Lo storico Carlo Greppi nel suo ultimo libro evidenzia come il fare poetico e la poesia abbiano, almeno in una certa misura, il potere di salvare la vita, come accade nelle storie intrecciate di Lorenzo Perrone, giusto tra le nazioni, e Primo Levi, poeta e scrittore.
Tra i temi trattati dall’autore vi è quello del silenzio salvifico, della parola che guarisce, della poesia che precede il raccontarsi. Greppi mostra con originalità come la poesia non sia solo parola che cura ma, parimenti, possa anche rivelarsi preziosa per la sopravvivenza in ogni situazione estrema e disumana di prevaricazione.
In Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo (Laterza, 2023) il rapporto tra Primo e Lorenzo è ricostruito e narrato facendo commuovere e pensare, forse non era intento dell’autore scrivere un libro sulla poesia terapia, eppure l’ha fatto: sia la parola, sia il silenzio hanno un ruolo importante e vi si ritrovano vari aspetti terapeutici della poesia.
Innanzitutto, per come viene tratteggiata, la figura di Primo Levi richiama quella del poetaterapeuta: un uomo capace di parlare, ascoltare e ricordarsene (pag.168); consapevole di poter nuocere nello scrivere, facendo di una persona viva il personaggio di un romanzo (pag. 124). Questa attenzione all’altro in relazione all’uso delle parole è un aspetto che lo accomuna al terapeuta, in piena sintonia con la poetessa Giusi Quarenghi (intervista a cura di Dome Bulfaro e Paolo Maria Manzalini sul n. 0 di questa rivista). Levi lavorò quarant’anni con le parole per riuscire a scrivere con “strenua chiarezza”. E in queste poetiche immagini leviane (pag.11) mi pare risuonino alcune delle esperienze di poesiaterapia pubblicate da Mille Gru:
Le parole possono
rompere i sortilegi,
spuntare le armi della notte.
Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo è un libro potente e la sua forza sta anche nello stile di scrittura di Carlo Greppi, rigoroso e soggettivo ad un tempo; gli appassionati di poesiaterapia sapranno apprezzare non solo le poesie di Primo Levi con cui l’autore arricchisce il testo ma anche ciò che lui stesso scrive a proposito di poesia.
Scriveva Dome Bulfaro (editoriale del n. 9 di questa rivista) nello scorso numero “L’avvenuta pubblicazione di ogni numero di Poetry Therapy Italia, pare a noi di Mille Gru, l’ennesima follia di un manipolo di sognatori, spinti dal desiderio di essere ogni volta migliori di ieri, più preparati nella teoria e nella pratica della poesiaterapia, più consapevoli, più amorevoli, più degni di queste due semplici quanto straordinarie parole: essere umani…”.
Facendo riferimento a queste considerazioni, in primo luogo vorrei mettere in evidenza che questo è un testo terapeutico poiché straripante di umanità dove amore ed umanità assumono concretamente forma e divengono capacità di rimediare al male e di non sottomettersi ad esso.
Ho scritto
la mia è stata una vita
di fare e di dare,
diversa dalla tua
che è ascoltare e parlare
e quando penso a Lorenzo Perrone “bon a travajè, propi nen an fafioché”, penso a questo verso… ma in piemontese.
La ricerca storica di Carlo Greppi ci restituisce l’immagine di un Lorenzo sapiente che incarna l’essenza di quel tipo di poesia che “è fare ed è cura”. Salvifico è il silenzio dell’uomo di poche parole ed il suo “fare poetico”. La gavetta e gli scarponi - in copertina - raffigurano visivamente la parte migliore degli esseri umani.
In secondo luogo, è la scrittura di Primo Levi, le citazioni tratti dai libri e le poesie, ad avere una forte valenza terapeutica. Rinato grazie alla forza liberatrice della scrittura, Levi si è interrogato, a partire dalla sua drammatica esperienza di sopravvissuto al nazifascismo grazie a Lorenzo, sia sulla parola che guarisce (pagine 171 e 178) sia riguardo alle persone che non si riesce a guarire con le parole (pag. 186).
Greppi stesso evidenzia e documenta, a proposito di scrittura e poesia, che in Primo Levi, testimone della Shoah, la poesia precedette la prosa e già soltanto questo dato di fatto merita un approfondimento in relazione alla scrittura autobiografica e alla medicina narrativa.
In terzo luogo Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo, sembra suggerire che la poesia non sia solo parola che cura e guarisce, ma anche qualcosa di prezioso per la sopravvivenza in condizioni di vita estreme.
Negli scritti di Etty Hillesum (dove viene più volte citato come prezioso Il libro d’ore di Rilke) e nel Diario partigiano di Ada Gobetti troviamo esempi di uso terapeutico della poesia. Loro stesse danno conto di come, per entrambe, la poesia sia stata d’aiuto in momenti difficilissimi e se questo è stato vero in passato, aggiungo io, potrebbe esserlo oggi.
Via via che prosegue la lettura delle pagine di Greppi, risulta chiaro che nel fare di Lorenzo e nello scrivere poesia e prosa di Primo ci fosse qualcosa di speculare: il sopravvivere.
Sopravvissero entrambi laggiù “nella terra dei morti”; per Lorenzo fu un sopravvivere facendo il bene, restando umano, per Primo fu sopravvivere nel senso di riuscire a non morire di freddo e di fame, per tutti fu sopravvivere all’ abbruttimento, resistere al Male.
A pagina 144 (citazione ripresa di nuovo a pag 197) le parole di Levi: “Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo…” “io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa o qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi”.
Carlo Greppi a pagina 40 scrive “Primo sopravvisse grazie a una fragilissima ragnatela di gesti sensati”, facendoci così non soltanto conoscere ed apprezzare le poesie di Levi (pagg. 3, 45, 171, 241), ma ricorrendo lui stesso al linguaggio poetico quando necessario, qui ed in altri passaggi, con grande efficacia.
In quarto luogo, tra i temi trattati nel libro ve n’è uno già presente su questa rivista dove abbiamo scritto di prevenzione del suicidio. Dome Bulfaro ha approfondito ulteriormente questo argomento in relazione alle potenzialità della poesiaterapia, nella postfazione di Le parole per dirlo.
Greppi ne scrive, in più di un capitolo, sempre in termini non superficiali e non banali, con coraggio e spessore inusuale, affronta il difficile tema del suicidio (alle pagg. 126, 185, 209, 219, nelle note e nella bibliografia citando studi importanti).
L’autore offre il suo punto vista, dando un contributo assai utile proprio dal punto di vista della prevenzione al suicidio intesa come terapia sociale e cambiamento culturale.
Quinto ed ultimo aspetto che intendo mettere in rilievo: questo è un testo che aiuta ad affrontare anche la sfida della parola che non funziona e fa riflettere sui limiti del linguaggio, anche quello poetico.
La seconda parte del libro, con rigore storico e delicatezza inusuale dà conto di come Primo avvicinò Lorenzo nel tempo di ricostruzione post bellica. Si rividero più volte a Fossano e a Torino ma il non parlare di sé di Lorenzo sofferente, il suo non riuscire a chiedere ed accettare aiuto, non permisero a Primo di sdebitarsi come avrebbe voluto.
Il poetaterapeuta potrà ampliare la sua ricerca, riflettendo, ad esempio, ispirato da questa lettura, sul fallimento degli interventi fatti con le migliori intenzioni e sull'efficacia autodistruttiva dei silenzi muti e dolenti di certi pazienti.
In conclusione, credo che Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo, sia un testo che possa contribuire a fare della poesia uno strumento importante oltre che di cura e di benessere anche di sopravvivenza in situazioni di povertà umana, di ambiente ostile, di violenza, quella non evidente, nascosta, in apparenza inesistente. Invito perciò a scoprire anche gli altri tesori in esso nascosti, come queste parole di Primo Levi, di un’attualità dirompente:
Il dolore è la sola forza
che si crei dal nulla,
senza spesa e senza fatica.
Basta non vedere,
non ascoltare e non fare.
Un uomo di poche parole. Storia di Lorenzo che salvò Primo, di Carlo Greppi, Edizioni Laterza, 2023
Sitografia
https://it.gariwo.net/giusti/#:~:text=Chi%20sono%20i%20Giusti%3F,la%20persecuzione%20nazista%20in%20Europa.
https://www.primolevi.it/it/approfondimenti-linguistici
https://www.peacelink.it/cultura/a/48935.html
https://www.pangea.news/etty-hillesum-intervista-consolo/
https://www.centrogobetti.it/ada-prospero-marchesini-gobetti.html
una tra le interviste all’autore Carlo Greppi disponibili on line:
https://www.ecodibergamo.it/stories/eppen/cultura/letteratura/una-remota-possibilita-bene-nellabisso-del-lager-lorenzo-perrone-o_1753106_11/
Chiara Pent, vive e lavora Torino, ha due figli meravigliosi ed un simpatico coniglio. Dopo la laurea in scienze politiche indirizzo internazionale, ha partecipato ad iniziative di aiuto umanitario durante le guerre nei Balcani: nei campi profughi, al seguito di convogli e nella città assediata. IZET SARAJLIĆ ha detto: “Non compete al poeta cercare la poesia, ma alla poesia cercare il proprio poeta e trovarlo” e Chiara, sospesa tra i due mondi, della poesia e della psicanalisi, sente vera questa considerazione del grande poeta sarajevese.
» La sua scheda personale.