Poetry Therapy Italia

01 SANDRON editoriale

 

Questo editoriale è come se incrociasse le scie iridescenti di una chiocciola: apre a molte delle questioni che innesca la domanda Come formare poetaterapeute/i? Tratteggia risposte, propone un’idea poetica di Scuola di Poesiaterapia, disegna il profilo architettonico del presente numero, evidenzia la nascita di un Comitato Scientifico e la crescita del gruppo redazionale di questa rivista, si lascia attraversare da correnti d’aria fresca che arrivano da una Barcellona che ispira.

Immagino una Scuola di Poesiaterapia che sappia essere, come una conchiglia o un guscio di lumaca, una casa accogliente e sicura, al pari di ciò che dovrebbero infondere un/a poetaterapeuta, il suo setting e il luogo in cui esercita la propria professione. Immagino la sua aula come un orto, così come l’artista Joan Mirò considerava il suo studio e il suo operare da giardiniere:

“Considero il mio studio come un orto. Laggiù ci sono dei carciofi. Qui delle patate. Bisogna tagliare le foglie perché crescano i frutti. A un certo momento bisogna potare. Lavoro come un giardiniere o come un vignaiolo. Le cose maturano lentamente. Il mio vocabolario di forme, per esempio, non l’ho certo scoperto di colpo. Si è formato quasi mio malgrado”[1] 

Immagino che la formazione di un poetaterapeuta prenda origine, come una spirale, con naturalezza, dal silenzio del saper ascoltare, senza giudizio, senza forzare. Immagino un facilitatore capace di essere Presente, capace di farsi cavità per far risuonare la voce incrinata dell’altro da sé. Immagino un poetaterapeuta che sappia leggere in filigrana ciò che c’è scritto sulle fragili ali di farfalla della persona che ha di fronte e sta chiedendo aiuto. Immagino il poetateraputa come anello di una Comunità di cura, la quale come scrive Borgna dovrebbe attivare:

“(...) un dialogo senza fine con chi sta male, e che, al di là della malattia, ha bisogno di una presenza amica che non venga mai meno, e sia sempre disponibile alle richieste di aiuto”[2]

Considero le qualità che un poeterapeuta dovrebbe saper sviluppare nel suo modus operandi, il viatico per la conquista di un modus vivendi. “Non giudicare” e “Non forzare”, ad esempio, che sono due qualità intrinseche del poetaterapeuta, non si dovrebbero coltivare solo all’interno delle ore in cui si svolge questo mestiere: non può che misurare 24h x 24h il recinto temporale dell’orto in cui coltivare le virtù di una professione di cura. Così come la poesia è intesa, in questa disciplina, come strumento di crescita, cura, guarigione, parimenti, considero la Poesiaterapia stessa come un mezzo per raggiungere, in quanto essere umano, la massima sensibilità, consapevolezza e amorevolezza.

Poetaterapeuta, ad ogni modo, al di là della visione in cui lo si iscrive, non è un mestiere che possa essere svolto da amatori della Poesia, né poeti o parvenu di ogni tipo: occorre come tutte le professioni, ancor più se di cura, una formazione di altissima qualità. Come definire questa formazione, tenendo conto che la/il facilitatrice/tore poetaterapeuta, che andremo a formare, lavorerà verosimilmente in Italia, ma potrebbe anche operare su scala internazionale?

I tanti esempi desumibili da corsi di certificazione per biblio/poetarapeute/i attivati all’estero negli Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Ungheria, Italia, Israele, Nuova Zelanda… possono senz’altro aiutarci a creare l’identikit della formazione che un/a poetaterapeuta italiano/a dovrebbe acquisire, così come possono aiutare i corsi di formazione attivati in Italia per le altre arti terapie o i piani didattici concepiti in Italia per formare professioni della cura e del benessere, anche se, a dire il vero, a forza di allargare il campo di comparazione, c’è il rischio concreto di disperdersi e smarrirsi, anziché arrivare a circoscrivere, mettere a fuoco e definire percorsi formativi che sappiano davvero rispondere a bisogni reali.

La domanda “Come formare Poetaterapeute/i?”, che ha guidato la formazione di questo numero 10 di Poetry Therapy Italia, trova senz’altro una prima, articolata e desumibile risposta, nel codice etico che ho definito per la BIPO – Associazione Italiana di BIblioterapia e POesiaterapia (https://www.associazionebipo.it/codice-etico/).

Si tratta di un Codice Etico, che stimola

la coltivazione della più alta qualità relazionale e professionale, indica gli standard di comportamento da tenersi con: 1- Gli utenti; 2- I colleghi biblio/poetaterapeuti; 3- I datori di lavoro; 4- Gli altri professionisti; 5- La comunità; 6- Il Paese in cui si opera[3]

e che

pone al centro della propria deontologia il benessere dell’utente (chiunque ella/egli/esso sia), in quanto Principio fulcro dell’operato professionale della biblio/poesiaterapia, da cui prendono vita gli altri quattro Principi di Professionalità. 1- Principio Fulcro: il Benessere dell’utente; 2- Principio di Competenza; 3- Principio Maieutico del Benessere; 4- Principio di Relazione professionale; 5- Principio di Riservatezza[4]

eppure, questo o qualunque altro Codice etico, non basterebbe a far comprendere quale preparazione si debba acquisire per iniziare a svolgere questa professione di cura nella relazione, qual è quella del/la biblio/poetaterapeuta.

Ascolto totale, professionalità, sensibilità, duttilità, equilibrio, compassione, amorevolezza, attuazione consapevole del codice etico; capacità di infondere fiducia, speranze, appetito per la vita; capacità di attivare processi di auto consapevolezza, auto aiuto, autostima, trasformazione… Per comprendere appieno la complessità e il tipo di preparazione che occorre per diventare poetaterapeuta, basterebbe tentare di rispondere anche solo ad alcune delle seguenti domande:

sai usare la poesia e altre forme letterarie in modo intenzionale, perseguendo con professionalità finalità terapeutiche? Sai usare la Poesiaterapia in modo autonomo, in relazione ad altre arti terapie o come integrazione ad altri percorsi terapeutici? Quanto conosci e sai usare le potenzialità prosodiche, retoriche, simboliche e immaginifiche proprie della poesia? Quanto conosci e sai usare con fine terapeutico tutte le forme della poesia – ad esempio: il Sonetto, lo Haiku, la Filastrocca, la Ninna Nanna, la Canzone, l’Epigramma, il Salmo, la Ballata, (…)? Quanto conosci e sai usare con fine terapeutico tutte le altre forme letterarie che vengono adottate con la Poesiaterapia come lo sono ad esempio: la scrittura di un diario, le storie in sei parole, la scrittura di lettere, racconti, aforismi, il blogging? Hai una cultura base solida in poesia? Conosci la Storia della Biblio/Poesiaterapia? Sai facilitare, per mezzo della poesia, la crescita di un/una singola/o cliente, una coppia, un gruppo o un’intera comunità? Sai lavorare come facilitatrice/tore con neonate/i, bambine/i, preadolescenti, adolescenti, adulte/i, anziane/i? Sai lavorare, attraverso la poesia, con persone che soffrono di disturbi alimentari, disturbi dell’attenzione, tossicodipendenza, alcolismo, disagio infantile e giovanile, problemi di relazione (di coppia, genitori-figli, ecc…), fragilità mentale? O soffrono perché sono malati di Alzheimer, malati di Parkinson, malati di tumore, senzatetto, anziani in stato di abbandono, persone che hanno subito o sono sopravvissute a violenze, abusi, stupri, incesti... Sai lavorare in contesti come ospedali, biblioteche, case private, case di cura, sedi di associazioni, spazi aperti?

E ancora quali basi psicologiche e pedagogiche bisogna acquisire per svolgere il mestiere di poetaterapeuta? Sai lavorare in squadra con medici, psicologi, psicoteraputi, docenti? Che tipo di saperi relativi alla qualità della comunicazione deve acquisire un poetaterapeuta? Conosci, sai leggere, sai interpretare e usare con consapevolezza il linguaggio non verbale, para verbale e verbale? Sai usare tutte le modalità ricettive ed espressive della poesia: ascolto, lettura, composizione, performance? Sai operare con il cliente a partire da poesie e canzoni?

Potrei riempire pagine e pagine di domande analoghe, ma credo che anche solo quelle qui sopra riportate abbiano chiarito quanta preparazione occorra per svolgere il mestiere di poetaterapeuta e quanto l’aggiornamento, come accade in ogni professione di cura, sia necessario per incrementare e approfondire la propria efficacia nell’aiutare l’Altro in difficoltà, a trasformare in occasione di crescita o guarigione, ogni passaggio critico che inevitabilmente tutte/i devono affrontare nel corso della propria vita.

“L’infinito non ha fretta, ci insegnano ogni giorno le chiocciole e altri coltivatori che trasformano il mondo con cura. Occorrono i giusti spazi e tempi per decifrare le mappe esistenti dentro le parole, i gesti e i silenzi. Occorrono teoria, creatività e tanto sano pragmatismo per acquisire consapevolezza di sé e del principale mezzo con cui la/il poetaterapeuta opera: la poesia”

Così si apre la descrizione della quarta edizione, composta di 85 ore, attraverso le quali, tra settembre e dicembre 2024, si svilupperà il Corso di formazione di Poetaterapeuti proposto da PoesiaPresente, la nostra Scuola di Poesiaterapia (e non solo).

Il Focus di questo numero di Poetry Therapy Italia, invece, scandaglia la terza edizione, chiusasi a maggio 2024, con articoli descrittivi delle lezioni e dei laboratori attivati, scritti dalle/i docenti che hanno ideato e condotto i loro moduli (Manzalini, Castoldi, Perfetti, Bianchi Mian), oppure scritti dalle corsiste/i che hanno beneficiato di questi percorsi di formazione (De Donatis, Tosolini e Padovani).

A seguire, in questo numero 10, sono esposte altre esperienze di formazione e pratiche legate alla cura dell’Alzheimer (Morabito & Cavestri, Russo), scritture terapeutiche di guarigione (D’Abdon, Lee Young-Shik, Nucci, Mazzilli, Prati) e autoguarigione (Acquaviva, Lombardi), oppure, sono raccontate da nostre redattrici (Di Grillo su Merico). Le recensioni permettono di evidenziare l’aspetto terapeutico dei versi che intrecciano le vite di Lorenzo Perrone e Primo Levi (Greppi/Pent), di esplorare una schiera di grandi donne che hanno avuto l'onore e l'onere di farsi portatrici di dolore (Motta/Gioia), di conoscere la figura “mistica” di Margherita Porete (Roat/Gioia). Chiudono tre approfondimenti rispettivamente incentrati su terapia della scrittura e della performance (Papp), sul rapporto tra Essere umano-Natura-Cura-Poesia in tempo di genocidio (Haberland), e sulla psicochirologia dello psicologo e psicoterapeuta tedesco Julius Spier (Bove).

Come formare poetaterapeute/i? è una domanda che richiede una risposta senza fine. Il rapporto tra poetaterapeuta e cliente, simmetrico, esistenziale – come lo ha teorizzato e lo pratica Irvin Yalom, psicoterapeuta e nostro lume di riferimento – porta a una continua mutua fecondazione, anche quando il percorso di cura diretta si conclude. Ogni poetaterapeuta nella sua scheda di conduzione di ogni incontro dovrebbe ritagliarsi, tra le righe parallele, ben compilate, anche degli spazi bianchi e linee duttili e propositi poetici, magari lasciandosi ispirare da poesie delicate e magiche come questa di Silvia Vecchini: 

I propositi di una chiocciola

Primo, non farsi schiacciare
portarsi dietro solo l’essenziale
con segnali di pericolo, rientrare
ma alzare sempre antenne e occhi telescopici
soprattutto verso l’invisibile
necessitare di un consimile
fecondare ed essere fecondati
contemporaneamente
procedere adagio
ma dividere per quattro ogni secondo
lasciare una traccia iridescente.[5]

Una Scuola di Poesiaterapia che forma poetaterapeute/i dovrebbe, pur restando nel recinto della propria professione, insegnare a disegnare il proprio personale infinito guscio. Ogni professionista certificato dovrebbe, a fine percorso, arrivare a lasciare una traccia iridescente inconfondibile. Un corso di formazione per poetaterapeute/i non dovrebbe rimandare solo al concetto di cura, ma anche a quello di bello. Un potenziale corsista, dopo aver letto il piano di formazione in Poesiaterapia, dovrebbe con spontaneità esclamare “bello!”. Dovrebbe sentire il piano di formazione come un oggetto di artigianato lavorato con maestria, come un abito pregiato tagliato su misura. L’architettura di un corso di formazione per Facilitatori in Poesiaterapia non dovrebbe mai perdere la relazione con il fatto a mano. In senso estetico l’individuazione di quali materie far studiare e praticare quando si progetta e modella un Corso per questa professione, implica un altro problema: in quale relazione proporzionale porre le materie individuate, poiché “la proporzione è una delle qualità principali della bellezza”[6] (Gaudì). E ancora scrive Gaudì: “(...) la bellezza della forma è, diciamo così, la poesia di certe idee che si riflettono esattamente nella forma che contempliamo”[7].

Correnti di aria fresca, ben temperata e ventilata, soffiano tra le pagine online di questo numero 10 di Poetry Therapy Italia, segnato dal battesimo di una nuova redazione, cresciuta per numero di persone e competenze e cresciuta per costituzione, dato che debutta il Comitato Scientifico, espressione sia della spiccata propensione internazionale che abbiamo manifestato fin dalla nascita della nostra rivista e scelta del nome “Poetry Therapy” (anziché Poesiaterapia), ma anche espressione dello sviluppo accademico che la nostra rivista intende perseguire parallelamente al taglio divulgativo, che la contraddistingue fin dalla sua prima pubblicazione online.

Indirettamente anche questa crescita redazionale risponde alla domanda “Come formare poetaterapeute/i?” dato che diverse/i nuove/i redattrici e redattori arrivano proprio dal Corso di formazione attivato da PoesiaPresente, la nostra Scuola di Poesia, che offre percorsi su tre indirizzi: Scrittura poetica, Poesia performativa e, appunto, Poesiaterapia.

Correnti d’aria di Barcellona ondeggiano in questo editoriale punteggiato da riflessioni, tra gli altri, di artisti pregnanti come Mirò e Gaudì. Per questo, forse, mi viene naturale chiudere questo testo con dei versi “confidenziali” di Miquel Martí i Pol, il maggiore poeta catalano del Novecento che sulle sue poesie, in particolare riferendosi ai versi endecasillabi che compongono il Libro delle solitudini (Llibre de les solituds), ha scritto: “Ho sempre avuto un debole per i decasillabi, come li chiama il mio popolo, al punto che una volta, con tutta la barra, sono arrivato a dire che io penso, in decasillabi. (...) Non mi piace affatto parlare di ispirazione, ma non so a cos’altro ricorrere per provare a giustificare una sorta di dirigismo che controlli le poesie senza affogarle”[8]. Questo stralcio ci fa intuire quanto anche l’uso di un metro, oltre all’ispirazione, sia importante nel dettare all’utente, attraverso la poesia, una direzione di ricerca, una messa in ordine, un controllo guidato e consapevole del respiro. Sapere come usare i vari metri o il verso libero, in funzione tearapeutica, è materia specifica della Poesiaterapia. Così come lo è sapere come, quando, perché, dove e con chi usare un certo tono che è, nel caso della poesia di Miquel Martí i Pol, spiccatamente confidenziale. Lui stesso ci rivela alcune proiezioni introiettive dello scrivere poesie: “C’è ancora un’altra tendenza generale nella mia poesia che credo debba essere tenuta in considerazione: quella di rivolgersi a qualcuno – principalmente a me stesso, va detto tutto – in molte delle mie poesie”[9].

Sovente capita, in questo mestiere, che poesie, prose e libri, da cui ci sentiamo attratti o attraiamo, da cui ci sentiamo respinti o respingiamo, ci raccontino del mondo interiore che ci abita e il mondo intorno per come lo vorremmo o lo percepiamo. Poesie, prose e libri, spesso, consentendoci di “distanziare noi da noi” e prendere una forma “doppia”, ci fanno da specchio, sosia, ombra, ectoplasmi rivelatori, come accade in questa poesia inafferrabile di Miquel Martí i Pol.

È salutare che una parte della risposta alla domanda Come formare poetaterapeuti? resti elusa, come immersa nel silenzio cavo di una chiocciola. La ricerca di una geometria armonica, nel disegnare la linea di sviluppo di un percorso di formazione in Poesiaterapia, o anche più semplicemente, nel dare forma a una lezione frontale o un laboratorio, ci rivela quanto per quel/la formatore/trice sia irrinunciabile la preservazione di un tratto poetico.

 

Els llibres

Conservo encara l’habit del silenci
de quan vivia temps menys sorollosos
i era feliç sense saber-ho. Algun
ectoplasma de mi sovint ordena
prestatges invisibles, treu la pols,
endreça, fa dissabte. Jo me’l miro
condescendent, bonhomiós, tranquil,
i fins i tot hi parlo en veu tan baixa
que no em sent, o fa veure que no em sent.
Tardes enllà d’uns anys que no he viscut
ní tal volta viuré, si algù despenja
qualsevol llibre sentirà una lleu,
amable i molt subtil asgarrifança
que potser li desvetllarà el desig
mig adormit de fer-ne la lectura.

I libri[10]

Conservo ancora abiti di silenzio
da che vivevo in tempi meno caotici
e ero felice senza saperlo. Un
ectoplasma di me sovente riordina
scaffali invisibili, fa la polvere,
rassetta, sa di sabato. Io lo osservo
condiscendente, bonario, tranquillo,
per di più parlo a voce così bassa
che non mi sente, o finge che non sente.
Serate al di là di anni non vissuti
che mai vivrò, se qualcuno poggiasse
qualsiasi libro sentirebbe una lieve,
amabile e molto sottile scossa 
che forse sveglierebbe il desiderio
mezzo sopito di darne lettura.

(Traduzione di Dome Bulfaro)

 

[1] Mirò Joan, Lavoro come un giardiniere e altri scritti, (a cura di) Marco Alessandrini, Abscondita (Electa), Milano, 2008.

[2] Borgna Eugenio, In ascolto del silenzio, Einaudi, Torino, 2024, p. 82.

[3] https://www.associazionebipo.it/codice-etico/

[4] idem

[5] da Piccolo canzoniere di Silvia Vecchini, Sartoria Utopia. Milano, 2021.

[6] Antoni Gaudí, Idee per l'architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi, a cura di I. P. Boada, Jaca Book, Milano, 1995, p. 43.

[7] “(...) la belleza de la forma es, digámoslo asì, la poesía de ciertas ideas que se reflejan exactamente en la forma que contemplamos”. Da Antoni Gaudí, Escritos y documentos, El Acantilado 54 (edición de Laura Mercader), Barcelona, 2002, p. 93.

[8] “Pel decasíl·labs jo sempre hi  he tengut debilitat, que diem al meu poble, fins al punt que alguna vegada, amb tota la barra, he arribat a dir que hi penso, en decasíl·labs. (...) No m’agrada gens parlar de la ispiraciò, però no sé a què més recórrer per intentar de diguem-ne justificar una mena de dirigisme que controla els poemes sense ofegar-los” da Miquel Martí i Pol, ¿Què és poesia?. Empúries, Barcelona, 2000, pp. 101-102.

[9] “Hi ha encara una altra tendència general en la meva poesia que crec que cal tenir en compte: la d’adreçar-me a algú – principalment a mi mateix, tot s’ha de dir – en molts dels meus poemas.” Da Miquel Martí i Pol, ¿Què és poesia?, Empúries, Barcelona, 2000, pp. 102-103.

[10] Miquel Martí i Pol, Llibre de les solituds, Editions 62, Barcelona, 2021, p. 34.

 


 

Dome Bulfaro Foto Dino Ignani Rimini 2016

Dome Bulfaro (1971), poeta, esperto di poesiaterapia, si dedica alla poesia (di cui sente un servitore) ogni giorno dell’anno. È tra i più attivi e decisivi nel divulgare e promuovere la poesia performativa; ed è il principale divulgatore in Italia della poetry therapy/poesiaterapia. Dal 2021 è docente di Poesiaterapia e Lettura espressiva poetica presso l’Università degli Studi di Verona, nel pionieristico Master in Biblioterapia. Nel 2013 ha ideato e fondato con C. Sinicco e M. Ponte la LIPS - Lega Italiana Poetry slam. Nel 2023, ha ideato e fondato con M. Dalla Valle. P. M. Manzalini e I. Monge la BIPO - Associazione Italiana Biblioterapia e Poesiaterapia, prima associazione di categoria. Ha fondato e dirige Poetry therapy Italia (2020), rivista di riferimento della Poesiaterapia italiana. Ha fondato e dirige (con Simona Cesana) PoesiaPresente – Scuola di Poesia (2020) performativa, scrittura poetica e poesiaterapia. www.domebulfaro.com

(Foto Dino Ignani)
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