Come viene interpretata da noi esseri umani la morte? Qual è la sua simbologia, cosa rappresenta per noi? Qual è la “poetica della morte”? Valeria Bianchi Mian – psicoterapeuta junghiana e creatrice del Metodo Tarotdramma® – esplorando la carta tredici degli arcani maggiori dei Tarocchi, attua una “meditazione sulla Morte” che si pone come “alternativa alla rimozione della Morte” (Claudio Widmann).
La Morte nei Tarocchi di Marsiglia non ha nome. A me piace pensare che possa assumere l’identità di ognuno di noi. È attrice consumata, la Nera Signora, sempre molto impegnata sul palco della Vita. Memento mori, sussurra. Ci invita a meditare sull’assenza di senso e al contempo sul mistero profondo dell’esistenza: ecco il consiglio della carta numero tredici, un suggerimento che non si stanca di offrire a tutti noi, a noi cavalieri erranti, a noi vecchi marinai sempre alla ricerca di una spiegazione che illumini la mancanza, appunto, di significato. Tra i consigli dello scheletro ambulante c’è l’idea del cancellare pezzo a pezzo, brano a brano, le pretese dell’Io, la boria, la presunzione. Meglio fare i conti al ribasso, less is more, altrimenti dopo l’accumulo non resta che l’ipotesi di un taglio netto.
Respirare, innanzitutto, è già una piccola “vita(amor)te”. Immaginare che l’aria possa attraversare il corpo, superando i confini di pelle e ossa, raggiungendo ogni angolo, i pertugi, gli anfratti. Sentire l’aria come un elemento, come cibo e acqua. Lasciarla sostare dentro la carne prima di esalare il respiro sperando non sia l’ultimo (ma ogni respiro lo è).
E dunque ispirazione sia, e sia inspirazione, e sosta, e infine espirazione nella danza quotidiana con la Morte. In un articolo di qualche anno fa scrivevo che meditare sulla Morte è un esercizio che può ben dirsi mindful, se impariamo a praticarlo correttamente, ovvero con l’immaginazione attiva, con il coraggio che solo Psiche può avere, quella forza che ci permette di accendere qualsiasi tipo di pensiero e di sensazione distinguendo quel che avviene nella mente da ciò che accade nei fatti. Va compreso, l’esercizio di memento mori, va praticato per scelta al di fuori di tutti i protocolli già scritti, è un momento per concentrarci sul fil rouge che unisce il nostro essere al concetto di finale. Riflettere sulla chiusura dei giochi ci aiuta a superare il terrore dell’abbandono di un Io dai confini spesso troppo angusti, dai limiti che per noi umani irrigidiscono un po’ troppo facilmente.
“La meditazione sulla Morte è alternativa alla rimozione della Morte” scrive l’analista junghiano Claudio Widmann a proposito dell’arcano numero XIII. Pienamente consapevoli della nostra finitudine, potremo poi accogliere con serenità la presenza. Ritrovarci qui e ora, dire “Siamo ancora”.
Tredicesimo Arcano, Tarocchi di Marsiglia (XVIII secolo, ipotesi)
“Speriamo che non mi esca la Morte”, o del perché questa carta ci spaventa:
Quanto a te, Morte, e al tuo implacabile abbraccio, è
inutile tentare di allarmarmi.
Senza esitare l’ostetrico compie il suo lavoro,
vedo l’anziana mano che preme, riceve, sorregge,
mi adagio presso le soglie delle preziose cedevoli porte
e noto l’uscita, noto il sollievo e l’evasione.
In quanto a te, Cadavere, penso che sei un buon/
concime, e questo non mi offende.
Odoro le candide rose profumate e fiorite
Mi accosto a labbra di foglie, tendo la mano alle lisce
mammelle dei meloni.
Quanto a te, Vita, penso tu sia il residuo di numerose
morti
(Senza dubbio anche io sono già morto diecimila volte).
Walt Whitman, estratto dalla poesia n. 49, in Foglie d’erba
Questa silloge fu rivista e riscritta dal poeta per tutta la vita, a partire dalla prima edizione anonima del 1855 fino alla nona, terminata (!) sul letto di morte del 1892.
Lo scheletro arcano ricoperto di muscoli in decomposizione e residui di pelle è armato di falce; figura emblematica, procede lentamente ma inesorabile lungo la strada nel campo della vita, come un giardiniere che sappia fare il lavoro per il quale è stato chiamato all’opera. Se penso che, da vivi, le ossa sono il vaso nel quale nascono le cellule ematopoietiche, un brivido di meraviglia mi coglie. Il sangue nasce nelle ossa lunghe, il sangue è vita come un vino rosso nella coppa bianca.
La danza macabra coinvolge ricchi e poveri, giovani e anziani, mendicanti e re nelle cinquecentesche rappresentazioni del Nord Italia e in Europa. L’allegoria del caso dava al popolo l’idea di una comunanza di destino, corrispondenza rassicurante forse, che riportava gli umani a una qualche unità, in una coralità democratica evidente nella Totentanz.
Un sacrificio che prima o poi… ma, finché siamo qui a scrivere e leggere, perché non ricordare, a proposito di tagli, la saggia Atropo, sorella di Cloto e Lachesi? Armata di forbici, è dotata di un nome che rimanda al senso dell’inevitabile. Le cesoie sono lo strumento necessario per accorciare un tessuto, recidere un nodo, togliere un punto, mozzare il resto, rasare il troppo, abbreviare l’eccesso…
Ne sanno qualcosa gli scrittori e i poeti, ma anche gli oratori, gli insegnanti e tutti coloro che hanno a che fare con la fine delle storie. Se esiste una sola certezza nell’esistenza di donne, uomini, animali, vegetali e, in generale, dei viventi, questa è la parola fine. La nostra comune amica che di numero fa tredici. La nostra stessa fine.
L’arcano tredici è qui per rammentare il taglio. Non c’è scampo; se vuoi percorrere la via dal Matto al Mondo, dallo Zero al Ventuno, incontri per forza lei. Lo scheletro inesorabile.
Respira. Memento mori. Rifletti:
- Quante e quali situazioni nella tua vita hai realmente saputo terminare?
- Cosa puoi definire in tutta sincerità davvero finito per te?
- Che cosa avresti necessità di tagliare in questo momento (relazioni, atteggiamenti, legami, impegni, modi operandi)?
- Se immagini la tua fine, quale aspetto di questo processo ti spaventa di più e quale invece ti attrae?
Il consiglio, ancora una volta, è quello di lasciar andare i vecchi modi di essere, pensare e agire. Lei, la Morte, è la vera Signora della Trasmutazione.
Poetica della Morte
Se la filosofia per Aristotele nasce da Thauma, la meraviglia ma anche lo stupore di fronte all’ignoto, e produce un pensiero sapiente, una trasmissione di senso, la poesia a parer mio si dipana dalla stessa fonte per fare della parola un paradosso: un atto in potenza. La parola poetica della Morte è metafora nuda e cruda ma non categorizzabile in modo univoco, come è proprio del simbolo, e si presta a lenire il perturbante utilizzando la stessa base di partenza, la stessa stupefacente meraviglia che ha dato inizio alla poesia, così come fa l’alchimista con il veleno del serpente che diventa balsamo curativo quando lo ha trasformato con le sue complesse azioni. Similia similibus curantur: la poetica della Morte è medicamentosa.
Poesia per curare la paura della fine:
Quando muoiono i vecchi
e i bambini domandano
che cosa sia il morire.
In marcia con i bastoni
al confine del bosco
io gli parlo di marcescenza.
“Elegy written in a country churchyard”
raccogliendo primule
per l’insalata – dal muro
cola la colla delle partecipazioni
fresche come le uova dello zio.
Eccolo, il fratello della nonna
e gli auguri dei nipoti
– saresti tu – dico a mio figlio.
Lo posso vedere il cadavere?
Curiosità infantile chiama
odorama d’ignoto – sguardo
tridimensionale sulla vita.
Perché no – e annusiamo la terra
buttandoci a pesce giù nel prato.
Strisciamo come vermi
parlando della talpa con il buco in pancia
povera cieca stecchita al sole d’agosto.
Te la ricordi? Puzzava la nera
creatura piccolina nella sera.
Corriamo – cinque anni e quaranta
sette vite hanno i gatti, lo sai?
Ma noi, prima della morte
possiamo leggere tutte le storie
per scrivere la sorte a colori.
Corriamo – il vento è buono
per l’aquilone – e primavera pulsa.
Valeria Bianchi Mian, da Vita(amor)te. Poesie per arcani maggiori
Tredicesimo Arcano, Valeria Bianchi Mian (2020)
La mia Senza Nome ci ricorda che il taglio della falce non è che trasformazione.
Non sono una grande giardiniera e nemmeno una piccola botanica. Quattromila metri di terreno nella casa nuova ed io procedo in punta di piedi camminando sopra i fiori, attenta a non calpestare coleotteri, timorosa di far male alle farfalle. Chiamo mio padre, ottant’anni e lo sfalcio facile, solo quando ho monitorato un pezzo, una radura, un angolo. Gli dico ’Vai piano con il decespugliatore, vai pianissimo. Avvisa le api, fatti notare’ – lui sbuffa un po’ ma ubbidisce. Se fosse per me, non esisterebbero prati all’inglese in questo mondo.
Eppure, ho imparato a tagliare quando occorre.
Non tremare, canta la Morte, non avere paura, rallegrati! La vita, sia pure irreale ed effimera, rivela la sua bellezza. Dandomi il tuo sguardo capirai finalmente quale miracolo sia essere vivi. Così è, anche per Alejandro Jodorowsky, nella sua “via dei Tarocchi”.
Bibliografia
Valeria Bianchi Mian, Vita(amor)te. Poesie per arcani maggiori, Miraggi, Torino, 2020.
Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa, La via dei Tarocchi, Feltrinelli, Milano, 2014
Claudio Widmann, Gli arcani della vita. Una lettura psicologica dei tarocchi, Magi Edizioni, Roma, 2018
Walt Whitman, Foglie d’erba, Fabbri, Milano, 1997.
Valeria Bianchi Mian, psicologa, psicoterapeuta individuale e di gruppo, psicodrammatista junghiana.
Si occupa di supervisione d’équipe, conduce laboratori di tecniche espressive multimediali con bambini, giovani e adulti, è formatrice in corsi di scrittura e “soft skills”. Insegna Scienze Umane in un liceo privato.
Cura la rubrica Contemporanea/Mente su Psiconline.it e Meditazioni Metafisische su Oubliette Magazine.
È caporedattore per www.transiti.net, il blog della Psicologia d’Espatrio. I suoi blog: [PA] Poesie Aeree, micro giornale di versi e Favolesvelte.
Ha pubblicato doiversi libri di poesia e narrativa.
» La sua scheda personale.