In sintonia con il tema di questo numero della rivista, riproponiamo le parole di Marisa Brecciaroli, Leonora Cupane, Antonella Zagaroli e Patrizia Gioia, ascoltate nell’ottobre del 2020, durante la prima conferenza del progetto "Anticorpi poetici" sull’utilizzo della poesia in situazioni di perdita.
L’uso della poesia per affrontare la perdita è stato argomento della prima conferenza del ciclo “Anticorpi Poetici”, organizzata dall’Associazione Mille Gru nell’ottobre 2020 e moderata da Paolo Maria Manzalini. Sono intervenute: Marisa Brecciaroli, poeta e ricercatrice di poesia e musica in ambito psicologico, Leonora Cupane, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in psicoterapia della Gestalt ed esperta di metodologie autobiografiche nelle relazioni di aiuto, Antonella Zagaroli, counselor e poetry therapist, esperta di terapia della Gestalt. Gli interventi sono stati arricchiti dalle parole di Patrizia Gioia, poeta, designer e cofondatrice di Mille Gru, che ha portato la sua esperienza di vita, raccolta nel libro di poesie Tita su una gamba sola.
Nell’ambito del suo contributo, Marisa Brecciaroli ha evidenziato come le perdite più dolorose risveglino le memorie di lutti passati, a ritroso nel tempo, fino a raggiungere quella originaria dell’abbandono del grembo materno. La poesia, grazie al suo ritmo e alle immagini evocative, aiuta a trasformare la sofferenza in una nuova forma di presenza. La ripetizione, comune a molte liturgie religiose, è un elemento fondamentale della terapia poetica e favorisce una connessione profonda con il proprio vissuto emotivo. Inoltre, chi ha subito una perdita, cerca, in maniera più o meno consapevole, una presenza, ha bisogno di qualcosa che riempia il vuoto e la lingua poetica, con la sua corporeità, è in grado di farlo. Inoltre, la musicalità dei versi e le pause creano una sorta di danza, che rispecchia il respiro e i battiti cardiaci, stabilendo un’armonia tra mente e corpo.
Brecciaroli ci ha proposto l’esperienza di una sua “meditazione poetica”, in versi e musica, creata specificatamente per i casi di perdita, che si ispira all’isoprincipio e utilizza versi che, rispecchiando lo stato d’animo del/della paziente, sono avvolte da un’aura di mestizia, anche se sono presenti alcuni semi, alcune parole, che arieggiano a possibili vie d’uscita.
Brecciaroli ha sottolineato la delicatezza della prima fase d’incontro del/della paziente, che è quella dell’ascolto, dello studio. È la fase nella quale decidere il percorso, sta poi al/alla poeta terapeuta cogliere ogni cambiamento e, quindi, adattare, di volta in volta, la scelta dei testi. Inoltre, ha evidenziato come il lavoro di gruppo possa potenziare gli effetti benefici della poesiaterapia. Scrivere e condividere poesie in un contesto collettivo aiuta le persone a sentirsi meno sole nel loro dolore, creando uno spazio di ascolto e comprensione reciproca.
Leonora Cupane ha, invece, affrontato l’argomento, partendo dalla definizione di benessere psicofisico, cioè dalla sensazione di integrità e pienezza che ha per contrasto il malessere, dato dalla mutilazione, dalla disintegrazione di parti di noi, di esperienze, di vissuti, di aree espressive, che non sono strettamente legati alla perdita di una persona, ma che sono, comunque, emorragia di sostanza vitale. In questa situazione, la poesia rappresenta una forma, un’organizzazione ritmica che àncora le emozioni, impedendo loro di tracimare in modo caotico, e, paradossalmente, questa forma le è data proprio dal vuoto, dal fatto che le parole non occupino tutto lo spazio tipografico della pagina, ma si affaccino sul bordo dell’abisso, del silenzio. La poesia crea, quindi, una dialettica tra vuoto e pieno, tra andare e ritornare, è una marea, in cui si ritrovano immagini vivide che vanno oltre il senso letterale, sono similitudini, sono metafore che permettono di essere sempre qualcos’altro, di superare la stasi.
Obiettivo non è quello di sopprimere il lutto e la tristezza, ma di trasformarli, facendoli passare da uno stato statico a uno fluido. Roland Barthes afferma che, quando si dice che un dolore è intollerabile, già il fatto che la lingua fornisca la parola “intollerabile” rende possibile una certa tolleranza. Gaston Bachelard va oltre e, nel suo libro “La poetica dello spazio”, afferma che, quando si può dire della propria tristezza “ha un odore di ananas”, già sia possibile sentirsi un po’ meno tristi, ci si sente più “dolcemente tristi”. Analogamente, dicendo che la tristezza assume “un profumo di terre lontane” si attua un’espansione, un allargamento di confini dell’esperienza: ecco è questo che fa la poesia.
Tutte le forme poetiche, come il sonetto, la sestina, l’ottava, l’endecasillabo (che è il metro connaturato al respiro della lingua italiana) possono essere curative e hanno delle specificità che nessuno finora ha mai studiato e questa è una grande sfida per chi si occupa di poesiaterapia. E così anche altre forme poetiche di altre culture, come lo haiku, il tanka, il renga giapponese, oppure forme di poesia cinese, la poesia surrealista, il caviardage, il piccolo undici e tante altre. E i testi possono essere già esistenti, quindi, ascoltati, letti ad alta voce, ma anche originali, appositamente creati, attraverso modi e tecniche ben precise, sempre sotto la guida di un/una poeta terapeuta.
Ricollegandosi all’utilizzo dell’isoprincipio in poesiaterapia, Antonella Zagaroli, ha letto alcuni testi di Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, che utilizza durante le sue sedute:
Senza esclamativi di Giorgio Caproni
Com’è alto il dolore.
L’amore, com’è bestia.
Vuoto delle parole
che scavano nel vuoto vuoti
monumenti di vuoto. Vuoto
del grano che già raggiunse
(nel sole) l’altezza del cuore.
Assenza di Attilio Bertolucci
Assenza,
più acuta presenza.
Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.
Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera.
Ecco il segno di Eugenio Montale
Ecco il segno; s’innerva
sul muro che s’indora:
un frastaglio di palma
bruciato dai barbagli dell’aurora.
Il passo che proviene
dalla serra sì lieve,
non è felpato dalla neve, è ancora
tua vita, sangue tuo nelle mie vene.
Tutto ho perduto di Giuseppe Ungaretti
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte? …
Zagaroli ha sottolineato come queste poesie possano far parte di un percorso, il cui punto di partenza è rappresentato dai versi di Caproni che rimandano al senso di vuoto nel momento della perdita. Un vuoto fisico perché non c’è più il corpo, non si sa più chi abbracciare, non si sa più con chi parlare. Le parole di Bertolucci ribadiscono, poi, l’assenza, personalizzandola, rendendola una presenza pesante come la pietra. Con Montale si scorge un leggero cambiamento, si può immaginare un’aurora, un nuovo giorno e un passo, che comincia a fare un lieve rumore, perché non è più attutito dalla neve. E, infine, c’è Ungaretti, che ricomincia a usare le parole della vita, del lavoro, del quotidiano. Bisogna saper ascoltare e capire quali siano le parole giuste che il linguaggio poetico offre, permettendo al/alla paziente di elaborare il dolore senza forzature, offrendo un canale di espressione autentico e personale.
Alle parole di Marisa Brecciaroli, Leonora Cupane e Antonella Zagaroli, si sono intrecciate quelle di Patrizia Gioia, tratte dal suo libro di poesie Tita su una gamba sola. Qui la voce è quella di Patrizia bambina, vivace e curiosa, che racconta, in un flusso di coscienza in versi, il mistero della vita e della morte. La sua infanzia cambia drasticamente quando il padre si ammala e muore, lasciandola con un vuoto profondo. Il dolore si manifesta in un silenzio denso e in una mancanza che diventa fisica, proprio come la gamba amputata del padre.
Mi chiamo Tita,
ho 9 anni.
Un mese fa è morto il mio papà,
un mese prima anche la mia nonna.
Tutti e due li ho visti morti con i miei occhi.
Forse per questo che adesso
sento negli occhi qualcosa che non va.
Nonostante tutto, Tita troverà un luogo intimo in cui il dolore riuscirà ad attenuarsi. Questa poesia autobiografica ha il dono di far rivivere i momenti di perdita con una nuova consapevolezza, trasformandoli in un racconto condivisibile e terapeutico. Patrizia Gioia ha, infine, concluso la sua lettura con il rientro di Tita a Milano dalla colonia estiva, da questi versi, nonostante la presenza del dolore, appare trasparire un nuovo sentire:
poi scendo
e anche se a Milano non c’è il mare,
io lo vedo.
Bibliografia
Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, Traduttore Ettore Catalano, Bari, Edizioni Dedalo, 2006
Patrizia Gioia, Tita su una gamba sola, Monza, Edizioni Mille Gru, 2012
Simonetta De Donatis, facilitatrice di primo livello in Poesiaterapia, socia dell’Associazione Mille Gru, segue dal 2013 i corsi di poesia di Dome Bulfaro ed è una dei componenti dei cori poetici: CoroDiVerso e Rimembrilli. Caporedattrice della rivista Poetry Therapy Italia e realizza laboratori di poesiaterapia che spaziano dalla scrittura kintsugi®, al massaggio poetico per adulti e bambini.