Nel terzo numero della rubrica bilingue “Poetura”, Tania Haberland, poetessa e attivista sensibile alle problematiche del Sud del Mondo, riflette sulla distruzione dell’ecosistema vegetale e animale, dovuta alla guerra attualmente in corso nella Striscia di Gaza.
(ITA - scroll down for original English version)
Come è possibile iniziare a scrivere di poesia ai tempi dell’eco/geno-cidio quando il geno/eco-cidio sta avvenendo in tempo reale e trasmesso in diretta mentre digito queste stesse parole alla mia tastiera?
Sono proprio i nostri fratelli e sorelle narratori di Gaza che ci stanno insegnando come, attraverso la loro stessa esperienza di vita e di morte. Chi sono io per rifuggire (nascosta al sicuro, a casa mia, lontana dalle bombe e dai proiettili) da tale compito quando le voci si alzano da sotto le macerie ancor prima che la polvere si sia posata? Scrivo umilmente scusandomi con gratitudine e con amore e solidarietà per quelle voci, perché non debbano mai più essere silenziate e possano risuonare ancora nei cuori di ciascun lettore e lettrice di queste stesse parole ora e in futuro.
Caro lettore, cara lettrice, questa rubrica Poetura ha l’obiettivo di evidenziare brillanti esempi di poesia che curano la relazione tra essere umano e natura (dentro e attorno a noi). Può accadere in un’epoca di eco/geno-cidio, quando l’ecocidio e il genocidio rappresentano la reale rottura di tutte le forme di connessione con le persone e con i luoghi? E ancora devo mettere l’accento sui poeti di Gaza che vivono e muoiono in questo eco/geno-cidio, che ci stanno insegnando come guarire la nostra connessione con questa terra e le sue acque attraverso i loro versi, scritti in mezzo a tutta quella distruzione.
Non dimentichiamo mai l’intenso legame che i palestinesi hanno con la terra, i giardini, gli ulivi.
I palestinesi amano e proteggono caramente la loro terra, la sua flora e la sua fauna, resistendo all’annichilazione in molti modi, dalla coltivazione alla scrittura poetica.
With words of sacred scripture
I shield the oranges from the sting of phosphorous
and the shades of cloud from the smog.
Con le parole delle sacre scritture
proteggo le arance dal pungiglione del fosforo
e le sfumature delle nuvole dallo smog.
– da Refuge, poesia di Hiba Abu Nada, poeta, scrittrice e insegnante di Gaza, scritta il 10 ottobre dello scorso anno, poco prima di essere martirizzata da un attacco aereo israeliano il 20 ottobre 2023.
Tradotto dall’arabo all’inglese da Huda Fakhreddine, pubblicato online da Protean Magazine qui
In questi tre versi Hiba Abu Nada ci insegna che come esseri umani siamo chiamati a proteggere la terra e l’aria, le arance e le nuvole. Lei lo fa attraverso la sua poesia, come un incantesimo. Le sue parole creano un rifugio per l’anima per conoscere la sua missione: servire la terra difendendola. Certamente alcune anime potrebbero non riconoscere il suo messaggio in queste parole, ma il cammino di guarigione non è solo costellato di allievi che comprendono la lezione, ascoltano e seguono il maestro. Nel migliore dei casi la poesia può essere un’apertura per il cuore dell’anima, per ascoltare, imparare e infine agire. In questo caso proteggendo.
Una poesia scritta dieci giorni dopo da Hind Joudah da Al-Breij, campo di rifugiati a Gaza, si apre con questi versi:
What does it mean to be a poet in times of war?
It means apologizing…
extensively apologizing
to the burnt trees
to the nestless birds
to the crushed homes
to the long cracks along the streets
to the pale faced children before and after death
to the faces of every sad or murdered mother Cosa significa essere un poeta in tempi di guerra?
Significa chiedere perdono…
scusarsi profondamente
con gli alberi bruciati
con gli uccelli senza nido
con le case demolite
con le lunghe crepe lungo le strade
con i bambini pallidi prima e dopo la morte
con i volti di ogni madre triste o assassinata.
– estratto da What does it mean to be a poet in times of war?
Disponibile qui in inglese. E qui in italiano
Questa poesia appare sul sito Passages through Genocide, gestito da un gruppo di volontari che “raccolgono, traducono e pubblicano testi di scrittori palestinesi che stanno affrontando il genocidio a Gaza, per diffondere le loro parole.”
Quindi, dopo la protezione, abbiamo l'insegnamento di saper chiedere perdono. Per amare e proteggere la natura e la nostra relazione con tutto ciò che è natura, compresi noi stessi e gli altri essere umani, così come gli esseri “più che umani”, dobbiamo scendere dai nostri troni antropocentrici che ci siamo costruiti e chiedere umilmente scusa, anche quando non siamo noi i responsabili della violenza e della distruzione. Questo è un profondo insegnamento e forse ancor più profondo proprio perché arriva dalle macerie appena crollate, mentre l’annichilazione di terre e persone continua.
Si noti come la poeta passa fluidamente dagli alberi bruciati e dagli uccelli senza nido ai bambini e alle madri dal viso pallido: non c'è differenza tra gli alberi, gli uccelli e gli esseri umani. Tutti meritano le nostre scuse. Perché siamo tutti della stessa natura.
In Sudafrica, la richiesta di perdono ha assunto grande importanza ed è diventata ufficiale dopo lo smantellamento di un altro stato di apartheid (per questo il Sudafrica è molto vicino alla Palestina, entrambi conoscono gli orrori dell’apartheid) attraverso la “Truth and Reconciliation Commission”, guidata dall’archivescono Desmond Tutu.
La poeta si scusa, nella sua vita quotidiana e attraverso questa poesia, coinvolgendo così tutti noi nell’ascolto e nell’imparare a farlo a nostra volta…
Ecco il poema in versione integrale:
Oct. 30, 2023
What does it mean to be a poet in times of war?
It means apologizing…
extensively apologizing
to the burnt trees
to the nestless birds
to the crushed homes
to the long cracks along the streets
to the pale faced children before and after death
to the faces of every sad or murdered mother
What does it mean to be safe in times of war?
It means being ashamed …
of your smile
of having warmth
of your clean clothes
of your idle hours
of your yawning
of your cup of coffee
of your restful sleep
of having alive loved ones
of having a full stomach
of having available water
of having clean water
of being able to shower
And for incidentally being alive!
Oh God,
I don't want to be poet in times of war
– Hind Joudah
30 ottobre 2023
Cosa significa essere un poeta in tempi di guerra?
Significa chiedere perdono…
scusarsi profondamente
con gli alberi bruciati
con gli uccelli senza nido
con le case demolite
con le lunghe crepe lungo le strade
con i bambini pallidi prima e dopo la morte
con i volti di ogni madre triste o assassinata.
Cosa significa essere al sicuro in tempi di guerra?
Significa vergognarsi…
del proprio sorriso
di stare al caldo
dei propri vestiti puliti
delle tue ore di ozio
degli sbadigli
di una tazza di caffè
di dormire sonni tranquilli
di avere vivi i propri cari
di avere lo stomaco pieno
di avere acqua disponibile
di avere acqua pulita
di poter fare la doccia
E di essere vivo, per puro caso!
Oh Dio,
non voglio essere un poeta in tempi di guerra.
– Hind Joudah
NB: Hind Joudah è autrice di due antologie poetiche intitolate Someone always leaves e No sugar in the city.
Voglio tornare alla poesia di Hiba Abu Nada (possa la sua anima riposare in pace e le sue parole continuare a risuonare attraverso i nostri cuori). Ecco una delle sue ultime poesie:
Not Just Passing
Yesterday, a star said
to the little light in my heart,
We are not just transients
passing.
Do not die. Beneath this glow
some wanderers go on
walking.
You were first created out of love,
so carry nothing but love
to those who are trembling.
One day, all gardens sprouted
from our names, from what remained
of hearts yearning.
And since it came of age, this ancient language
has taught us how to heal others
with our longing,
how to be a heavenly scent
to relax their tightening lungs: a welcome sigh,
a gasp of oxygen.
Softly, we pass over wounds,
like purposeful gauze, a hint of relief,
an aspirin.
O little light in me, don’t die,
even if all the galaxies of the world
close in.
O little light in me, say:
Enter my heart in peace.
All of you, come in!
Non solo di passaggio
Ieri una stella ha detto
alla piccola luce del mio cuore,
non siamo solo transitori
di passaggio.
Non morire. Sotto questo bagliore
alcuni viaggiatori continuano a
a camminare.
Siete stati creati dall'amore,
quindi non portate altro che amore
a coloro che stanno tremando.
Un giorno, tutti i giardini saranno germogliati
dai nostri nomi, da ciò che resta
di cuori anelanti.
E da quando è nata, questa antica lingua
ci ha insegnato a curare gli altri
con il nostro desiderio,
come essere un profumo paradisiaco
per rilassare i loro polmoni tesi: un sospiro benvenuto,
una boccata d'ossigeno.
Con dolcezza, passiamo sulle ferite,
come una garza curativa, un accenno di sollievo,
un'aspirina.
O piccola luce in me, non morire,
anche se tutte le galassie del mondo
si richiudono.
O piccola luce in me, dì:
Entra nel mio cuore in pace.
Tutti voi, entrate!
– Hiba Abu Nada
Autrice di Oxygen is Not for the Dead. Traduzione dall’arabo all’inglese di Huda Fakhreddine, disponibile qui
Qui la poeta Hiba Abu Nada, nella profonda oscurità di un eco/geno-cidio, poco prima di essere uccisa, ci mostra come il linguaggio dell’amore, al cospetto dell’odio che annienta, guarisce gli altri superando ferite/come una garza curativa, un accenno di sollievo/un'aspirina. Questa è una poesia di una vera poetessa-guaritrice che sceglie l’amore per trasformare l’odio in guarigione per Tutti voi in modo che dopo la distruzione, anche la terra possa essere di nuovo protetta, riceva le scuse e sia di nuovo amata, Un giorno, tutti i giardini saranno germogliati/ dai nostri nomi, da ciò che resta/ di cuori anelanti.
Questi ultimi tre versi hanno risuonato profondamente in me quando ho trovato un’immagine di Gaza su Instagram, una foto di un rifugiato palestinese insieme a una scocca di un missile israeliano trasformata in un vaso per una solitaria rosa rossa in mezzo alle macerie e ai rifugi di fortuna. Le parole della poesia di Hiba Abu Nada assieme a quest’immagine mi hanno spezzato il cuore fino alle lacrime. Anche questo è guarire.
La poeta beat Diane Di Prima nel suo famigerato poema Rant ha scritto "The only war that matters is the war against the imagination" (L’unica guerra che conta è quella contro l’immaginazione). L’immaginazione di chi si trova a Gaza, dei palestinesi è viva nonostante il numero crescente di morti. La domanda è: anche la nostra lo è ancora? E se sì, dov’è la nostra immaginazione? Ciascuno di noi, specialmente noi poeti e guaritori, deve chiederselo in tempi di eco/geno-cidio. La mia immaginazione è viva? Dove sta la mia immaginazione? Dov’è la mia immaginazione? È libera? Cosa ne faccio di lei?
Approfondimenti
Per i lettori/le lettrici che vogliono leggere/guardare di più su Gaza da una prospettiva poetica, consiglio caldamente questa conversazione: Poetry as a Tool of Resistance: Dareen Tatour, Mariam Barghouti, Farah Chamma, Ashira Darwish. Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=CouxszvvS3Q
Questa conversazione è legata al più recente e imprescindibile documentario poetico sulla Palestina, Where Olive Trees Weep https://whereolivetreesweep.com/
Per altre risorse poetiche su Gaza e la Palestina, ecco alcuni link che vale la pena esplorare: https://lithub.com/these-are-the-poets-and-writers-who-have-been-killed-in-gaza/
https://www.aljazeera.com/features/2021/6/8/as-the-bombs-fall-i-write-the-poets-of-gaza
https://lithub.com/a-palestinian-meditation-in-a-time-of-annihilation/
https://www.youtube.com/watch?v=q08_Q-Zvaz0
https://www.youtube.com/watch?v=DHJITrux6IE
https://www.youtube.com/watch?v=iTubH7bG56Y
Per ulteriori informazioni sull’ecocidio a Gaza, anche questi link possono essere utili: https://prismreports.org/2024/06/05/dont-ignore-israel-ecocide/
https://forensic-architecture.org/investigation/ecocide-in-gaza
Free Palestine. Free us All.
(traduzione dall'Inglese di Giulia Tosolini)
—-
(ENG)
How to even begin writing of poetry in a time of eco/geno-cide when that geno/eco-cide is occurring in real time live streamed as I type these very letters from my keyboard? And yet it is our wordsmith sisters and brothers from Gaza who are teaching us how, through their very own living and dying examples. Who am I to shy away, (tucked away safely in my home far away from the bombs and bullets) from such a task when voices rise from under the rubble before the dust has even settled? I humbly write in gratitude and apology and with love and solidarity to those voices so they may never be silenced and resonate further in the hearts of every reader of these very words now, and in the future.
Dear reader, this column Poetura is meant to highlight shining examples of poetry that heal the relationship between humans and nature (both within and around us). Can this happen in a time of eco/geno-cide when ecocide and genocide are the very rupture of all forms of relating to a people and a place? And yet again I need to stress that it is the Gazan poets living and dying in this eco/geno-cide who are teaching us how to heal our connection to this earth and her waters through their words, written in the very midst of all this destruction. Let us never forget the fierce love Palestinains have for the land , the gardens, the olive trees.
For Palestinian people dearly love and protect their land, its flora and fauna, resisting annihilation in many ways, from farming to writing poetry.
With words of sacred scripture
I shield the oranges from the sting of phosphorous
and the shades of cloud from the smog.
– from Refuge, a poem written by Gazan poet, novelist and teacher Hiba Abu Nada last year on October 10th shortly before being martyred by an Israel airstrike on October 20th 2023. Translated from Arabic into English by Huda Fakhreddine, published online by Protean Magazine here
In these three lines Hiba Abu Nada teaches us that as humans it is for us to protect the land and air, the oranges and the clouds. She does this by using her poem as an incantation of protection. Her words create a refuge for the soul to learn its purpose: to serve the earth by shielding her. Of course some souls may not hear her message in these words, but the path to healing is not only filled with learners who understand the lesson, listen and follow. At best poetry can be an opening of the soul's heart to listen, learn and finally to act. In this case to protect.
A poem written ten days later by Hind Joudah from Al-Breij Refugee Camp in Gaza, opens up with the lines:
What does it mean to be a poet in times of war?
It means apologizing…
extensively apologizing
to the burnt trees
to the nestless birds
to the crushed homes
to the long cracks along the streets
to the pale faced children before and after death
to the faces of every sad or murdered mother
– extract from What does it mean to be a poet in times of war?
available here in English
This poem appears on the website 'Passages through Genocide' run by a group of volunteers that “collect, translate and publish texts from Palestinian writers confronting the genocide in Gaza, to lift up their words.”
So after protection, we have the teaching of apologizing. In order to love and protect nature and our relationship with all things natural, including ourselves and other human beings as well as the more than human beings, we need to step down from our self-built anthropocentric thrones and humbly apologize, even when we are not the perpetrators of the violence and destruction. This is a profound teaching and perhaps even more so for coming out from under the freshly fallen rubble as the annihilation of a land and people continues. Notice how the poet effortlessly flows from burnt trees and nestless birds to pale faced children and mothers, there is no difference between the trees, birds and humans. They all deserve our apologies. Because we are all of the same nature.
In South Africa, this role of apologizing took center stage and became official after the dismantling of yet another apartheid state (this is why South Africa is so close to Palestine, they both know the horrors of apartheid) via the Truth and Reconciliation Commission, spearheaded by Archbishop Desmond Tutu. Apologizing here is done by a poet in their daily life and through this poem, thus touching us all to listen and learn how to do this ourselves. Here is the poem in its entirety
Oct. 30, 2023
What does it mean to be a poet in times of war?
It means apologizing…
extensively apologizing
to the burnt trees
to the nestless birds
to the crushed homes
to the long cracks along the streets
to the pale faced children before and after death
to the faces of every sad or murdered mother
What does it mean to be safe in times of war?
It means being ashamed …
of your smile
of having warmth
of your clean clothes
of your idle hours
of your yawning
of your cup of coffee
of your restful sleep
of having alive loved ones
of having a full stomach
of having available water
of having clean water
of being able to shower
And for incidentally being alive!
Oh God,
I don't want to be poet in times of war
– Hind Joudah
NB: Hind Joudah is the author of two poetry collections entitled Someone always leaves and No sugar in the city.
I want to return to the poetry of Hiba Abu Nada (may her soul rest in peace and her words continue to resound through our hearts). Here is one of her last poems
Not Just Passing
Yesterday, a star said
to the little light in my heart,
We are not just transients
passing.
Do not die. Beneath this glow
some wanderers go on
walking.
You were first created out of love,
so carry nothing but love
to those who are trembling.
One day, all gardens sprouted
from our names, from what remained
of hearts yearning.
And since it came of age, this ancient language
has taught us how to heal others
with our longing,
how to be a heavenly scent
to relax their tightening lungs: a welcome sigh,
a gasp of oxygen.
Softly, we pass over wounds,
like purposeful gauze, a hint of relief,
an aspirin.
O little light in me, don’t die,
even if all the galaxies of the world
close in.
O little light in me, say:
Enter my heart in peace.
All of you, come in!
– Hiba Abu Nada, author of Oxygen is Not for the Dead, killed in her home by an Israeli airstrike on October 20th 2023, age 32.
Translated from Arabic to English by Huda Fakhreddine, found here
Here the poet Hiba Abu Nada, in the dark depths of an eco/geno-cide, shortly before being killed shows us how the language of love in the face of annihilating hate heals others by passing over wounds,/ like purposeful gauze, a hint of relief, / an aspirin.This is the poem of a true poet-healer who chooses love to transform hate into healing for All of you so that after the destruction , the earth too may be protected once again, apologized to and loved back to life One day, all gardens sprouted /from our names, from what remained / of hearts yearning.
These last lines recently re-echoed deep into me when I came across an image from Gaza on Instagram, of an Israeli missile shell that had been transformed into a vase for a solitary red rose by a displaced Palestinian amidst the rubble & makeshift shelters. Both the words of Hiba Abu Nada's poem and this image shattered my heart open to tears. This too is healing.
The beat poet Diane Di Prima in her infamous poem Rant wrote The only war that matters is the war against the imagination. The imagination of the Gazans, of the Palestinians is alive despite the ever rising count of deaths. The question is, is ours too? And if so, where is our imagination? Each of us, especially us poets and healers, needs to ask ourselves in a time of eco/geno-cide: Is my Imagination alive? Where does my imagination lie? Where is my imagination? Is it free? And what do I do with it?
PS for those readers wanting to read / watch more about Gaza from a poetic perspective, I highly recommend watching this conversation : Poetry as a Tool of Resistance: Dareen Tatour, Mariam Barghouti, Farah Chamma, Ashira Darwish. Here is the link: https://www.youtube.com/watch?v=CouxszvvS3Q
This conversation is linked to the recently released must see poetic documentary about Palestine, Where Olive Trees Weep https://whereolivetreesweep.com/
For more poetic resources about Gaza & Palestine here are some links worth investigating https://lithub.com/these-are-the-poets-and-writers-who-have-been-killed-in-gaza/
https://www.aljazeera.com/features/2021/6/8/as-the-bombs-fall-i-write-the-poets-of-gaza
https://lithub.com/a-palestinian-meditation-in-a-time-of-annihilation/
https://www.youtube.com/watch?v=q08_Q-Zvaz0
https://www.youtube.com/watch?v=DHJITrux6IE
https://www.youtube.com/watch?v=iTubH7bG56Y
For more information on the ecocide in Gaza these links are useful too https://prismreports.org/2024/06/05/dont-ignore-israel-ecocide/
https://forensic-architecture.org/investigation/ecocide-in-gaza
Free Palestine. Free us All.
Tania Haberland è una poetessa interculturale, qualificata in Life Orientation, Integrative Counseling e Tantsu Bodywork. È nata in Sudafrica da madre mauriziana e padre tedesco. E’ cresciuta, vissuta, si è formata e lavorato in tutto il pianeta dall'Arabia all'Europa, dal Regno Unito agli Stati Uniti. Ora vive tra Mauritius e Italia con il suo partner Fabrizio Dalle Piane, con il quale sviluppa il progetto La tecnologia della tenerezza e insegna Zenglish, quando non nuota con la sua musa, il mare. La sua prima raccolta poetica, Hyphen, ha vinto il Premio Ingrid Jonker nel 2010. Il suo primo libro bilingue Water Flame / Fiamma d'acqua è stato pubblicato dalle edizioni Mille Gru nel 2019. Tania ha trovato il suo motto di vita su una borsa ecologica a San Francisco: “Merda succede. Prepara il compost!” Puoi seguire il suo lavoro e le sue attività su Instagram @thetechnologyoftenderness