Viene esplorata la morte ed i suoi effetti da un punto di vista esistenziale riportando anche esperienze non solo letterarie ma anche di psicoterapeuti che hanno trattato l’esperienza esistenziale dei propri pazienti ma poi si sono trovati a vivere anche la propria.
La morte nell’approccio esistenziale
L’approccio esistenziale (Yalom, 2019) si concentra sempre sulle grandi preoccupazioni dell’esistenza umana e sulle esperienze emotive che le accompagnano, come per esempio l’angoscia per la coscienza della morte o per la perdita del senso della vita e dei valori che definiscono la vita della persona, la libertà o la sua assenza, la libera scelta e la difficoltà nel prendere decisioni perché le decisioni devono essere accompagnate dalla responsabilità. C’è, inoltre, il difficile passaggio emotivo, che affrontiamo quando realizziamo che nei momenti decisivi della vita rimaniamo da soli, isolati, che implica il tema dell’isolamento e della solitudine. Tutti questi argomenti sono centrali nell’approccio esistenziale.
A causa della pandemia prima e della guerra dopo, i temi esistenziali descritti da Yalom esplosero con forza elementare nella vita di tutti noi, perciò per la biblio/poesiaterapia divenne evidente che questa non sarebbe stata solo una delle tante tematiche interessanti. Non era più una questione se si dovesse e si potesse portare i grandi temi esistenziali agli incontri di biblio/poesiaterapia, dove le persone attraverso la letteratura e la scrittura avrebbero comunque parlato di se stessi e delle grandi domande della vita. Siamo in tanti che negli ultimi anni, grazie a una percezione più intensa sul fatto che la vita ha una fine, riflettiamo di più non solo sulla morte ma anche sulla vita stessa.
La morte è una situazione limite che stimola l’individuo ad affrontare la sua posizione esistenziale nel mondo. Ciò può causare cambiamenti importanti nel suo stile di vita e nella sua personalità in quanto l’aspettativa della morte procura una ricca prospettiva per le preoccupazioni della vita, per cui l’uomo comincia a vivere una vita più significativa e piena di prima (Yalom, 2019). Yalom riporta, anche, esempi letterari su come si svolge l’affronto della morte come situazione limite esistenziale e il conseguente cambiamento nella personalità: Pierre (Lev Tolstoj, Guerra e pace béke), Ivan Il’ic (Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il’ic) ed Ebenezer Scrooge (Charles Dickens, Canto di Natale).
Come scrive Yalom nel suo libro, intitolato Fissando il sole (2017), guardare in faccia la morte, la perdita, fa sì che ci rendiamo conto della nostra esistenza e ci invita a chiarire la nostra attitudine verso alcune questioni principali e valori e a focalizzarli di più. Questo ci conduce a vivere una vita più autentica e più piena.
Secondo Yalom, durante la vita umana ci sono eventi illuminanti (ad esempio il confronto con la morte e la perdita, gli anniversari, la crescita dei figli o i sogni), che possono catalizzare la crescita personale mettendo la persona di fronte alla questione cruciale, ovvero, se abbia vissuto una vita autentica o no. L’approccio esistenziale ci incoraggia a chiarire il nostro rapporto con alcune domande e valori fondamentali, per poi iniziare a concentrarci maggiormente su di essi. Questo può portare a una vita più autentica e piena di senso. Uno degli esempi letterari più importanti citati da Yalom (2017) è La morte di Ivan Il’ič, dal romanzo di Lev Tolstoj. Per Ivan Il’ič l’avvicinarsi della propria morte fisica porta a un grande cambiamento personale verso una vita autentica (Béres, 2025, pp. 142-143.):
“..Poi, a seguito di una sorprendente conversazione con la parte più intima di se stesso, in un momento di estrema lucidità si ritrova a comprendere che sta morendo male perché ha vissuto male. La sua intera esistenza è stata un errore. Nel difendersi dalla morte si è allo stesso modo difeso dalla vita. Paragona la propria vita a un’esperienza che ha spesso provato viaggiando in treno, quando pensava di muoversi in avanti mentre in realtà si stava muovendo all’indietro. In breve, diventa pienamente cosciente di vivere.
Per quanto la morte si avvicini rapidamente, Ivan Il’ič scopre di avere ancora tempo. Diventa consapevole del fatto che non solo lui, ma tutto ciò che è vivo deve morire. Scopre la compassione, un sentimento per lui nuovo. Prova una forma di tenerezza per gli altri: per il giovane figlio che gli bacia la mano; per il servo che lo assiste in modo amorevole e spontaneo, persino, per la prima volta, per la giovane moglie. Prova pietà per loro, per le sofferenze che lui ha inflitto e, in ultima analisi, non muore nel dolore ma nella gioia di un’intensa compassione. […] È invece necessaria un’esperienza urgente o irreversibile, che risvegli una persona e la sospinga fuori dalla modalità quotidiana verso la modalità ontologica.” (Yalom, 2017. 3. L’esperienza di risveglio)
Yalom afferma che il confronto diretto con la nostra propria morte, con il nostro essere finito, con la possibilità del trapasso può comportare la diminuzione della paura dell’invecchiamento e l’abolizione del tabù della morte. Oltre questi ci sono anche altri eventi illuminanti che segnano una svolta e per l’effetto dei quali può cambiare la nostra veduta e possiamo incamminarci verso il cambiamento. Appartengono a questi le esperienze di perdita (lutto, essersi lasciati, divorzio, perdere il lavoro) o di malattie letali, l’arrivo ai punti di svolta o anniversari importanti della nostra vita, le esperienze traumatiche (violenza, catastrofe, delitto), il momento che i figli lasciano il nido familiare, il pensionamento, il trasloco in una casa di cura o l’esperienza di sogni di forza illuminante che promuovono l’incontro con il nostro ego più intimo.
Autoethnography come scrittura terapeutica
L’autoetnografia è un genere di scrittura autobiografica che attinge e analizza o interpreta l’esperienza vissuta dell’autore e collega le intuizioni del narratore all’identità personale, alle regole e alle risorse culturali, alle pratiche di comunicazione, alle tradizioni, alle premesse, ai simboli, alle regole, ai significati condivisi, alle emozioni, ai valori e a questioni sociali, culturali e politiche più ampie (Poulos, 2021, p. 4). Questo metodo intreccia le esperienze personali con i contesti culturali e sociali per comprendere la relazione tra il sé e gli altri. Proprio per questo motivo si chiama scrittura del sé (writing the self o self writing). L’autoetnografia articola l’intersezione tra esperienza cognitiva e somatica. Attraverso l’artigianato narrativo, racconta una vita vissuta e, così facendo, coinvolge la teoria per dare un senso a come quella vita è socio-storicamente situata e costruita. Questo metodo può aggiungere molto all’interpretazione della fenomenologia della perdita e del lutto attraverso il sé narrato, storico e situato. I due esempi seguenti illustrano come questo approccio possa essere applicato in forma di diario, dove la scrittura diventa il modo migliore per affrontare il lutto e la guarigione.
Reinekke Lengelle, una scrittrice, drammaturga e insegnante di scrittura olandese-canadese, nel suo libro intitolato Writing the Self in Bereavement: A Story of Love, Spousal Loss, and Resilience (2021) racconta la storia del suo compagno di vita e di lavoro, Frans Meijers, che ha sviluppato un cancro raro ed è morto a 7 mesi dalla diagnosi. La storia inizia una mattina di dicembre, due settimane dopo la scomparsa di Frans, quando Reinekke torna da sola dalla loro casa nei Paesi Bassi alla sua casa in Canada e scrive in dettaglio i suoi sentimenti, la vita quotidiana in assenza di Frans e la storia della loro relazione. In qualità di docente di “writing the self” (cioè di scrittura per lo sviluppo personale), la scrittrice mette in pratica ciò che insegna ai suoi studenti: come usare la poesia, la narrativa e i risultati della ricerca per riflettere, esplorare e articolare ciò che un’esperienza dolorosa può avere da insegnare. La scrittura è una compagna produttiva e costante: la aiuta a dare un senso alla miriade di sentimenti, a volte scomodi, che accompagnano il processo di lutto, le permette di sperimentare i continui legami con Frans, attraverso i ricordi e i dialoghi immaginari, e le permette di avere una visione nutriente del lutto nel suo primo anno e mezzo di vita. Il diario terapeutico di Yalom, Una questione di morte e di vita, che scrisse insieme a sua moglie Marilyn Yalom, tocca tasti simili. Il diario l’avevano cominciato a scrivere insieme prima della morte della gravemente malata Marilyn, durante la sua agonia, come una specie di preparazione, un’organizzazione del saluto, un ultimo viaggio comune (posso immaginare pochi altri regali di addio più belli). Irvin, dopo l’avvenuta morte di Marilyn, finì da solo il libro e, da quello che scrisse lui, in quel momento il libro era una scrittura terapeutica per lui, era esso a tenerlo in vita. Marilyn, che era stata l’ideatrice del progetto e che aveva insistito che facessero questo ultimo lavoro insieme, probabilmente aveva previsto che sarebbe successo questo. Il libro nato dall’ultima grande impresa comune dei coniugi Yalom è una confessione dolorosamente bella e intima su cosa deve affrontare chi si prepara a morire, su come lotta contro l’ultima disperazione, su come può vivere una vita che abbia senso fino all’ultimo momento e su come può separarsi dalla vita. Dalla prospettiva del compagno della persona in fin di vita, invece, si pone la domanda cosa si può fare se perdiamo la persona più cara, soprattutto se questo avviene dopo 65 anni di vita comune passata in una relazione d’amore intima ed intensiva. È commovente leggere come Irvin Yalom, lo scrittore-psicologo di fama mondiale che aveva sempre scritto con tanta saggezza delle verità che sembravano inappellabili sulle grandi domande esistenziali che riguardano tutti noi, compreso il tema della morte, e che aveva già aiutato tantissimi suoi pazienti ad elaborare la loro perdita, fece rapporto su come stava lottando lui, senza speranza, con il lutto, con la perdita, come procedeva o non procedeva abbastanza bene (secondo lui) nell’elaborazione della propria perdita, come trovava tutto senza senso e quanto era impaziente con se stesso. Tra le righe irradia in continuazione il sentimento del rimorso e dell’impotenza, il dolore della mancanza. Il testo pone numerose questioni esistenziali e stimola il lettore a rifletterci benché a queste domande non esistano risposte davvero giuste. La difficoltà principale sta non nel fatto della morte o nell’ansia della morte ma nell’affrontare il vuoto seguente, la mancanza. Sembra che una delle cose più difficili dopo la morte di Marilyn sia stato che di lei non fosse rimasto nulla. Il pensiero struggente di dover imparare a vivere con la consapevolezza che non si possa più condividere le esperienze vissute con lei ritorna numerose volte nel libro. Bisogna vivere senza di lei. In generale bisogna imparare a vivere da solo.
“..Anche se ho passato da un pezzo gli ottant’anni, ho ancora molto da imparare; soprattutto, devo capire come vivere da adulto indipendente e senza Marylin. Ho fatto così tanto nella mia vita – sono diventato medico, mi sono preso cura di tanti pazienti, ho insegnato, ho scritto libri, sono stato padre e ho cresciuto quattro figli affettuosi, generosi e creativi – ma non ho mai vissuto come un adulto indipendente! Sì, è scioccante, ma è vero.” scrive Yalom (2022, pp. 172-173).
Irvin Yalom in questo suo libro non si vergogna di confidarsi completamente, cosa non sorprendente considerando le sue opere precedenti (romanzi ed opere di letteratura specifica), lui è spietatamente sincero con se stesso e anche con noi lettori. Proprio per questo motivo leggerlo può essere veramente d’aiuto. Osservando da lettore, l’aspetto più sconvolgente di questa confessione è quanto sia difficile affrontare questa mancanza, il Niente, pure per una persona di cui pensiamo, giustamente, che se ne intenda, che sappia molto sia a livello teorico sia a livello psicoterapeutico su come si dovrebbe/potrebbe fare. Pare che il lutto, la perdita e la solitudine abbiano numerosi effetti collaterali inaspettati che sembrano non trattabili e tutto questo acquisisce un altro aspetto quando succede a noi e non porta sollievo nemmeno custodire i ricordi della bella e lunga relazione nella nostra mente, negli oggetti e nei figli comuni. Ciò che è ancora più importante è l’analisi dei narratori su quanti tipi di sentimenti possono accompagnare il lutto, la perdita, per esempio veemenza, dolore, offesa, delusione, rabbia, autoflagellazione, vergogna, mostrando così un lato nuovo dell’esperienza di perdita che non è sempre raccontabile e di cui non necessariamente si può parlare apertamente a causa di certi tabù. Dal punto di vista biblio/poesiaterapeutico questo libro può promuovere, oltre ad altre cose, anche il poter considerare queste domande difficili senza vergogna e a cuor sincero anche dentro di noi.
Pratica: Esercizi di biblio/poesiaterapia esistenziale
Mentre in una terapia esistenziale il focus si concentra sui sentimenti del cliente riguardo alle sue esperienze relazionali, nella biblio/poesiaterapia possiamo creare sessioni tematiche basate sui grandi temi esistenziali. La letteratura è uno strumento ideale per questo lavoro perché si adatta molto bene all’approccio esistenziale: ci mette di fronte alle grandi domande esistenziali, ma le risposte non sono sempre presenti nel testo letterario, devono essere trovate individualmente. Inoltre, utilizzando esercizi di scrittura creativa ed espressiva si può approfondire il lavoro emozionale che ci guida alle questioni esistenziali attraverso l’utilizzo creativo, espressivo delle language arts e l’interpretazione individuale dei testi. (Béres, 2025)
1. Gatto nell’appartamento vuoto
Nel caso di una perdita può risultare difficile descrivere dal nostro punto di vista cosa sentiamo. Questo esercizio aiuta con il metodo della strumentalizzazione ad osservare da una distanza più grande l’esperienza dolorosa della mancanza. Leggi la poesia intitolata Gatto in un appartamento vuoto di Wysława Szymborska (2009). La poesia è raccontata dalla prospettiva di un gatto, che rappresenta le emozioni tipiche di una persona in lutto. Il gatto e l’appartamento vuoto come metafora rappresenta la prospettiva di chi è rimasto indietro e ha perso una persona importante.
Scegli un essere vivente o un oggetto e mostra dal suo punto di vista cosa vuol dire per esso perdere qualcuno o qualcosa, descrivi anche perché gli è difficile questo. Oltre all’espressione della mancanza conviene sbilanciarsi (sia nello scritto sia nella conversazione) anche verso le cose che sono rimaste nonostante la mancanza, ovvero valori, bei ricordi che dopo la perdita si possono tramandare.
2. Alla morte non piacciono gli scherzi
La poesia dello scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson (2023) intitolata Alla morte non piacciono gli scherzi sembra parlare della morte, ma in realtà ci aiuta a concentrarci sul senso della vita, sul modo in cui diamo un senso alle nostre vite. Nella poesia è ricorrente l’invito a dare un titolo alla nostra vita: “Devi dare un titolo alla vita che hai vissuto...”. Dal
punto di vista della morte, la domanda principale è abbastanza forte: se si è vissuto e, se sì, come, che tipo di vita si è vissuta. E cosa facciamo ora per vivere una vita autentica? “..Devi trovarlo, quel titolo, un titolo che dica come hai vissuto se hai vissuto”/ „bisogna, devi, trovare un titolo almeno per scoprire se sei ancora vivo”. La domanda vi incoraggia a cambiare la vostra vita, a iniziare a viverla in un modo che vi dia qualcosa da guardare indietro, qualcosa da ricordare, qualcosa che lasci il vostro segno su questa terra. Il compito è molto semplice: prima di leggere la poesia di Stefánsson, ognuno dica che titolo darebbe alla propria vita. Immaginatela come se fosse un libro. La poesia pone questa domanda in diversi modi. Dopo aver discusso insieme la poesia, chiedete se cambiereste il titolo che avete dato all’inizio.
Nota
Il presente testo è un capitolo del libro di Béres, Judit (2022). Élet a sorok között. Irodalomterápiás gyakorlatok mindenkinek. (La vita tra le righe. Esercizi di biblio/poesiaterapia per tutti). La traduzione italiana del libro è in corso.
Bibliografia
Béres, Judit, La vita tra le righe. Biblio/poesiaterapia esistenziale. In Poesiaterapia. Quando le parole curano. I silenzi risuonano. A cura di Dome Bulfaro e Paolo Maria Manzalini. pp. 141-152, Atti del primo Festival internazionale di Poesiaterapia in Italia, Monza, 2025, Mille Gru.
Lengelle, Reinekke (2021). Writing the Self in Bereavement. A Story of Love, Spousal Loss, and Resilience. Routledge.
Poulos, Christopher N. Essentials of Autoethnography (Essentials of Qualitative Methods Series). 2021, American Psychological Association.
Stefánsson, Jón Kalman Alla morte non piacciono gli scherzi. In: Quando i diavoli si svegliano dèi. Milano, 2023, Iperborea.
Szymborska, W. La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009). Milano, 2009, Adelphi.
Yalom, I. D. Fissando il sole. Come superare il terrore della morte. Vicenza, 2017, Neri Pozza.
Yalom, I. D. Psicoterapia esistenziale. Vicenza, 2019, Neri Pozza.
Yalom, I. D., Marilyn Yalom Una questione di morte e di vita. Vicenza, 2022, Neri Pozza.
Judit Béres (1976), presidente della Hungarian Bibliotherapy Association, PhD, professore associato, formatore di biblioterapia, biblioterapista, PCE Europe certified person-centred counsellor. Fa parte del comitato scientifico di Poetry Therapy Italia come referente della biblio/poesiaterapia internazionale.
Si è laureata in italianistica, in linguistica e letteratura ungherese, in formazione degli adulti e in biblioteconomia presso l’Università di Pécs e in biblioterapia presso l’Università Cattolica Péter Pázmány.
I suoi interessi di ricerca includono studi femministi, psicologia esistenziale, scrittura terapeutica e promozione della lettura. Ha pubblicato due libri metodologici sulla biblioterapia, numerosi saggi e materiali sulla biblioterapia e sulla divulgazione della lettura.