condizione scomoda per chi come noi è pesantemente sganciato dall’istinto e cerca un ordine nella natura o lo produce artificialmente con le abitudini, le ossessioni” (pag.110)
E in un viaggio a ritroso, nella tarda età del bronzo cretese, incontriamo una rappresentazione della morte che appare radiosa:
“Niente demoni o dei, eroi o semidei, angeli o arcangeli, o scheletri semoventi: solo il Mare, il sole, il cielo e un polpo.”
Il sole immaginiamolo all’alba o al tramonto, quando si trova quasi appoggiato all’orizzonte marino, in quei momenti in cui si forma una scia luminosa sulla superficie dell’acqua che si avvicina a riva: sembra un sentiero, una strada, che ci può condurre al sole.
“È del tutto particolare perché non lo possiamo attraversare ora con il nostro corpo pesante, ma nel frattempo lo vediamo ogni alba ogni tramonto, compare proprio al momento giusto, quando si avvicina la notte e quando la notte si riversa nel giorno.” (pag. 53-54)
La morte come soglia. La morte come parte della vita.
È l’impermanenza raccontata dall’Homo bulla, il putto che fa bolle di sapone e simboleggia la condizione umana tra fragilità e illusioni presente nel Trionfo della morte. Lo specchio della vita, opera del 1627 di Giovan Battista Della Rovere.
“Sarebbe bello che questo simbolo fosse un invito a una forma particolare di gioco, il paradosso più clamoroso nel quale camminiamo dalla nascita alla morte: la vita è un serissimo…gioco. In fin dei conti quando facciamo le bolle giochiamo incantati dalla loro bellezza iridescente e toh… per un istante reggiamo l’urto della loro scomparsa. Bellezza e finitezza vanno a braccetto non promettendosi l’eternità, amplificandosi reciprocamente nell’istante. Se fosse così dovremmo inserire in prima elementare questo apprendimento come una materia essenziale: “Impermanenza”; e questa immaginetta diventerebbe un ineguagliabile promemoria dello spirito di cui faremo bene a dotarci per la vita. Un gigantesco e benevolo sorriso rivelatore della natura della realtà: bella, imprendibile e soprattutto, illusoria. Noi occidentali siamo piuttosto seriosi o tuttalpiù cinici o tragici; come reggeremmo questa irruzione leggera sulla profonda natura del mondo?” (pagg. 113-114)
Permettersi di accogliere la morte come naturale, prepararsi ad essa come i cavalieri medievali, concedersi un tempo per elaborare il lutto, senza doversi nascondere, ma sostenuti dal Cordoglio, dei familiari e della comunità.
Dare una svolta alla parola Morte, questo sembra dirci Luisa Fantinel poiché imparare a leggere la morte come parte della vita, può insegnarci a vivere diversamente anche la vita.
Dare una svolta alla parola morte
una scossa di risveglio,
farla uscire dai gusci di spavento
dei secoli e degli antenati,
farla neonata
smettere di capirla
dichiararsi incapaci
e tenerla tra le mani giunte
delicatamente
come fiammifero
nel vento.
Chandra Candiani (da La domanda della Sete, 2020)
Luisa Fantinel, L’arte di morire (e di vivere), Skira, 2021
Viviana Russo è danz-Attrice, educatrice teatrale e formatrice. Esperta di didattica laboratoriale.
Facilitatrice di Biblioterapia (master Univr 2024)
Si forma in Poesiaterapia presso la scuola di PoesiaPresente dal 2022.
Giocoliera (solo di parole), danza sul filo tra clownerie e poesia, preferibilmente con un naso rosso.
Dal luglio 2024 è redattrice e referente per le Artiterapie della rivista Poetry Therapy Italia.