L'autrice, attingendo allo straordinario pozzo della sua rubrica LeggerMente, analizza come vengono trattati in chiave terapeutica i temi del lutto, della perdita e della morte, nella produzione letteraria di sei rappresentanti di spicco del poetry slam italiano, due appartenenti alla “prima ondata” – Agrati, Bulfaro – e quattro appartenenti alla nuova scena slam: Achille, Diāvoli, Riggio e Sacco.
LeggerMente, la rubrica di psicologia e poesia dell’Istituto di Alta Formazione di Firenze (IAFF), è attiva dal 2021 e, da qualche anno, opera in collaborazione con la rivista Poetry Therapy Italia. In questo articolo vengono riuniti i concetti fondamentali di alcuni poeti della scena slam italiana che hanno sviluppato il tema del lutto, da un punto di vista terapeutico.
Sepoltura e rinascita
Dome Bulfaro, nell’incipit del suo libro OssaCarne (2012), evoca la metafora archeologica usata da Freud per descrivere la formazione della teoria dell’inconscio. Fa riflettere su un lavoro di scavo, di disseppellimento dei resti e dei ricordi: un disvelamento, strato dopo strato, via via che viene rimossa la superficie. Su ogni frammento vi è incisa la Poesia, che rappresenta la storia personale, simbolicamente memorizzata da un arto e trascritta nel libro. L’elemento innovativo è che lo scheletro carnifica, cioè ritorna in carne e rappresenta la capacità di rimediare, recuperare e rinnovarsi dell’essere umano. Il tema della morte, inoltre, si unisce a quello della rinascita fisica e spirituale. Il rito della sepoltura ha un doppio significato: è un rituale di accompagnamento alla trasformazione, ma riguarda anche ciò che evitiamo e tendiamo a rimuovere, a tenere sepolto. Nella silloge di poesie, inoltre, gli organi interni, le tracce organiche e le parti dello scheletro sono i nuovi protagonisti del testo letterario:
Costato. reperto n° 10
Scardina il fianco scoperchia me spurio
sarcofago oratorio di sette strati
tegumentali essiccati per ospitare
te mia Nefertiti che nei respiri hai i tesori
estirpa me e aspira il respiratorio poi l’endocrino
nervoso digerente circolatorio l’escretore
dissolvi me il riproduttore di ritratti a me somiglianti
disossami il locomotore d’avorio ora che ancora viva
t’inglobi intera ti scuoi e colleghi ai miei canoni gli impianti
cinti come voglio in vita vivere coi tuoi apparati
quando non di coste o stracci ci bendiamo
ma d’abbracci presentiti immortali
In questo contesto il ruolo del Poetaterapeuta è quello di dare voce al corpo e corpo alla parola. La poesia è insita nella carne di ciascuno di noi, va solo svelata. Si parte da un punto fisico, che comunica qualcosa: lo scrittore traduce i ricordi immagazzinati in un organo e interpreta ciò che esprimono attraverso il sintomo. Il poeta crea il linguaggio poetico del corpo: costituisce una nuova forma di linguaggio attraverso un lavoro di trascrittura degli stati interiori e di pacificazione delle polarità contrastanti.
Sindone vivente. contatto n° 32
se il nostro bacio è l’elica di ogni fuoco,
siamo fiamma che ripara tra due dita d’enigma
Cristi privi di scopo, l’infinito punto a capo
nel bregma, quel vuoto ignoto prima di essere dopo
Il tema della Sindone racchiude ciò che resta impresso nella stoffa (come i versi incisi nelle ossa): i sacrifici degli avi e la storia della famiglia d’origine. La morte non è considerata una fine ma un passaggio, reso immortale dall’amore e dalla poesia, che rendono la nostra traccia eterna e la rivolgono al futuro, insieme alle memorie che non vengono dimenticate prima di essere dopo.
Partiture per un addio – Il tema del suicidio
La raccolta di poesie Partiture per un addio di Paolo Agrati approfondisce il tema della perdita di speranza e del suicidio. Il lettore si muove sulla scacchiera della vita e della morte, sullo spartito che compone il suono e la storia dell’esistenza dei personaggi, attraverso la scelta di voci narranti:
XXXIII
Avevo comprato un’auto rossa per fuggire
dalla noia del paese, non pensavo mi portasse
così lontano. Con il tubo dello scarico infilato
nel finestrino ho riempito l’abitacolo di gas.
Vado via con un velo di rossetto, agli occhi
un po’ di trucco e una lettera a mio padre
con tre versi di Ungaretti: non sono mai stato
tanto attaccato alla vita.
Durante un tentativo di suicidio avviene una scissione tra sé corporeo e sé psichico, come viene rappresentato metaforicamente nella poesia seguente, che cita il canto XIII dell’Inferno di Dante (nel quale l’anima del suicida è imprigionata nell’albero, dove verrà appeso il corpo dopo il giudizio universale):
II
Non attendere il giudizio universale
per appendere il corpo ad un ramo
perché questo gramo passaggio
terrestre, è come fuoco sugli arbusti
ci consuma piano finché di noi non resta
che un soffio, un grumo di sangue guasto.
Il sé psichico gode della fantasia dell’immortalità ed è un mezzo illusorio per restare nella mente dei familiari:
XXXV
Non ho pensato a mia madre e a mia sorella.
Per la prima volta non ne ho avuto il tempo.
Chissà se sono ancora belle, se ballano ancora
scalze dal salotto alla cucina. Pensavo non ci fosse
via d’uscita dal dolore. Illuso da una finta libertà
mi sono rinchiuso nei loro pensieri, per non uscirne più.
Il tentativo di suicidio si può considerare un processo relazionale, perché è una comunicazione sempre rivolta a qualcuno. Attraverso il suicidio si conquista un posto perenne nel complesso gioco dei legami. La morte è sentita come l’unica possibilità per differenziarsi, mentre in realtà è un modo per negare la separazione, perché significa restare per sempre nel pensiero dei propri cari, in modo indelebile.
XLV
Potevo scegliere la finestra del palazzone
in cui stavo in affitto. Invece sono andata
da un’amica e mentre metteva a bollire
l’acqua per il tè ho scavalcato il cornicione.
Ha sempre avuto un ottimo balcone, pieno
di fiori freschi, forse gigli. La vita non mi ha
dato la gioia di allevare figli. Chissà
se qualcosa crescerà dalle crepe dell’asfalto.
Le poesie riguardano la fragilità umana e concludono tutte con il suicidio, narrano la morte per mostrare la necessità di dare il valore dell’esistenza.
Trasmigrazioni e trasmutazioni tra morte e vita
Con Diāvoli la morte non fa paura, non blocca né congela emotivamente perché viene rielaborata e considerata una risorsa. Il dolore è trasformato in energia e diventa un inno alla lotta, essenziale per creare legami e per cambiare l’ambiente intorno. Il testo Fallisci et impera narra la storia di un caro amico, morto nei fossi di provincia dopo una fuga da una comunità terapeutica. Il freddo, quella notte, ha avuto la meglio sul suo corpo, pieno di farmaci e cocaina:
sono il malessere, sono il disagio,
cane randagio che a bocca piena
divora menate in cancrena,
sono il presagio di morte che abita il fegato,
corro rabbioso,
soprabito in mogano,
cuore peloso e imperfetto,
sono un unico grande difetto.
Dopo il riconoscimento, le è stato consegnato un messaggio indirizzato a lei, un foglietto che le ha fatto cambiare la visione su molte cose. Dopo questa esperienza di vita e morte, gli ultimi sono diventati la sua famiglia metaforica, il lato affine della barricata, il senso del lottare:
E allora
spero che senza paura
qualcuno lo porti a me, un fiore,
come una lettera d’amore
che posso interpretare come voglio
che mi tolga dalla mente
il tuo cadavere d’albero spoglio
quando penso ai fossi della provincia,
dove ancora,
senza di te,
ogni giorno
dall’alba
ricomincia.
La poeta sovverte il ciclo vitale degli eventi, trasmutando un dramma in vitalità: rovescia le convenzioni per generare rinascite spirituali in cui trasmigrare, ché ogni giorno dall’alba ricomincia. Molti testi di Diāvoli sono intrisi di partenze e ritorni, stazioni e cimiteri, ma anche di evoluzioni: sono un invito a riconciliarsi con la vita, consapevoli della morte.
È una poesia salvifica, che include il cambiamento e preserva le relazioni e la comunità.
Perdita e separazione: la rielaborazione del lutto
La raccolta di poesie Medeatiche (2022), di Beatrice Achilleattraverso il mito di Medea, mostra la violenza che consegue alla negazione di una perdita. In queste situazioni, con la perdita dell’altro finisce il senso della propria identità e del mondo: la vita non ha più senso. Il compito di rielaborazione di un lutto, inteso qui come fine di una relazione, è quello di accettare la separazione. Questo comporta l’introversione del dolore e, per superarlo, serve un tempo prolungato di contatto con esso. Al contrario, se il dolore non viene elaborato, può trasformarsi in violenza e in una frantumazione del sé[1]:
Operarsi al nero,
uccisi tutti i figli.
Giasone proprio tu mi hai tradito
eppure non importa
come nasce come si dirama a domanda
fuoco ho detto fuoco
[…]
Ma operarsi al nero ora che il colpo inferto non si
nega, ora che la scelta è data in un gesto che non si
spiega, è impossibile, ci si è fatti a pezzi.
Etica mi teneva tutta assieme coi miei contesti, adesso
sono scomposta in immagini e ricordi,
non c’è rumore, non c’è silenzio, ma solo parti,
parti, altri frammenti
In Medea, Shengold ravvisa il prototipo del primal parent (genitore primario) che porta all’estremo la sua distruttività” […] “Il suo mondo interno è scisso in due parti, di cui l’una si accanisce contro l’altra ed ella traspone sulla scena del mondo esterno quel che avviene nella sua vita interiore. La parte di sé che Medea uccide nei suoi bambini è sé stessa figlia legata al padre e dipendente da lui[2]”.
L’elemento del fuoco, inoltre, simbolo delle passioni, è adoperato per dare la morte alla futura moglie di Giasone e ai propri figli ed evoca la ricerca di una catarsi, che non avverrà mai:
miei ellebori sgualciti nella neve
tracciano di questo bosco sacro e arso il bordo
sempre più lieve la brace nel focolare
e sempre più sordo quel canto famigliare
si solleva cupo un pianto un grido feroce
un urlante del nome a gran voce a gran voce
è Giasone, mi cerca nell’alta marea
pronuncia… pronuncia il mio nome:
ma quel nome non mi appartiene più.
Tutto è perduto e Medea volerà via su un carro trainato da draghi alati, inviatole dal dio Sole. La poeta, attraverso il mito, propone le facce nascoste dell’essere umano contemporaneo, che conducono alla violenza, all’uccisione o alla sopraffazione. Beatrice Achille narra una tragedia familiare ed evidenzia il drammatico fallimento dei processi evolutivi dei membri della coppia, legati all’individuazione e alla differenziazione, necessari per accettare la separazione. L’autrice sviluppa delle importanti riflessioni sulla perdita del legame e descrive il crollo del senso del mondo, che può avvenire in conseguenza a dolori non elaborati.
“Jacobs (1988) metaforizza l’uccisione, definendo come Complesso di Medea il comportamento materno finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figli, dopo le separazioni conflittuali: così l’uccisione diventa simbolica e ciò che si mira a sopprimere non è più il figlio stesso, ma il legame che ha con il padre”[3]. Come esperti della relazione di cura è fondamentale riconoscere le note del Preludio del dramma, ovvero l’atto della tragedia che riguarda la perdita, per sviluppare un processo terapeutico adeguato e garantire l’accesso di entrambi i genitori ai figli.
Beatrice Achille fa spaziare il lettore tra Mythos e Logos, tra ragione e sentimento, tra appartenenza e separazione. La scrittrice attraversa temi antichi e sempre moderni, ancora oggi non risolti, e lega poesia e psicologia, in cerca di speranza e di un’evoluzione.
Malattia, senilità e morte
Benedetto Sacco[4], nel suo libro Venti- tra racconto e poesia, approfondisce i temi della malattia, della senilità e della morte. Le riflessioni sono intese come mutamento di forma: a contatto con il dolore si invecchia, si diventa pieni di solchi e ci si trasforma in albero. Il cambio di visione del mondo, tipico del suo stile poetico, porta vorticosamente al cambiamento e a una variazione fisica. Può avvenire un’anestesia sensoriale: si perde calore, non si respira, si gela e il congelamento porta alla paralisi. Tutto si blocca. Accade l’impensabile: la metamorfosi kafkiana, dalla quale non si può tornare indietro. Viene ribaltata la visuale di chi legge, come Benedetto Sacco sa fare, e non siamo più uomo ma albero: “Porto con me il segno del nostro amore: un cuore con le nostre iniziali, quel tatuaggio vegetale fatto in una giornata di piena estate, per scalfire un amore eterno come quest’albero”.
Il poeta rappresenta tema del “riconoscersi, nonostante il cambiamento” in una relazione d’amore, che attraversa le stagioni della vita fino alla fine, sebbene in una diversa sembianza. Meraviglioso è l’addio straziante alla moglie: vorrei che fossimo tutti e due rimasti verdi e giovani, mentre le foglie giallastre volano via.
Affiorano la solitudine, i rimpianti e la brevità del tempo per fare un resoconto della propria esistenza. Si avverte il dramma della separazione per la perdita dei cari (come il cane senza padrone) e di chi è in procinto di morire, confuso e conscio, come solo chi è vicino alla morte può essere. E tutti (uccelli e scoiattoli) scappano via, per cercare consolazione altrove e rielaborare la perdita.
Per l’autore è necessario gustare ciò che offre la vita, consapevoli della fugacità della vita di fronte alla morte:
NO
Poesia per Jack
No solo questo, nient’altro da dire.
Parola mai amata, parola rinnegata,
parola che non si vorrebbe mai sentire,
parola portante, possente, se a te paragonata.
Mi rimane pensare e sorridere
a quello che è stato,
a quello che ci hai lasciato.
Allevio il dolore lasciando lacrime cadere,
qui, davanti al tavolo di mille incontri,
dove chiaccherate solitarie erano passioni,
mentre ti guardavo in un frangente di scontri.
Cercavi di farmi capire,
volevi almeno farti sentire
ma non ci riuscivi e pure ti ascoltavo.
Provavi a toccare ma non mi afferravi,
o almeno ci provavi,
ed io lo facevo per te
ed io lo facevo per me,
per farti sentire al sicuro ed essere di aiuto.
Non ho mai capito davvero
ma il destino è stato severo,
mostrando chi era la roccia, chi debole, sperduto.
Ed io, che ho ancora bisogno di sicurezza,
io che sogno una tua debole carezza,
seduto inerme su questa sedia
non riesco a muovermi, faccio fatica a respirare.
Riconosco il tuo dolore che tedia,
logora e stordisce e come il mare
che ingloba, nascondendo, oscure tenebre,
tu celavi la fatica come un mago celebre.
Quel sorriso, che sovrastava monti e colline,
potevi sfoggiarlo come trofeo in ogni momento,
bloccava tempeste, spostava il vento,
una forza di mille uomini in quel tuo essere.
Adesso che ho capito chi è il debole,
chi è che ha bisogno di aiuto:
continua a proteggermi se hai un minuto,
scaccia malumori e rabbie frivole.
Il tuo esempio rimane la mia forza,
i tuoi insegnamenti la mia guida.
Sono una foglia come tante altre,
volante dispersa nel mondo, dove direzione e tempo
sono solo un eterno girotondo,
alla ricerca di una meta, di una felicità non concreta.
Sono un’altra delle mille foglie, ancorate al tuo tronco immenso.
Hai formato un bellissimo albero, amico mio.
Un saluto, aspettami alla fine della salita.
No è diventata la mia parola preferita.
Il Tuo infermiere,
Ben.
Benedetto Sacco offre orizzonti ampi e pieni di speranza, che nutrono come una benedizione anche i cuori non credenti. È un portavoce delle gioie e delle crisi di ogni essere vivente, compresi gli alberi.
Lutti moderni
Gloria Riggio nei suoi testi poetici, esprime fragilità individuali e sociali, in un contesto culturale in cui tutto è...
Chiuso per lutto
Basta, basta così, giù il sipario: non me la sento stasera.
Chiudete tutto, vi rimborso il biglietto,
io stasera quasi balbetto, io stasera dopo secoli
e secoli, e secoli
mi spiace: sono senza voce
e poi mi sento sporca, mi sento lercia,
mi sento che tutto ciò che l’uomo mi tocca o mi sposta poi mi si infetta.
Ma che cosa pensate?
Che si possa sempre far finta che la tosse sia solo di passaggio?
Che non esista da qualche parte un fumo costante,
un gesto guasto, un vizio che mi alimenta il cancro?
No - io dico meglio lasciare stare
questa sera
[…]
La poeta dichiara tragedie che spesso rifiutiamo per non essere sommersi dal dolore. La sua poesia dà voce ai drammi moderni:
Maddalusa è il nome del mare dentro cui sono cresciuta,
una spiaggia lunghissima fatta di conche.
Le conchiglie che portavo a casa erano bianche
le pietre quelle con le forme più bislacche
i vetri levigati li donavo a chi chiedevo che mi amasse
il sale era lo stesso che un giorno come gli altri erose le carcasse
di centodiciassette persone affogate in giugno al largo del lembo
su cui un busto di uomo ancora vestito, tracimava in avanti e poi indietro
come cullato e
e le preghiere un mucchio muto di moniti, – consòlati –
ma le maree diventano martirî e le madri martiri
i morti opinioni da dibattere, le braccia zattere
il mare aperto un immenso carcere.
Il veto dell’uomo sull’uomo
in vetro ridotto dal suono
del vento che porta in suo dono
un ventre di mare in risacca: una scarpa e un pezzo di giacca
un occhio che sembra una biglia, una treccia, un fiocco, una ciglia,
un padre, una voce, una figlia e una frase che tronca assomiglia
all’ultimo pezzo di chiglia arenato sulla sabbia ferita
[…]
Alcuni testi descrivono un punto della costa sud della Sicilia, sulla tratta migratoria mediterranea. La scrittrice approfondisce il legame tra il mare e la morte e descrive accuratamente il contesto esterno e l’interno dell’animo: le donne in nero sul ciglio delle case e i loro lamenti strazianti di madri rivolte al mare, perché ogni figlio morto ti rende in lacrime il sale?
Leucotea
Le donne in nero sul ciglio delle case
di questo lungomare di lapidi e lampare
prefiche di un funerale la cui predica è un'omelia
di canto di cicale, di spigole tornate ad abitare il mare[5],
[…]
continuano a pregare
e mentre sgranano il rosario
come un tirare di reti il pescatore
le sento intonare il coro d'un lamento,
il pianto d'ogni madre:
quanti se ne prende il mare
quanti se ne prende il mare
e cosa ci rende il mare
e come ci rende e come ci arrende il
Mare fammi chiglia e pancia di barca che viva da culla
mare fammi curva di onda e ora feconda fatta di braccia a unire altre braccia
[…]
Leucotea è una preghiera laica rivolta al mare, sulla diaspora mediterranea, personificata nella voce della dea bianca protettrice dei marinai, degli stranieri, dei naviganti e dei rifugiati. La fragilità individuale diviene sociale e si trasforma in un coro di denuncia e di solidarietà, che apre varchi e interrogativi inaspettati. Tramite la poesia, Gloria Riggio considera tutto il male dell’animo umano e lascia qualche varco di speranza per immaginare una liberazione, che forse avverrà. Recalcati dice che per elaborare un lutto è necessario separare il soggetto dal lamento e trasformare il rimpianto in gratitudine. Il rimpianto vincola al passato, all’altro e al lamento di ciò che non ci è stato dato, la gratitudine invece “diviene una potente risorsa psichica di rinnovamento della vita”. La gratitudine implica la possibilità di ereditare e di tramandare perché “qualcosa che non è più fra noi non smette di illuminare la nostra vita e il suo divenire” (M. Recalcati, 2022).
Recalcati propone un messaggio di speranza verso il futuro: “sono grato ai miei innumerevoli morti per quel che ho ricevuto; lo porto con me non come una reliquia da ossequiare ma come qualcosa che attende ancora la sua realizzazione, come un vento di primavera, un vento australe che soffia da sud”[6] (M. Recalcati, 2022).
Note
[1] Fornari, Psicoanalisi della guerra in Recalcati, lezione su Lutti e melanconie.
[2] Nanni S. (2020) Il fallimento tragico dell’emancipazione e l’infanticidio: la Medea in Euripide e in Pasolini http://www.psychiatryonline.it/node/8850
[3] Gallo A. (2010) La sindrome di Medea http://www.glipsicologi.info/wordpress/la-sindrome-di-medea.html
[4] Papp F. (2022) Introduzione a Sacco B. Venti, tra racconto e poesia Susil Edizioni.
[5] perché si cibano di carne umana.
[6] Recalcati M. (2022) La luce delle stelle morte - Saggio su lutto e nostalgia, Feltrinelli, Milano.
Francesca Papp è educatrice, psicologa e psicoterapeuta, specialista in Terapia di Coppia e della Famiglia.
Ha pubblicato una raccolta di racconti e tre raccolte di poesie che ripercorrono metaforicamente alcuni viaggi speciali.
Da febbraio 2021 cura la rubrica mensile di poesia e psicologia LeggerMente, in collaborazione con l’Istituto di Alta Formazione di Firenze e, da luglio 2022, anche con la rivista Poetry Therapy Italia.