Esplorando il processo di elaborazione del lutto, l’articolo distingue tra perdita, lutto e cordoglio. La poesia emerge come strumento di cura – capace di favorire l'introspezione, la condivisione e la riappropriazione della vita – da utilizzare però con cautela, soprattutto nelle fasi iniziali del lutto, e favorire la condivisione e la relazione all'interno di un contesto sicuro. Chiude la riflessione, la proposta di un laboratorio di poesiaterapia sul tema del lutto.
Si vis vitam, para mortem:
se vuoi poter sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte.
Sigmund Freud
Perdita, lutto e cordoglio
Per descrivere lo stato d’animo dell’essere umano, toccato dalla morte di una persona amata, è utile ricordare la differenza che intercorre tra i termini di perdita, lutto e cordoglio: tre espressioni che s’incrociano e si avvicendano nel percorso di rielaborazione di chi sopravvive.
Quando si parla di perdita, si fa riferimento al cambiamento traumatico che modifica sostanzialmente la vita: dalla condizione fisica a quella economica, dalle ripercussioni affettive a quelle cognitive, dalla dimensione etico-religiosa a quella sessuale e sociale.
Con il lutto s’intende lo stato esistenziale capace di produrre intenso dolore, spaesamento e perdita dei riferimenti, trasportando il soggetto colpito in una crisi individuale globale. Se la sofferenza profonda si protrae lungamente, si parla di lutto “complicato”.
Il cordoglio è il caleidoscopio dei sentimenti, manifestati o meno agli altri e a volte difficili da controllare, che si alternano nella persona che ha subito il trauma della perdita, in un presente rifiutato, disperante, angosciante, apparentemente senza vie d’uscita.
Gli effetti di una scelta culturale
La cultura occidentale, sempre più “connessa” e fondata sulla comunicazione, di fronte alla morte si trova spiazzata e in difficoltà a collocarla così da dare risposte inadeguate; comunemente si evita, si rimanda, si allontana l’argomento, tale è la consuetudine di vivere nella dimensione potenzialmente eterna, nella visione magica di continuità esistenziale.
A partire dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso si è operata una rimozione sistematica della morte dalla vita quotidiana, delegandola all’interno delle strutture ospedaliere, allontanando i riti e il vissuto di un evento che aveva un importante ruolo di riconoscimento sociale e individuale.
Nel tempo si è arricchita una cultura che priva la capacità di riconoscere la spiritualità, l’interiorità, l’affettività; la morte reale si è trasformata in un fantasma indicibile che colpisce il singolo.
Già nel 1955, l’antropologo inglese Geoffrey Gorer pubblicò un articolo profetico dal titolo “La pornografia della morte”, dove associava la pornografia, intesa nel suo consueto significato a sfondo sessuale alla morte, sostenendo che “il legame sta nel fatto che entrambi sono circondati da divieti, interdizioni, tabù che rendono difficile la libera circolazione di parole, espressioni, comportamenti”.
Solamente in anni recenti sta emergendo un approccio educativo, la cosiddetta Death Education, sui temi del fine vita e della morte, così da riconoscere i profili dell’angoscia, riflettere sul significato della caducità e della finitudine, educare al dolore nel linguaggio e nei comportamenti.
Il dolore al centro
Trascorso l’impatto emozionale dei primi giorni e conclusa la funzione funebre, il singolo si ritrova spesso ad affrontare l’assenza in solitudine o, in certi casi, nel paradosso di dover consolare e rassicurare i familiari, spesso impreparati a condividere le espressioni di dolore.
L’unicità del dolore deriva dall’intima percezione del sé e dell’affettività avuta con il defunto e richiama gli incontri, gli eventi, i luoghi vissuti insieme.
Il dolore scava nel concetto d’identità costruito negli anni, riporta all’idea di fragilità esistenziale che assume per ognuno un significato diverso.
Il dolore parla di vita, dell’amore che c’è stato e che non vuole dissolversi, per cui lavorare sul dolore significa guardarlo direttamente, dargli voce, nella crescente consapevolezza che, per rielaborare quanto è accaduto, occorre accettare l’evidenza del cambiamento, che è il nodo imprescindibile per riappropriarsi appieno della vita.
A volte si oppone resistenza all’idea di mutamento, percepito come fonte di pericolo di dimenticare la persona amata.
Elaborare un lutto significa, dunque, attingere all’innata capacità umana di interagire con se stessi, vuol dire riformulare progetti, ri-conoscersi attraverso il contatto con il presente.
I territori d’azione dell’elaborazione di una perdita sono la relazione e la comunicazione.
La vicinanza dei familiari, di parenti, vicini, amiche e amici è già cura: raccontare e ricordare insieme è il primo passo per costruire e ritrovare l’identità.
Risuonare, accordarsi con i ricordi altrui, emozionarsi, commuoversi, ridere, meditare in silenzio è il collante delle relazioni umane.
Per aiutare il dolente nel difficile percorso, numerosi sono gli strumenti a disposizione, tra questi c’è la poesia.
La poesia come cura
Per supportare e accompagnare la persona durante un percorso di lutto, la scrittura poetica può assumere un ruolo rilevante.
Può diventare un alleato, una valida cura, in grado di affiancarsi ad altre forme di terapia perché contiene tutti i principi utili per favorire il processo ricostruttivo interiore.
I versi sollecitano la capacità di ricordare, favoriscono l’introspezione e la relazione con gli altri attestando la decisione a esporsi per trasmettere un messaggio.
La volontà di comunicare è strettamente legata al desiderio e influenzata dalle condizioni di vita: il dolore, la sofferenza, il cordoglio, prosciugano il desiderio, tolgono la parola, passivizzano, da qui l’importanza cruciale di esprimere le emozioni, i vissuti, i pensieri nella loro integrità.
La forma sintetica della poesia produce sana distanza e riflessività, il ritmo stimola il pensiero a una maggiore chiarezza e puntualità, diventa potente auto-formazione.
Chi scrive versi è ricercatore di senso per comprendere l’esperienza vissuta con il proprio caro, per raccoglierne la testimonianza esistenziale e sapere cosa farne, per diventare consapevole del proprio modo di vivere l’assenza.
La scrittrice e sociologa Marianella Sclavi sostiene che “per conoscere il tuo punto di vista devi cambiare punto di vista”. Scrivere poesie pone in una visuale nuova, uno sguardo “terzo”, aggiuntivo di significati nel suo costante sforzo di riduzione, è un atto d’amore verso se stessi e gli altri. La poesia come fermo proposito di esserci, è una via di conferma anche per le proprie competenze, passate, presenti e future: “io esisto, sono capace, posso essere capace”.
Poesia è arte umile, fedele, diventa espressione di coraggio in quanto racconto poetico dell’esistenza, per cui aiutare a comporre o a trascrivere versi per mostrarli, per dare loro corpo, riveste grande importanza.
Nei fatti, è evidente che quando si analizza il proprio vissuto non si è veramente soli, la memoria non appartiene mai a una singola persona.
Solo condividendo l’esperienza vissuta, descrivendo cos’è accaduto, chi è stata la persona amata e come si è espresso realmente il rapporto d’amore sarà possibile ri-appropriarsi della vita.
La memoria di un affetto perduto cerca testimoni, vuole affermare la sua presenza nel mondo.
Curare con la poesia, fare poesiaterapia è creare relazione perché corrisponde a tre grandi funzioni della vita umana:
– conferisce identità alla persona, le dà riconoscimento esistenziale
– conferma la capacità della persona di generare e rigenerare sé stessa
– garantisce il rispetto delle condizioni proprie della vita del singolo (e, nel caso, anche del gruppo).
I rischi della scrittura poetica nel lutto
L’utilizzo della poesia prevede cautela d’uso nel periodo immediatamente successivo all’evento morte. Nelle fasi iniziali del lutto la poesia può essere inefficace e non rispondere in modo adeguato al bisogno, la sofferenza del dolente è totalizzante e viaggia in un circuito chiuso tra le acute manifestazioni di dolore, i sensi di colpa, la rabbia, la percezione del vuoto, il senso d’abbandono.
In queste condizioni, invitare a scrivere versi o proporre percorsi di cura tramite la poesiaterapia, potrebbe far “girare a vuoto” l’interessato intorno ai medesimi temi critici della sua perdita, un angusto spazio senza via d’uscita.
I benefici di un percorso di condivisione
La potenzialità della scrittura poetica si realizza pienamente quando, innanzitutto, proviene dalla richiesta diretta dell’interessato, se è facilitata e condivisa, se avviene in un contesto sicuro e, soprattutto, se trova oggettività tra i concetti espressi e l’esperienza esterna: in altre parole, se attiva concretamente la comunicazione.
Per essere in grado di restituire visibilità e dinamicità al lutto, la condizione laboratoriale dovrà giocarsi innanzitutto sul piano della relazione, poiché non basta la poesia in sé a produrre trasformazione, l’efficacia si realizza nella combinazione delle interazioni tra scrittura, lettura, conversazioni e riflessioni comuni.
La scrittura poetica diventa cura del lutto quando apre un ampio ventaglio di possibilità che è in grado di modulare, adattare, ampliare o ridurre secondo le risposte, tuttavia è bene insistere che il beneficio del lavoro poetico è insito nella pratica, attraverso le connessioni che emergono, nel processo di lavoro, nell’interazione dei corpi, degli sguardi, delle voci.
È così possibile avviare un percorso con due o più persone in grado di fornire elementi innovativi, mostrare i sintomi di un cambiamento sostanziale, dare strumenti per l’auto-analisi.
Condividere i versi poetici prodotti, darne restituzione, confrontarsi sulle reazioni interiori e sui vissuti emersi servirà alla persona colpita dal lutto per avere visioni “altre”, che faranno da specchio e da cassa di risonanza dei suoi scritti.
Chi si affida alla poesia non è chiamato a trovare belle parole, ma quelle che fedelmente lo rappresentino e che raccontino l’autentico, parole incisive, in grado di svelare ciò che accade nel profondo, le lotte interne, le paure, i progetti mancati o spezzati.
Parole corpo, per dare gradualmente forma alla propria verità.
Il laboratorio di poesiaterapia sul tema del lutto
La struttura di un laboratorio di gruppo di poesiaterapia in presenza, dedicato a chi sta affrontando un lutto, non differisce significativamente rispetto a laboratori su altri temi esistenziali, questo vale anche per la scelta degli esercizi idonei da presentare.
Data la natura degli argomenti e delle emozioni, anche forti, che possono emergere, è necessario che uno psicologo o un formatore esperto sul lutto sia affiancato al facilitatore.
Da parte sua, il conduttore deve dare grande rilevanza all’accoglienza fin dall’ingresso, la presentazione dei partecipanti è un momento delicato che deve essere in grado di creare immediatamente un clima di sicurezza, di protezione, di rispetto dell’unicità di ciascuno, di inclusività confessionale, di ascolto attento delle singole storie, di apertura e assenza di giudizio.
Il facilitatore deve avere una voce chiara, con il volume adeguato e tenendo il tono corretto per trasmettere una postura d’ascolto non giudicante e di comprensione, deve evitare voci contrite e toni pietistici, valorizzare il bene prezioso dei momenti di silenzio, saper farsi da parte, essere in grado di trattenere e riformulare le parole chiave che possano aprire porte ai successivi approfondimenti.
L’aspetto dei vissuti e delle emozioni che emergono deve avere sempre la precedenza rispetto alla scaletta prevista, che dovrà essere quanto mai flessibile e variare nella qualità degli stimoli.
Frasi che incoraggino gli interventi, per esempio: come vi sentite? c’è qualche parola o verso che avete scritto o avete ascoltato che vi ha colpito o che adesso sentite vostro? Sono molto utili per verificare la validità della proposta, per curare il percorso del singolo partecipante e in contempo ad accompagnare il gruppo nel suo evolversi.
Al termine del laboratorio è necessario chiudere tutti gli argomenti rimasti aperti e infine proporre un semplice rito in ricordo dei defunti.
Bibliografia
Geoffrey Gorer, La pornografia della morte, traduzione di Romolo G. Capuano, 2013
Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Torino, Paravia Bruno Mondadori, 2003
Luigi Colusso, Il colloquio con le persone in lutto. Accoglienza ed elaborazione, Trento, Erickson, 2012
Ines Testoni, Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Milano, Il Saggiatore, 2021
Ines Testoni, Dopo la notizia peggiore. Elaborazione del morire nella relazione, Padova, Piccin, 2012
Laura Formenti, La memoria come cura nelle relazioni intergenerazionali, I quaderni di Segesta, atti del convegno “La memoria che cura: perché ricordare può essere una terapia”, 2007
Duccio Demetrio, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e fragilità esistenziali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008
Maurizio Padovani ha maturato una lunga esperienza professionale nel campo della cura alla persona e della relazione d’aiuto. È formatore esperto sul tema del lutto, svolge incontri individuali secondo il metodo dell’auto mutuo aiuto ed effettua accompagnamenti individuali attraverso la scrittura epistolare. Dal 2010 è Consulente delle pratiche autobiografiche, diploma conseguito presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR). Riguardo alla poesia, dal 2021 partecipa alle formazioni organizzate da PoesiaPresente – Scuola di Poesia e Mille Gru, inoltre nel 2022 ha pubblicato una raccolta di poesie edite da Albatros, Il Filo. Vive a Ravenna.
Dal luglio 2024 è redattore della rivista Poetry Therapy Italia.