Un progetto culturale “Chi cerca trova”, per avvicinare i bambini al lutto, alla perdita e alla morte, considerando la morte come esperienza di vita e sostenendo tutti i soggetti coinvolti in un processo di integrazione del dolore per coltivare la morte come occasione di vita.
Chi cerca trova è un progetto culturale pensato in particolare per genitori e bambini, nato dal desiderio di affrontare un tema complesso come quello della morte.
Viviamo in una società che tende a negarla, a rimuoverla, al contrario di ciò che accadeva in passato, quando la morte veniva esorcizzata attraverso rituali e condivisione collettiva. Nel nostro progetto abbiamo cercato di rispettare questa complessità, con l’obiettivo di restituire valore alla presenza del bambino nei momenti di perdita.
La rimozione della morte è spesso un meccanismo di difesa per non soffrire, nonostante la morte sia parte integrante della vita. Nel contesto culturale attuale, i genitori tendono a escludere i bambini dai momenti di lutto, con l’intento di proteggerli dal dolore. Ma anche il bambino, pur se tenuto lontano, vive la perdita. Pensiamo, ad esempio, a un nipote che ogni giorno vedeva il nonno e improvvisamente non lo trova più.
Spesso i genitori evitano di parlarne, non coinvolgono il bambino, lo tengono lontano dal defunto, credendo di evitargli la sofferenza. Ma questa esclusione è un’abitudine relativamente recente nella nostra cultura.
In passato, in molte regioni italiane – come in Campania o in Sicilia – i bambini erano presenti durante tutte le fasi della morte: dalla malattia alla sepoltura, fino alla commemorazione, poiché il lutto era considerato un’esperienza collettiva. Anche nel nord Italia, fino al secondo dopoguerra, era comune la partecipazione dei bambini ai funerali, in particolare quelli cresciuti in istituti religiosi, che accompagnavano il feretro nei cortei funebri.
In altre culture, questa partecipazione è ancora viva. In alcune regioni dell’Africa centrale, ad esempio, si ritiene che i bambini abbiano una connessione più diretta con il mondo dell’aldilà, essendo ancora vicini all’origine della vita, e per questo sono parte attiva alla veglia funebre.
L’attuale atteggiamento protettivo, però, può avere conseguenze negative: confonde il bambino, lo spaventa e gli fa perdere un’importante occasione educativa. Lo confonde perché, soprattutto dai quattro anni in su, il bambino intuisce che qualcosa di grave sta accadendo. Osserva il dolore degli adulti, ma non lo comprende appieno, perché nessuno gliene parla e questo lo confonde. Lo spaventa perché l’assenza di spiegazioni e significato genera ansia.
Ed è una perdita educativa perché la morte, se condivisa e accompagnata, diventa un’occasione di vicinanza, di dialogo, di insegnamento: per imparare a vivere il dolore, a riconoscere e regolare le emozioni, ad accettare la finitezza della vita.
Nel progetto Chi cerca trova, questi tre aspetti – chiarezza, accompagnamento e valore educativo – sono stati al centro della riflessione con i genitori. Abbiamo proposto strumenti e modalità per accompagnare il bambino nell’esperienza della perdita e nell’elaborazione del lutto.
Il bambino non va tenuto lontano dalla morte, ma neanche esposto senza guida. Va accompagnato. I più piccoli sperimentano la morte attraverso il gioco, le fiabe, la perdita di un animale domestico e, fino ai 5-6 anni, spesso pensano alla morte come a un viaggio da cui si può tornare. Solo più avanti sviluppano una comprensione più adulta: l’irreversibilità e l’unicità della morte.
Per questo l’adulto ha il compito di accompagnare il bambino, con parole semplici e sincere, adeguate all’età, con ascolto profondo, contatto fisico, libri, film, e – se necessario – con l’aiuto di un professionista.
Chi cerca trova parte dall’esperienza concreta della morte, ma guarda alla vita: esalta ciò che la consapevolezza del morire può donare al vivere. Trasforma la negazione in un’occasione poetica e creativa, in cui la morte diventa un motore di consapevolezza e pienezza.
Essere accoglienti anche verso la morte non è rassegnazione, ma una scelta: non per celebrarla, ma per imparare a vivere meglio. Scoprendo che l’unico vero antidoto alla paura della morte è amare profondamente la vita. Infatti, le parole chiave del progetto – sostenere, coinvolgere, domandare, cercare, parlare, presenza, verità, essere, incertezza, esporsi – parlano tutte di desiderio di vita.
La scelta della vita, nel contesto della perdita, può facilmente trasformarsi nella perdita della vita di chi resta. È un rischio silenzioso, ma reale: il dolore può spegnere il desiderio di vivere. Per questo è necessario ritrovare quella scelta, quella spinta verso la vita che sembra svanire. Va cercata, riscoperta, ricostruita. Da qui nasce il nome del progetto, Chi cerca trova.
Nel percorso del lutto, soprattutto quando coinvolge un bambino, la ricerca diventa un elemento centrale. Non solo la ricerca di benessere, ma, più profondamente, la ricerca della voglia di vivere. La volontà di attraversare la perdita restando radicati nel presente, nel “qui e ora”, ma anche aprendosi al domani e alla possibilità della felicità.
Questa ricerca è duplice: è la spinta a ritrovare senso e speranza, ma è anche lo spazio per accogliere e sostenere il dolore, il proprio e quello del bambino. Perché l’elaborazione del lutto richiede tempo, e in quel tempo il dolore ha diritto di esistere. Non va negato, ma accettato, accompagnato con cura e presenza.
Il progetto ha posto particolare attenzione agli sguardi, ai vissuti emotivi e ai bisogni dei genitori, dei familiari e dei bambini coinvolti. Al tempo stesso, ha voluto proporre una cultura alternativa a quella dominante, una cultura che non esclude i bambini dall’esperienza della perdita, ma che li accompagna, che li accoglie, che li rende partecipi, con il supporto degli adulti.
Per sostenere questo cambiamento culturale, il progetto ha coinvolto istituzioni territoriali, come le biblioteche di Monza, offrendo spazi di incontro, occasioni di confronto e consulenze per chi desiderava approfondire il tema. La conferenza finale è stata un momento prezioso per condividere i risultati e per ribadire con forza un messaggio fondamentale: se il bambino è accompagnato con amore e consapevolezza nell’esperienza della perdita, questa può diventare un momento profondamente educativo e trasformativo.
Chi cerca trova, pur trattando un tema difficile come la morte, ha parlato in modo vivo e vitale della vita. Ha generato connessioni autentiche, esperienze creative, condivisione. Ha lavorato in gruppo, creando relazioni vere tra persone, famiglie, operatori, istituzioni. Ha voluto dimostrare che solo attraverso la relazione – sincera, umana, aperta – possiamo affrontare non solo la perdita di chi amiamo, ma anche il pensiero stesso della morte che, in forme diverse, tocca tutti noi nel quotidiano.
Per questo possiamo dire che Chi cerca trova ha coltivato un’idea coraggiosa: quella per cui la morte può diventare un ponte verso la vita. Un'occasione per stare insieme, per raccontarsi, per cercare e forse trovare, dentro il dolore, nuove forme di amore, di senso e di presenza.
Andrea Spatuzzi, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista, psico-oncologo e psicologo del lavoro e delle organizzazioni. Utilizza la Terapia Polivagale, la terapia degli Stati dell’Io e la Mindfulness. Negli ultimi 24 anni ha collaborato con diverse istituzioni in ambiti quali le dipendenze, il benessere nelle organizzazioni, l’oncologia, l'accompagnamento al fine vita, l’adolescenza e la genitorialità. È stato docente universitario con cattedra in Psicologia Clinica e in Psicopatologie Professionali.
Nel 2005 ha fondato a Milano il Laboratorio Arca, un centro clinico dove operano in équipe altri cinque psicoterapeuti e un chiropratico agopunturista. Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato due libri: L’esserci che cura. Come la relazione può essere immersa nel buono (Europa Edizioni, 2020); Genitori oggi. Come affrontare le paure del nostro tempo e dare serenità ai nostri figli (Franco Angeli, 2025).