Una narrazione poetica, quella di Anna Rita Merico, che è ricerca filosofica e scavo analitico in un rapporto dialogico tra l’IO dell’autrice e l’IO altro, entrambi avviluppati in nodi esistenziali. Una scrittura in cui si ricompone la dicotomia tra l’essere e il nulla e la parola si manifesta nel suo significato più profondo per essere continua ricerca del senso dell’esistenza.
Anna Rita Merico è originaria di Nola e vive nel Salento, luoghi antropologicamente e storicamente evocativi e narrativi.
Ha intrapreso il percorso dell’insegnamento e della ricerca, affiancando un lavoro di saggista e di collaborazione a riviste. Col tempo la sua produzione si è centrata sulla scrittura poetica. In tal modo la sua formazione filosofica ha trovato nuova espressione nel processo di scrittura, evolvendosi per diventare ed essere verso, verso che si sofferma ad ascoltare suoni, ad annusare odori, percepire rumori ma capace, anche, di ascoltare silenzio.
La sua produzione si è fatta così narrazione poetica ed insieme ricerca filosofica, scavo analitico in cui dialogano non solo l’IO dell’autrice ma anche l’IO altro, entrambi avviluppati in nodi esistenziali.
io sono nel tutto che precede la creazione
ecco
la divisione crea il due
io sono assorbita nell’uno
eppure, ero nel due
poi il mille mi ha risucchiata
poi il mille mi ha vorticata
ora sono nell’uno
Il dolore, che ne deriva, si fa segno che diventa verbo a tracciare un percorso nel quale vengono ravvisati memoria, pelle, corpo, presenza ed assenza. Questo verbo non va preso alla leggera. Proprio perché verbo va colto il suo significato più profondo che travalica il senso comune, l’apparenza, cui siamo ormai abituati, per diventare significato, ritmo del fare e del divenire e continua ricerca del senso dell’esistere.
Il suo verso è ontologico, libero ed insieme lirico. Spazia sulla pagina, sembra silenziarsi ma poi riprende per proseguire nella pagina successiva come a continuare una storia che non ha fine o non deve avere fine.
Una scrittura che ti arriva addosso, che non è neutra, né lascia neutro il lettore. Non è solo parola che dice ma anche parola che resta, che si ferma sull’orlo del silenzio e si fa attraversare dal tempo. Si presenta asciutta, dal sapore quasi di paesaggi carsici ma, allo stesso tempo, fa intravedere infinite tonalità, di suono e di colore, varie sonorità, dischiudendosi ad infinite possibilità sensoriali.
La sua non è una narrazione lineare ma spezzettata, discontinua, quasi slogata che si allarga, si restringe, si dilata, ritrae la realtà dell’esistere, fatta di dialoghi e monologhi, ma anche di interruzioni, silenzi, fraintendimenti, nei quali emerge la necessità di trovare e dare un senso all’esistere, in un continuo dialogo non solo interiore ma che si direziona, anche, verso l’altro, altro che può essere specchio e compagno di scambio e condivisione dei nodi esistenziali.
Si percepisce, tuttavia, quasi il timore di togliere il nodo per evitare qualcosa che si paventa, la fine, il buio, il nulla. Nella sua scrittura Merico ricompone la dicotomia tra l’essere e il nulla.
Il corpo non è solo fisico ma è anche testuale. La parola scivola sulla pelle, su parti di corpo, su cellule, ne contorna i confini per poi sconfinare e diventare “vuoto che avvolge”. Il corpo ed il dolore diventano così nodo della scrittura ma anche snodo.
Una dimensione in cui l’autrice si muove è il tempo. Un tempo non lineare ma psicologico che diventa magma nel quale si compongono e scompongono attesa, paura, rabbia, fuga e ritorno, il dentro e il fuori, per accedere, lentamente, ad una dimensione dello spirito.
La sua poetica è sì immanente ma in questa immanenza trascende per diventare oscurità, indefinibilità, dimensione dello spirito appunto. E allora il nodo da sciogliere si snoda perché diventa il ritrovare sé stessi, l’andare in profondità, facendo riemergere parti nascoste, quelle rimosse e/o negate, perché percepite come negative, riconoscerle come parti proprie e trasformarle in opportunità.
Alla fine, emerge il rapporto primigenio, quello con la madre che passa attraverso la suzione del suo “latte rancido” trasformato “in nuova libertà” in un notturno di pianto. La poesia è un atto generativo ed in questo modo Merico lo realizza in pieno. Tutto questo significa prendersi cura di sé stessi, entrare, quindi, in una dimensione di cura, la dimensione curativa della Poesia.
Anna Rita Merico, Se tolgo il nodo, Musicaos Editore, 2023
Daniela Di Grillo vive a Monza, dove ha lavorato come funzionario in ambito pubblico, svolgendo una professione rivolta all’ascolto e all’aiuto. Da un lato il suo sguardo è rivolto al sociale e, dall'altro, all’arte, alla scrittura e alla bellezza. Nel 2006 ha pubblicato il suo primo libro di poesie Lo sguardo del poeta. Il suo desiderio di conoscenza e scoperta l’ha portata a sperimentarsi in ambito teatrale, frequentando la scuola triennale dei Teatri Possibili di Monza, arricchendo il proprio percorso anche con corsi di dizione, lettura interpretativa e laboratori di approfondimento con Sabina Villa, Alessia Vicardi, Dome Bulfaro. Ha frequentato il corso triennale di scrittura creativa con Walter Pozzi, e un corso di pittura presso la Scuola Conte di Monza. È collezionista d’arte.