Poetry Therapy Italia

08 SANDRON tosolini

 

L’articolo racconta l’esperienza dei laboratori di autoformazione nata su proposta di due corsisti nell’ambito del Terzo Corso di Poesiaterapia di PoesiaPresente e Mille Gru, accolta dal gruppo e supportata dall’organizzazione, come un momento chiave nell’ambito della formazione del poetaterapeuta. L’obiettivo della testimonianza è fornire un riferimento strutturato per i futuri laboratori di autoformazione rilevando criticità e punti di forza delle dinamiche che le varie esperienze hanno attivato.

 

Com’è nata e si è sviluppata la proposta di autoformazione PoesiaPresente?

La proposta di autoformare il gruppo partecipante alla terza edizione del corso di Poesiaterapia organizzato da PoesiaPresente nasce da alcune considerazioni sorte durante l’edizione 2023-2024 e raccolte da Maurizio Padovani e Giulia Tosolini.
Il clima di rispetto, profondità e armonia, che si è creato durante le varie esperienze in presenza unito al desiderio di mettere insieme le diverse capacità personali e professionali per creare occasioni di confronto e di aiuto, utili per accrescere le singole modalità di espressione e arricchire i laboratori che singolarmente si propongono o si andranno a proporre, è stato fondamentale. A questo si sono aggiunte: la necessità di alcuni corsisti di mettersi “nei panni” del docente in un ambiente protetto creando un laboratorio a tutti gli effetti, potenzialmente esportabile all’esterno, e impreziosito dai consigli, le istanze, i suggerimenti che emergono dai colleghi partecipanti e dalla supervisione di Dome Bulfaro, la necessità di chi ha già esperienza di acquisire nuove prassi di lavoro e spunti da inserire nelle proposte personali e la disponibilità e l’apertura umana e operativa dimostrata da tutto il gruppo di PoesiaPresente e Mille Gru.

L’organizzazione si è occupata di verificare la disponibilità della sede e stabilire con Mille Gru la data dell’autoformazione, raccogliere le adesioni e le preferenze tra i partecipanti, secondo uno schema predisposto e stabilire chi volesse condurre un gruppo, seguendo il metro della volontarietà, predisponendo uno schema di massima per i vari laboratori in accordo con i docenti volontari, con cui si sono stabiliti i dettagli logistici e i contenuti; si è predisposto il materiale occorrente attingendo da quello già disponibile in sede Mille Gru, infine, quindici giorni prima dell’evento il programma è stato reso pubblico. Gli ultimi giorni sono serviti per verificare le conferme, la disponibilità di materiali e gli aggiornamenti.

Il giorno dell’evento, gli allievi organizzatori hanno effettuato una breve presentazione, a seguire si sono svolti i laboratori. Per ogni laboratorio erano previsti spazi di riflessione e condivisione del lavoro svolto che sono risultati di grande utilità. Nella seconda giornata la presenza di Dome Bulfaro ha consentito uno scambio ancor più proficuo all’interno dei vari laboratori.

D’accordo con Mille Gru e PoesiaPresente consideriamo l’evento come una prima esperienza che potrà essere ripetuta con altri allievi del corso in veste di docenti. È già stata, infatti, individuata la data di gennaio 2025, al termine del prossimo corso di Poesiaterapia per proseguire con l’esperienza di autoformazione.

Come materiale di supporto e per completezza condividiamo qui di seguito le strutture dei laboratori svolti, le restituzioni nell’ambito dell’autoformazione e alcuni dei testi creati durante le varie sessioni.

Laboratorio 1 – Monica Anghinelli (2 ore)


Alla ricerca del nostro ben-essere. Una esplorazione poetica iniziale
Attraverso stimoli poetici e artistici, utilizzando esercizi poetici e giochi di parole, praticheremo scritture individuali e collettive alla scoperta di ciò che ci fa stare bene. Una prima tappa di un percorso in emersione, in divenire, da intraprendere insieme.

Il laboratorio applica il metodo RES di Nicholas Mazza per esplorare il concetto di benessere. Essendo un gruppo di persone che già si conoscono si salta la parte introduttiva di presentazione.

Per focalizzarsi sulla respirazione si viene invitati a camminare con un cuscino in mano in modi diversi dalla conduttrice (camminata tranquilla, camminata di fretta, passeggiata, ecc.) e poi a trovare un posto personale nello spazio a disposizione, ma non al tavolo, riportando di nuovo l’attenzione al respiro. Il portare attenzione alla situazione presente mette in condizione l’utente di ricevere gli stimoli che apriranno le corde poetiche, come ricorda la conduttrice.

Il primo stimolo arriva con la canzone L’illogica allegria di Giorgio Gaber. Seduti al tavolo, dopo l’ascolto, e con il testo della canzone sottomano, la conduttrice chiede quali siano i versi o le parole che hanno colpito maggiormente l’attenzione. A partire da questa domanda si attiva una condivisione da cui emergono i vari punti di vista. Per sollecitare ulteriori risonanze, la conduttrice condivide alcuni spunti sulla canzone, portando l’attenzione sulla contraddizione ossimorica, sottolineando l’importanza di riflettere sullo spunto, ma senza l’obbligo di condivisione ad alta voce.

Il secondo stimolo è la costruzione di un acrostico con le parole del titolo ILLOGICA ALLEGRIA. Per chiarezza, la conduttrice condivide il suo acrostico e risponde alle domande dei/delle partecipanti condividendo la sua esperienza e spiegando la funzione dell’attività proposta, per cui non è importante creare una frase di senso compiuto, è possibile ricorrere anche alla libera associazione di idee. Segue un momento di condivisione di alcuni acrostici, da cui emerge lo spirito di gioco e il coinvolgimento del gruppo, sollecitato sempre con delicatezza dalla conduttrice, che evita il giudizio personale raccogliendo e riassumendo i principali temi emersi.

Il terzo stimolo è uno stelo poetico per riflettere su cosa sia il benessere: Sono stato bene quando…/sto bene se… a cui segue la condivisione libera.
I tre stimoli offerti sono legati all’esplorazione del ben-essere e convergono in un’attività successiva che chiede di addomesticare la poesia in uno scritto (lettera a se stessa/a, scrittura in prosa, narrazione) intitolato Ciò che ti fa stare bene. Qui l’obiettivo esplicitato è “dare forma” alle parole.

Segue una condivisione in cerchio rispetto all’ultimo scritto, senza forzatura, ma ricordando come anche attraverso l’ascolto dei versi altrui si possa trovare benessere.

Il laboratorio si conclude con una poesia collettiva: la conduttrice chiede di selezionare un verso dall’ultimo componimento condiviso e di riportarlo su un foglietto. Raccolti tutti i versi, li sparge su un foglio più grande e intuitivamente li riordina, legge il testo che emerge e, prima di incollare i fogli, chiede conferma al gruppo. La lettura della poesia condivisa chiude il percorso poetico.

 

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foto dal laboratorio di Giulia Tosolini

 

Al termine del laboratorio si procede a una restituzione tecnica rispetto al laboratorio come processo di autoformazione:

  • per la conduttrice il laboratorio ha rappresentato un riscontro e una conferma della sua scelta di voler portare il benessere nei luoghi di vita (in antitesi rispetto ai luoghi di cura, dove opera), il clima che si è creato, anche grazie alle dimensioni ridotte del gruppo, le ha permesso di aprirsi e attraverso la conduzione raccontare molto di sé, in scioltezza, pur confermando la necessità di chi conduce di rimanere indietro rispetto ai/alle partecipanti;
  • alcuni partecipanti si sentono stimolati dagli spunti offerti e nonostante la difficoltà che immaginano rispetto alla conduzione di un laboratorio si sentono ispirati;
  • sono stati apprezzati la scioltezza e il taglio educativo, la morbidezza, una modalità materna e accogliente di applicare la metodologia RES, permettendo la creazione di risonanze. Si sottolinea l’unione feconda del metodo come contenitore a cui aggiungere l’intenzione iniziale di far stare bene proteggendo.

Testi nati dal terzo spunto, lo stelo poetico Sono stato bene quando…/sto bene se…

 

Capita
Dopo una serata tra amici,
arrivata a casa
senti l’urgenza di mandare un whatsapp
anche se sono le due del mattino:
Grazie,
Siamo stati proprio bene.

(Patrizia B.)

Sono stato bene quando ti ho dato la mano
e ce la siamo stretta dicendoci ti voglio bene
sono stato bene quando mi hai sorriso con gli occhi
e poi hai girato lo sguardo

(Giuseppe R.)

Io sto bene quando posso piantare un seme,
che viene dal mio sacchetto
E non dal cappello del mio coniglio,
che sta là in fondo e piange un sacco.
Nemmeno il seme del fiore passo
che hai preso tu oggi in giardino
Ma quel semino che mi conviene, non perché è bello o ben tornito,
voglio piantarlo pur senza acqua per il momento, se è ciò che voglio e mi fa contento.
E se cammini e ne trovi uno, non me lo mettere nella tasca un po’; di soppiatto se sto distratto
Perché magari poi mi sveglio con un cane e io volevo un gatto!
Tu che ne sai. Tu che ne sai che quel che vuoi poi me lo dai?
Voglio piantare un seme come mi va, se mi va, quando mi va. Un seme che anche se non fa fiore o non fa
frutto mi porti in sogno un po’; dappertutto
Che possa essere un po’; imperfetto, non perché è brutto, ma perché è mio
Io sto bene quando metto la mano nel sacchetto e anche se non c’è niente, ci sono io

(Corinne C.)

Pensieri
sss silenzioso
rimbalzano
nel cubo 
sopra il collo
in...sieme a te li osservo
es...soffio bolle di sapone

(Sandra B.)

Disseminato come un prato
fiorito e impalpabile, esiste
dissodato tra zolle di parole.
Viaggio
puoi dirlo disegno incerto
sublime orizzonte a perdere.
(Maurizio P.)

 

1. Sola,
2. Mi respiro.
3. Mi guardo dentro
4. E intorno. Luce, ombra,
1. Io.

(Amelia B.)

Maggio, passaggio
ascolto il ritmo lento del piede
annuso l’aria e torno bambina
chiudo gli occhi
e sono di nuovo in quella cucina
e osservo due mani di donna
che trasformano il latte in un’onda
che di nuvola ha l’apparenza
e di amore la piena sostanza.

(Simonetta D.)

sono stata bene quando
ero immersa nei tuoi occhi
dal colore dei tronchi che si mescolano al muschio tormentato dalla rugiada

sto bene se quello sguardo
lo sento su di me
lo sento dentro di me,
fisso e sorridente

(Giulia T.)

Laboratorio 2 – Maurizio Padovani (2 ore)

 

David Henry Thoreau, ovvero, la via del selvatico. Laboratorio poetico in cammino
Camminare può diventare un modo di vivere, un’azione poetica, una forma di disobbedienza civile? Thoreau indica la sua personale strada per discoprire una nuova, intima consapevolezza. Noi cercheremo di seguire le sue tracce per ri-trovare, grazie alla poesia, l’essenziale come scoperta inesauribile: bastano una penna e un foglio!

Il conduttore prima di iniziare l’attività, in cerchio, spiega la scelta dell’argomento, introduce l’autore contestualizzandolo, anticipa le modalità di svolgimento (lettura di brani di Thoreau con compiti in versi poetici in cammino legati alla scrittura intuitiva e di getto che riflette le sensazioni della camminata) e la chiusura in cerchio con condivisione libera e saluto rituale: la scelta della figura di D.H. Thoreau implica il riferimento alla natura e l’incontro della parola attraverso il camminare, riprendendo l’invito dello stesso poeta con riferimenti alla situazione contemporanea offerti da chi conduce, che pone l’attenzione al simbolismo del camminare.

Prima di partire per la camminata il conduttore puntualizza alcuni aspetti utili per lo svolgimento ottimale del percorso:

  • ricorda di mantenere il silenzio, poiché si tratta di una meditazione in movimento;
  • invita a fissare un’intenzione per il laboratorio;
  • invita a pensare a un animale mentre si cammina, adottandone il punto vista non solo per il movimento ma anche per l’atteggiamento con cui si entra in contatto con la natura;
  • avvisa che a ogni stop nel verde è prevista una lettura a cui segue uno spunto per scrivere per circa 5/7 minuti per non interrompere il flusso di camminata, lettura, scrittura durante il percorso.

Le ispirazioni poetiche delle tre tappe provengono da due testi chiave di David Henry Thoreau, Camminare e Walden, vita nel bosco:

  • “Da dove vengo, dove vado? Est. Ovest?”
  • “Il mio Vangelo dell’attimo presente”
  • Quando torno a casa la sera porto con me…”

Al rientro dalla passeggiata si procede a una condivisione in cerchio in cui il conduttore restituisce anche le impressioni rispetto ai vari animali impersonati e chiede riscontro rispetto a come si è vissuta la camminata.

Al termine della condivisione di uno dei testi, si conclude il laboratorio con un saluto rituale, Mitakuye Oyasin, in cerchio, letto a turno fino ad arrivare al verso finale letto in coro. Infine, ogni partecipante a turno lascia al gruppo una sua parola “di cura”.

 

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foto dal laboratorio di Corinne Capria

 

Dopo il laboratorio si procede a una restituzione tecnica rispetto al laboratorio come processo di autoformazione:

  • si riconosce l’utilità del camminare nella natura per aprire gli occhi, il silenzio come luogo dell’intuizione, la differenza tra la strada fatta da soli e quella in compagnia;
  • il camminare ha permesso di risuonare con temi attuali e l’atteggiamento del conduttore, in particolare nell’ultima fase, che accoglie le restituzioni, le riassume e condivide ciò che ha notato per arricchire, mostrare e facilitare la consapevolezza ai partecipanti permette di riconoscersi e di sentirsi guidati;
  • alcuni partecipanti riconoscono connessioni con elementi emersi anche nel laboratorio precedente;
  • viene condivisa la necessità di tempo per calarsi nei panni dell’animale e assumere il suo punto di vista.

La mattina successiva, a integrazione del laboratorio Giuseppe Ruscigno, fotografo amatoriale partecipante al percorso di autoformazione, propone una foto analogica in bianco e nero ispirata all’animale incarnato durante la sessione del giorno precedente. Uno scatto che fissa senza possibilità di scelta o ritocco l’essenza di ciò che è stato sperimentato. Un’attività svolta in silenzio che permette di calarsi nell’atmosfera del laboratorio successivo, che affronta il tema del lutto.

Testi nati dal primo spunto, Da dove vengo, dove vado? Est. Ovest?

Vengo dai campi, dal giardino
Dagli alberi
Vado
Senza direzione
Non vado, resto lì
Andrei, potendo, a ovest,
al mare.
Sono un vecchio cane quasi cieco
Mi ricordo un odore
Lo cerco
Di quell’odore mi rimane
Incolmabile nostalgia

(Patrizia B.)

Procedo con lentezza
ho paura, provo a guardare indietro
sono già troppo lontano, non posso ritornare
c'è una giovinezza passata
davanti a me un giacimento di infinito benessere
stare fermi. Non muoversi

(Giuseppe R.)

Trotterello. Un moto cadenzato e buffo mi sta nel corpo. So di entrare nella giungla. Faccio finta di non
saperlo shhh. Non mi perdo tra est e ovest. Ma chiedo indicazioni, così, per gentilezza. Trotterello, con
l’apparente ingenuità di un piccolo cucciolo che gioisce nel saper camminare. Mettere un piede dinnanzi
all’altro mi è neutro, faticosa la volontà di farlo. Sto in equilibrio sulla fune, ma neanche cadere mi è nuovo,
così come la volontà di non rialzarsi. Però chiedo una mano, a volte, così, sempre per gentilezza. Per dare
gioia, perché sentirsi utili fa vivere meglio. Perché chi ancora non sa dove sta l’est e l’ovest, possa sapere
almeno dove sta il suo cuore. Trotterello... per gentilezza, perché magari qualcuno non sa farlo, e allora
glielo spiego. Che tanto morire è un attimo.                                                                                                                                         

(Corinne C.)

Da dove vengo
Dove vado est/ovest
Quattro i punti cardinali 
quattro i segni algebrici 
sottrarre con fatica 
Il silenzio s’illumina 
di di-vino
volgo il calice controluce al tramonto 
il caldo rubino si riempie 
di attesa 
la corposità s'intuisce,
 sarà la mia bocca 
a coglierne l'attimo 
con persistenza.
So che potrà riaccadere.

(Sandra B.)

 

Vengo dalla madre
Vengo dal padre

Vado sola e guardinga
Da un est ad un ovest

Ho bisogno di una
nuova bussola

l’est era il mattino, l’inizio
l’ovest era la sera, il riposo

l’est era la casa dei genitori

ora nel bosco della vita
cerco la mia radura

verso ovest
dove trovare pace.

(Monica A.)

 

Da dove vengo?
Vengo da terra nera,
grassa, di grano
e di frumento.
Povertà, non miseria,
e dignità.
Vengo da ovest.
Dove vado?
Spero non mi uccidano
ho piume troppo colorate.
Vado nel dentro
sempre più dentro
nel tronco degli alberi.
Ora faccio il mio nido.

(Amelia B.)

Gatta:
Da un’alba ad est
mi muovo verso ovest
seguendo l’odore
del sole caldo
e le pagliuzze dorate
dei miei occhi.
Mi fermo solo
da chi sa di buono.

(Simonetta D.)

Passi che arrivano da
prati verdi, dove l’orizzonte
fisso è una linea di blu.
Profumo di vita che
mi conduce a esplorare
distese di sensi e respiro.
Nello sguardo,
tutte le direzioni.

(Giulia T.)

Laboratorio 3 – Amelia Bortini (3,5 ore)

 

Il lutto è un passaggio
Il laboratorio esplora, attraverso la scrittura poetica, il passaggio come ponte che presuppone un lavoro, per condurci dalla disperazione della perdita a un nuovo sentire. Niente sarà più come prima e nemmeno noi, nemmeno chi resta, perché ci saremo trasformati, perché saremo in grado di dire “Grazie” a chi ci ha lasciato.

Il setting prevede delle sedie in cerchio, al centro un tappetino di velluto con una candela, una ciotola tibetana e del palo santo. Chi conduce introduce il tema come qualcosa di presente nella vita quotidiana di ciascuno che però non si affronta e indica che il focus del laboratorio è su chi sopravvive al lutto.

 

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foto dal laboratorio di Giulia Tosolini

 

La guida per le varie fasi viene fatta passo passo. Si inizia da un’introduzione teorica con riferimenti a Poesia e Psiche di Luca Buonaguidi (Mille Gru, 2022), a Louise Madeira (“Adoro l’ambivalenza poetica di una cicatrice. Porta con sé due messaggi: qui, mi sono fatta male, qui, sono guarita”) e a Massimo Recalcati. Segue un rituale di accensione della candela e, in piedi in cerchio, il passaggio di mano in mano per presentarsi, dicendo il proprio nome contemplando il fuoco (qui il riferimento è a Thich Nhat Hahn) e a seguire 3 minuti di silenzio per godere del respiro e dell’immagine della fiamma.

La conduttrice chiede “Cosa vi ha spinto a venire qui oggi? Desiderate condividere qualcosa del tema che ci riguarda?” e annota ciò che emerge, propone poi il primo spunto, una poesia di Jachen Andy e lo stelo poetico Morto per me vuol dire… Vengono concessi circa dieci minuti di tempo per la scrittura che si svolge nel silenzio totale; alla fine del tempo, chi conduce invita a concludere accompagnando la ripresa della sessione sottolineando l’importanza del portare fuori, raccontare e dire rispetto a un tema di grande impatto. Si procede con la condivisione con una lettura a flusso che apre poi al tema del non risolto; alcuni partecipanti condividono accenni a esperienze personali.

Viene poi proposta una breve sessione di rilassamento con una visualizzazione guidata, le mani sulle ginocchia: a ogni inspirazione si chiede di portare il focus sul dispiacere a cui si dà nome e forma e si porta nella luce mentre si espira, finché tutto diventa luce e si osserva un diradamento della nebbia. Mentre i partecipanti svolgono la pratica, chi conduce passa con il palo santo e conclude l’esercizio con un tocco di ciotola.

Dopo la pausa, si riprende il laboratorio con alcune nozioni teoriche e la condivisione di esperienze personali da parte della conduttrice, con spunti per la comunicazione del lutto ai bambini, le connessioni sincroniche, alcuni atteggiamenti tipici in risposta al lutto, l’algofobia (paura del dolore).

Il secondo spunto è un testo tratto da Così parlò Zarathustra di Nietzsche, letto ad alta voce, in cui si chiede di sottolineare parole/frasi chiave per poi creare una decina di versi, con tempi ben scandit

i dalla conduttrice e successiva condivisione.

Il terzo e ultimo spunto è la poesia Sosta di Pedro Salinas. Riflettendo sulla necessità di so-stare per recuperare le energie, guardarsi dentro e ritrovare le abilità trasformative per rendere la perdita dono per noi o per gli altri, si invitano i partecipanti a ritagliare dalla poesia alcune parole significative, inserendole poi in un sacchetto del pane usato per estrarle casualmente e incollarle su un foglio. A partire poi dai versi nati dal collage ne viene scelto uno da scrivere su un altro foglio, collettivamente, a turno, piegando di volta in volta la carta, in modo che il partecipante non veda ciò che ha scritto chi lo precede. Il testo collettivo che ne nasce viene letto in cerchio a conclusione del laboratorio.

Al termine del laboratorio si procede a una restituzione tecnica rispetto al laboratorio come processo di autoformazione:

  • Dome Bulfaro ricorda come educare alla morte significhi imparare a stare e ad accogliere la trasformazione, tema centrale del fare poetico, con uno schema non duale, che supera il positivo VS negativo e il giudizio; l’esperienza diretta con la morte apre a processare e a stare nella fralezza (cit. Ungaretti) come elemento di comunanza della condizione umana: stare empaticamente nella frequenza dell’altro. Sottolinea anche l’importanza del silenzio attento e dell’ascolto, nell’accoglienza dei testi altrui con una presenza totale che crea rete, garantendo sicurezza e protezione;
  • rispetto alle condivisioni “difficili”
  • o che non arrivano si ricorda la necessità di stare, attendere e ascoltare il silenzio;
  • viene evidenziato da diversi/e partecipanti l’interesse metodologico del tema, con un timore che potesse risultare pesante, ma così non è stato proprio per l’accompagnamento lento, le interessanti e varie suggestioni letterarie;
  • si rileva la necessità di tempi più lunghi per poter sviscerare il discorso personalmente e più in profondità, per familiarizzare con l’esperienza e anche l’importanza di fare riferimento a varie filosofie/scuole di pensiero per contestualizzare alcuni spunti offerti nel corso del laboratorio.

 

Testi nati dallo spunto Morto per me vuol dire…

Morto, per me vuol dire
Casa vuota
Silenzio
Il frigorifero staccato
aperto
Il cestello della lavatrice
aperta
Il letto intatto
Le persiane chiuse
Odore di freddo
Muffa
Un oggetto alla volta
Se ne andrà per non tornare
Nessuno più lo usa, né lo cerca
Nessuno più ti cerca
Si stacca la spina
Si spegne la luce
La chiave gira nella toppa
Si muore in molti modi
Meglio non dare troppa importanza al qui
Forse è solo un altro
Aldilà, che dobbiamo attraversare
Non sarà questa candela
A farti ritornare
Ognuno se la racconti a modo suo
Tanto è uguale.

(Patrizia B.)

Ricordo
Quotidianità
Essenza dell'anima
Inizio

(Giuseppe R.)

Morto per me vuol dire vivere privi di coraggio, avere un masso sul cuore, non dedicarsi all’amore. In alcuni
pensieri, ad esempio quelli di ieri, morire è la speranza di vedere il sole di nuovo senza ombre sul viso.
Ma morto, in ogni caso, è cancellare un sorriso. Morto per me vuol dire che mi tormento se non sento, e se
sento comunque non basta, desidero quella mano che mi accarezza, ma morto vuol dire che mi accontento
della brezza.
Con la morte chi muore, sempre un po’ si dispiace, ma trova pace. E chi vive, tace.
Morto è quando non riesco a recapitarti il mio messaggio
Ma so che sei qui
E non riesco
Ma so che sei qui.
Forse
E non riesco
Ma... so ...che sei ...qui.
Sei qui?

(Corinne C.)

Morto per me è 
lascito
ricordo incarnato
ma sino a quando?
Il tempo tratterà 
a misura di tre generazioni 
morire, non è anche oblio necessario?
Lo straordinario rimane
s'immortala nelle opere 
Ma io, i miei cari, ad un certo punto 
saremo morti morti.
Ma, adesso che ci penso 
che ci fa l'orto nella parola morto?
Dal seme son nata
con cura custodita
nell'orto del Mondo 
La cura di quell'orto
nelle stagioni dell'eternità 

(Sandra B.)

 

VERSI EMERSI: CINQUE MODI PER DIRLO

1
Cadavere
corpo senza essenza
anima che vola
assenza del corpo
presenza
di ricordi
non aneddotici
presenza
di relazione
le nostre parole
le nostre vicende
tempo vissuto
insieme
siete altrove
arriverò lì con voi.
2
Sei morto
Sei morta
moriremo
morirò
Se accade dopo
una vita vissuta
dentro ad un mutamento
d’invecchiamento
c’è un senso
di parabola,
di percorso.
Se accade
per anedonia
per dolore
per disattenzione
per violenza
Urlo
l’invettiva
contro
il male
che rende
l’umano
aggressivo
e violento
Ognuno ha il suo percorso
dalla nascita alla morte
e oltre: questo ha un senso!
3
…che vivrò con te, con voi
nel cuore
nella memoria
nell’assenza
che è presenza
interiore
siete
con
me
per sempre.
4
Ho sentito
un lacerante
non
senso
ero sola
e spezzata
nell’abisso
non
sapevo
che il
morire
è parte
del
vivere.
5
Morire è
un altro
modo
di nascere.

(Monica A.)

 

C’è qualcosa ogni giorno
una linfa inestinguibile
cha dai piedi giunge al cervello
e attraversa il cuore.
Ogni passo è abitato d’assenza
mi accompagna, presente e viva
sangue dalla vita indistinguibili
scorrono entrambi
come fiume del divenire
che ogni cosa raccoglie nel suo fluire.
Sono tutto me stesso
nella parzialità di un pieno
finito, e scorgo la totalità di un oltre
da varcare.
Ho lasciato andare una mano
e ne stringo altre
la memoria è corpo.
Celebro un triplo atto d’amore a me
al mondo, all’esistenza
e parlo di vita incompiuta, la mia
nello svolgersi del vasto orizzonte.

(Maurizio P.)

 

Morto è senza il tocco
Morto è senza corrente
Morto è senza sguardo
Ma morto è chi ha coltivato il Mio ORTO
Humus dei miei pensieri

(Simonetta D.)

Morto per me vuol dire
attraversato
trasformato
rinato

(Giulia T.)

 

Laboratorio 4 – Sandra Brovero (2,5 ore)

 

Dal movimento alla parola: tradurre il gesto in poesia
Sperimentare vincoli di mobilità, possibilità di movimento in spazi e situazioni diverse, in ascolto delle proprie percezioni per poi tradurre il corpo e il suo vivere in scrittura diaristica e successivamente in verso.

Il setting iniziale in cerchio viene “rotto” per procedere con le pratiche di movimento. La conduzione è graduale e chiara: chi conduce simula i movimenti e si mette in gioco assieme ai/alle partecipanti per creare un senso di inclusione e accoglienza.

Si inizia con un cappello introduttivo sulla funzione del laboratorio, che mira a esplorare gli spazi che occupiamo nello spazio: quello intimo, quello personale, quello sociale.

Viene attivato il legame movimento-gioco per creare il gruppo e presentarsi: passandosi un gomitolo, si chiede di dire il nome e il gioco preferito da piccolo/a.

Inizia poi l’attività di movimento che esplora i vari spazi, prima quello intimo (con l’ascolto del contatto dei piedi con il pavimento, il dialogo delle articolazioni, alcuni movimenti guidati delle varie parti del corpo nello spazio intimo, verso dell’animale scelto nel laboratorio 2, con l’importante connessione con l’esperienza del gruppo, nel presente, l’osservazione e l’ascolto del respiro, il mimare gesti quotidiani. Guidando questi esercizi chi conduce aggiunge spiegazioni sul perché delle varie fasi. Si passa poi allo spazio peripersonale: andare verso l’altro, capendo dove posso mettermi in movimento per ampliare e sperimentare vari aspetti (flessibilità, elasticità, leggerezza, pesantezza, ecc.). Si suggerisce la sperimentazione rimanendo nel vincolo del movimento attraverso il ritmo (che varia a seconda delle indicazioni della conduttrice) e varie azioni da mimare, scoprendo che anche nel vincolo c’è libertà.
Qui viene offerta la prima suggestione poetica di Walt Whitman per esplorare l’ombra. Segue l’esplorazione del passo che permette di aprirsi allo spazio sociale, perdendo l’equilibrio, con varie sperimentazioni per percepire tutte le parti del corpo coinvolte: il motto è “perdo l’equilibrio, muovo il passo, ritrovo l’equilibrio”.

Si passa poi alla camminata per ritrovare la fluidità del passo della totalità dello spazio e subito dopo all’esperienza nella gelatina, immaginando uno stato fisico diverso in cui collocare il movimento e il passo, e poi il passaggio all’acqua.

Giunge la seconda suggestione poetica, di Emily Dickinson, che si collega nuovamente all’animale poetico del laboratorio 2 e sul muoversi come lui in interazione con gli altri. Si prosegue con l’esperienza simulata dell’assenza di gravità, per aumentare il senso di disorientamento e scoperta e offrire la possibilità di cercare una soluzione nell’ancoraggio con ritorno alla dimensione automatica e normale, riportando attenzione al movimento e al respiro.

Chi conduce specifica che per questioni logistiche (di spazio e di tempo) salta la parte proni e supini, ma conduce una parte di esplorazione seduti e ancorati al pavimento per attivare movimenti legati alla funzionalità dei gesti, osservando di nuovo come il limite sia un’idea più che una realtà.

Si ritorna, quindi, allo spazio in cerchio e allo spazio personale, con un terzo spunto letterario di Marta Graham, a cui segue un esercizio di scrittura diaristica sull’esperienza in generale o su un momento in particolare. Si ritagliano due sagome a forma umana su fogli colorati: una più grande e una più piccola. Sulla prima si trascrive la poesia elaborata a partire dalla scrittura diaristica, su quella più piccola una parola chiave che rappresenta l’esperienza del laboratorio. Si incollano poi le sagome più grandi al filo di lana con cui inizialmente si era creato il cerchio, ciascuno legge la sua poesia. Chi conduce conclude con un riassunto dei principali spunti ed elementi emersi nel corso dell’esperienza.

 

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foto dal laboratorio di Giulia Tosolini

 

Al termine del laboratorio si procede a una restituzione tecnica rispetto al laboratorio come processo di autoformazione:

  • alcuni/e partecipanti sottolineano la necessità di spezzare le sollecitazioni motorie con una scrittura step by step per alimentare lo sguardo contemplativo senza perdere l’ispirazione;
  • la centratura del singolo attraverso una conduzione sicura e consapevole aiuta il gruppo a procedere e a contenere le condivisioni;
  • la combinazione movimento/parola produce interessanti riflessioni rispetto all’uso di esercizi fisici nel corso di esperienze di Poesiaterapia.

 

Manifesto del movimento poetico 
di Sandra Brovero

Qui ci vorrebbe un po' di movimento!
giusto un assone che parte da un neurone.
Fili colorati chiedono di essere attivati! 
muscoli/ossa/cervello 
ma quanto il mio corpo è bello!
Finalmente arriva la matita sul rigo di partenza 
Si apre la danza e la storia 
non è finita 
questa è vita! 

 

Testi riportati sulla sagoma

 Benedico i corpi
La purezza innocente
Da dove arriva tanta cattiveria?
Sono così belli insieme
Così giocosi
È più ribelle fare quack, bau, miao
Invece che divorarsi con le parole

(Corinne C.)

 

Disegni ricamati
nascono dall’angolo chiuso srotolato,
ecco, costellazioni viaggianti
sottratte e smagrite
planano.

(Maurizio P.)

 

Stanno le braccia
Al vento come rami
Densa la vita

(Haiku di Amelia B.)

 

Inspirazione espirazione
piede destro, piede sinistro
perdo l’equilibrio
esposta al pubblico ludibrio
con arti-colazioni
mosse ad arte.
Tolgo i granchi
mi sgranchisco
e mi immergo nel mare
nuoto, nuova me
e rinasco
non più grave gravidanza
ma danza
di muscoli, vongole e molluschi.
Flusso, deflusso
ossa, scossa
rimossa
rimessa in moto
dammi il ritmo
respiro sottovuoto.

(Simonetta D.)

 

Conclusioni

L’autoformazione, come in ogni percorso che si rispetti, non può che suscitare osservazioni e considerazioni sostanziali per chi intende approfondire il tema della cura attraverso la poesia.

Rispetto a questa esperienza, su tutto è emersa la forza del progetto poetico di PoesiaPresente, la sua coralità, l’ampia visuale, la lucidità degli intenti e del percorso formativo: elementi fondamentali per dare chiarezza e motivazione agli allievi e alle allieve del corso di Poesiaterapia.

L’autoformazione ha permesso di verificare sul campo quanto imparato, in un contesto protetto (colleghi di corso, supervisore) ma autorevole per livello di preparazione e per la partecipazione attiva e critica riscontrata.

Un altro elemento fondamentale e confermato è stato il clima che si è creato all’interno del gruppo, la disponibilità comune a guardarsi e guardare, validare il potenziale del singolo, accogliere senza pre-giudizi, senza dimenticare le capacità organizzative e di comunicazione, le specificità dei ruoli e il loro riconoscimento.

Nella sede di Mille Gru a Monza si è celebrato un incontro sul terreno comune del divenire, del cambiamento, poiché i pensieri, le valutazioni, le riflessioni sono sempre in movimento.

In sintesi, è stata un’occasione di crescita, perfettamente allineata alla pratica della Poesiaterapia, che di fatto è camminare nel continuo processo di consapevolezza.

 

 


 

Giulia Tosolini

Giulia Tosolini è nata e cresciuta a Udine dove si è formata e ha conseguito il Dottorato in Scienze Linguistiche e Letterarie; fino al 2022 ha coniugato la didattica e la ricerca ispanistica presso Uniud. Si occupa di insegnamento delle lingue agli adulti, lifelong learning, approccio olistico esperienziale alla didattica e lavora con la parola consapevole come strumento di benessere attraverso progetti personali e numerose collaborazioni con professionisti degli ambiti sanitari, educativi e umanistici. Poetaterapeuta in formazione presso PoesiaPresente dal 2023, si definisce un’esploratrice di mondi e parole.

Dal luglio 2024 è redattrice e referente internazionale della rivista Poetry Therapy Italia.


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Maurizio Padovani

Maurizio Padovani ha maturato una lunga esperienza professionale nel campo della cura alla persona e della relazione d’aiuto. È formatore esperto sul tema del lutto, svolge incontri individuali secondo il metodo dell’auto mutuo aiuto ed effettua accompagnamenti individuali attraverso la scrittura epistolare. Dal 2010 è Consulente delle pratiche autobiografiche, diploma conseguito presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR). Riguardo alla poesia, dal 2021 partecipa alle formazioni organizzate da PoesiaPresente – Scuola di Poesia e Mille Gru, inoltre nel 2022 ha pubblicato una raccolta di poesie edite da Albatros, Il Filo. Vive a Ravenna.

Dal luglio 2024 è redattore della rivista Poetry Therapy Italia.


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