Poetry Therapy Italia

07 011 nucci

 

Posando lo sguardo su molteplici avvenimenti che accadono nella nostra vita, dalla nascita alla morte, l’articolo indaga il lutto come perdita. Lutto individuale e collettivo che abita non solo la dimensione negativa e angosciosa della morte, ma che può abitare anche una dimensione positiva di rinascita e rinnovamento. Ed ecco che il suo rumore può diventare suono che accompagna.

Quando si pensa al lutto solitamente lo si associa, limitandone la rilevanza, alla perdita di una persona cara, sia essa familiare o amica, e di conseguenza alla morte. In realtà il lutto coinvolge tanti e vari avvenimenti che accadono nella nostra esistenza. Esso si accompagna a forti sentimenti e stati mentali derivanti da accadimenti che giungono più o meno improvvisi, generano sofferenza e un forte impatto psicologico, determinando un cambiamento alla vita di una persona. Questi sentimenti e stati mentali possono essere più o meno presenti. Cos’è allora il lutto?

Il lutto è perdita, mancanza, assenza, distacco, dolore e racchiude in sé il tema della finitezza. Si collega, quindi, alla morte ma non coincide solo con essa.
La morte è un pensiero che angoscia, che si evita, che si allontana il più possibile ma, collegata al lutto, permea e accompagna la nostra esistenza, si integra nella nostra quotidianità e, comprendendola sotto questo aspetto, si può affrontare il ciclo della vita in tutte le sue sfaccettature con più consapevolezza e connessione. Può essere il luogo d’incontro del nostro profondo da cui partire per poter ascendere verso un più elevato grado di consapevolezza spirituale. Ma quali possono essere gli avvenimenti che ci conducono a vivere un lutto? Cominciamo dalla nascita. Perché, in realtà, la nascita è un lutto. Con essa si perde il contatto con la madre, l’essere un tutt’uno con lei, nel respiro, nel sentire, nel nutrirsi, nel vivere. E dopo la nascita, man mano che si cresce, la vita diventa costellata da lutti. Il lutto si fa uscita da una dimensione nota, con conseguente perdita di sicurezza.

Anche la madre vive il proprio lutto man mano che il bambino si allontana da lei e diventa sempre più altro da sé. Innanzitutto, si perde il contatto corporeo e poi, man mano che aumenta la differenziazione, si perde tutto il resto. E continuando a percorrere le fasi della vita il lutto lo si vive anche con la perdita della fanciullezza e della giovinezza. Collegate a queste età si vive il lutto per la perdita della verginità, sia in senso figurato, sia in senso fisico. Ciascuno di noi perde qualcosa nella vita, denaro, sicurezza, occasioni, verginità, amori, amicizie, da ciò ne deriva un lutto che ci accompagna per sempre perché, nella misura in cui lo abbiamo più o meno elaborato, si costruiscono le esperienze di separazione. In una società come la nostra il lutto coinvolge spesso l’ambito del lavoro: lutto è infatti un licenziamento o l’essere sottoposti a mobbing, attraverso comportamenti di squalificazione, o isolamento, o demansionamento, o discriminazione, che possono impattare in modo significativo sulla condizione psico-fisica, comprimendo la dignità della persona, valore assoluto indiscutibile e sacro. E cosa dire della perdita dell’autonomia nelle persone in fase di decadimento psico-fisico o nelle malattie terminali o invalidanti?

Il lutto è stato teorizzato e codificato dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler Ross (On Death and Dying,1969) in 5 fasi che rappresentano un percorso ben preciso con cui ognuno si trova a confrontarsi:

  1. Rifiuto/negazione: in questa fase il dolore è talmente intollerabile che viene minimizzato e si ricorre alla negazione dello stesso, rifiutandolo.
  2. Rabbia: (che si accompagna a disperazione, rimpianti alternati a rimorsi per la perdita subita), questa fase potrebbe avere una valenza positiva perché permette di andare a incontrare il dolore se, però, l’approdo nella rabbia non perdura a lungo.
  3. Contrattazione: è la fase che definisce il momento in cui si cerca di tornare a una certa normalità o di ricostruire una nuova normalità, e per far questo si cerca di mediare con il dolore.
  4. Depressione: è la fase in cui l'uscita dal dolore non è né definita né stabile e ci si trova come su un’altalena che porta su e giù.
  5. Accettazione: è la fase che finalmente determina la fine del percorso del lutto che ci permette di posare su di esso uno sguardo diverso.

Il lutto è sì dolore per una perdita che ci porta a dover fare i conti con l’assenza, tuttavia, potrebbe rivelarsi, allo stesso tempo, presenza di qualcosa che, in altra forma e sentimento, ci penetra dentro e, senza che ce ne accorgiamo, ci accompagna nel percorso di vita.
Diventano avvenimenti molto forti e potenti che possono modificare la vita, avvenimenti che si connotano in distruzione, avvenimenti che ti danno un tempo per nascere ed un tempo per morire, demolire e costruire ed ecco poi giungere il tempo del piangere e della compassione. E può essere consolazione. Di conseguenza si perde qualcosa, ma si guadagna qualcos’altro. Nel mito di Orfeo, ad esempio, la discesa agli Inferi per riscattare Euridice, da un lato procura a Orfeo una riaccensione del dolore, dall’altro rappresenta un rito catartico, l’inizio di un percorso di rinnovamento. (Ovidio, Metamorfosi, Libri X e XI, Virgilio, Georgiche, Libro IV)

Il lutto può essere anche collettivo, come accade nel Libro XXIV verso 746 dell’Iliade per la morte di Ettore: “Così dicea e subito dietro di lei piangendo gemevano tutte le altre donne”, quando le donne tutte piangono e partecipano al lutto di Andromaca. Il lutto non più individuale, si propaga a tutta la comunità, la permea e diventa lutto di tutti. Così avveniva nei paesini del Sud Italia: tutta la comunità si raccoglieva intorno alla famiglia del defunto prendendosene cura, non lasciandola sola, sia in senso materiale, accudendola, sia in senso emotivo, condividendone il dolore.

Un lutto collettivo può essere quello a seguito di cataclismi che coinvolgono intere comunità. Perdite umane e perdite materiali si fondono e si confondono nell’urlo distruttivo della terra, cui fa da eco l’urlo di terrore e dolore dei sopravvissuti. La terra sfoga, con furia inaudita, rabbia, dolore, perdita che, in completo denudamento, negli umani lascia ferite immemorabili.
Il lutto che consegue a un terremoto ha tante implicazioni. Non riguarda solo la perdita di persone care, quindi, perdita di affetti ma, anche, perdita di cose materiali che hanno una forte valenza simbolica. Si perde la casa, scrigno di affetti, vite, che è rifugio, nido, pelle, che ci ripara dal mondo e nel contempo ci collega a esso, Si perdono suppellettili e cose che rappresentano una vita o più vite. Si perdono paesaggi, sia di natura, sia umani, sia psicologici. Ai paesaggi si lega la memoria e, quindi, il ricordo e poi il ricordo dei ricordi. Ci si trova scagliati contro la propria impotenza, vulnerabilità e finitezza che aumentano maggiormente il livello del dolore. Fortunatamente, a seguito dei molti cataclismi cui il nostro paese è stato sottoposto, si è affermata la psicologia dell’emergenza con psicologi preparati appositamente ad assistere le vittime di questi eventi.

Nelle culture orientali la morte ha un significato profondo indissolubilmente legato alla vita come parte fondamentale del ciclo vitale, da vivere come “un cancello da attraversare” “è destino di tutti accompagnare qualcuno, è destino di tutti essere accompagnati”, come ben racconta Yojiro Takita, nel film Departures, in lingua originale Okuribito, che significa letteralmente “persona che accompagna alla partenza”.
In Giappone esiste, infatti, la cura del Nokanshi, parte integrante della tradizione giapponese. Il Nokanshi è il maestro giapponese di deposizione delle salme che si prende cura della pulizia del corpo, del trucco sul viso per ridare colore ed espressione al defunto e della sua vestizione con una precisione di gesti, con la cura e la perfezione di ogni dettaglio che non rappresentano solo azioni meccaniche ma hanno una forte valenza simbolica, diventano carezze fatte alla persona cara con tanta amorevolezza prima di salutarla, restituendole un corpo che rappresenta lo scrigno in cui si racchiude il valore della sua vita. Un cerimoniale rispettoso, un atto d’amore, che si svolge alla presenza dei parenti durante la veglia in un discreto e composto silenzio, molto più eloquente di sermoni di parole. Il rito è rivolto non solo al defunto, per mettere in atto un’ultima possibile e delicata riconciliazione con lui, lasciando andare vecchi rancori e dar spazio alla voglia di pace, accomiatandosi nel migliore dei modi, ma anche a chi resta, in quanto rappresenta la necessità di prepararsi alla dipartita, creando una liturgia laica che fa pensare alla morte come a un commiato piuttosto che il passaggio a un mondo altro e sconosciuto, riportando sia la vita, sia la morte in una dimensione di sacralità.

Parlare di morte, di dolore e di lutto nella cultura attuale, che volge lo sguardo altrove ed è carente di rituali, come quelli che hanno caratterizzato le società passate, così importanti per l’elaborazione del lutto, è alquanto difficile. Un lutto non dovrebbe mai essere vissuto in solitudine perché ciò potrebbe comportare pesanti conseguenze su vari piani, da quello psicologico, al sociale, al relazionale all’economico.
Un modo per rielaborare il lutto può essere rappresentato dalla narrazione che permette di trasformare un evento traumatico, ancora non metabolizzato, in un ricordo. La narrazione prende per mano e conduce a fermarsi sull’evento traumatico ma richiede di trasformare il proprio pensiero, il proprio vissuto in un racconto, organizza le idee, i sentimenti, le emozioni. Ciò consente di allontanarsi dai pensieri fissi e ossessivi su ciò che ha determinato il lutto. Attraverso la narrazione si possono incontrare i ricordi e affrontarli. In questo modo, si dà uno spazio fisico e, nello stesso tempo, simbolico al lutto in modo da permettersi di volgere lo sguardo altrove. La narrazione, che può assumere espressione, poetica, verbale, prosastica, prende forma e si sostanzia nel logos e, in tal modo, entra in una dimensione terapeutica.

Raccontare e raccontarsi agevola il processo di ricostruzione esistenziale di chi soffre un lutto e aiuta a trasformare il dolore per una perdita in un nuovo progetto di vita o lo pone in tal modo in una prospettiva nuova. Cercare e trovare le frasi, le parole che definiscono il nostro dolore, ciò che abbiamo perduto e il modo che ci occorre per porlo in una dimensione diversa permette di porre confini all’assenza e separa l’Io dall’esperienza di perdita così da trasformare un vissuto di dolore, nel quale nostro malgrado affoghiamo, in un’esperienza ricostruttiva e rigenerativa. E la parola diventa ben più che una parola.

Esiste un approccio chiamato Narrazione guidata, (Narrazione Guidata, un sistema logico-linguistico, Ferrari - Tosi, 2016) basato su un sistema logico-linguistico che utilizza il potere delle parole per accompagnare chi vive un lutto. Il tutto si basa su un metodo che pone l’attenzione al linguaggio, allo stile narrativo, alle parole che vengono scelte nonché alla formazione delle frasi.

Si può andare, quindi, a incontrare il lutto, abitarlo e rendere il suo rumore silenzioso suono, compagno di vita. 

Prendo di solito il caffè amaro
tra le mie macerie
ogni giorno alle quattro in punto
prima che l’alba faccia il suo mestiere.

È quello il momento in cui il lutto
bussa alla porta, lo faccio entrare.
Gli parlo come se fossimo “neamici”
si accomoda senza muovere la sedia
mi guarda, accenna un sorriso
sa bene cosa gli dirò
“Hai qualcosa che mi appartiene”
è la mia solita cantilena.
Le parole escono cupe
slacciate di senso, rabbiose
mentre tremo e stringo la tazza
che perde gocce su quel tavolino
innevato di muffa dal 1980.
Lui respira un poco di utopia
dalla mia bocca e guarda le lacrime
ferme nell’incavo delle ciglia
poi muove le spalle come a dire
“Non ci posso fare niente”
e ritorna spina a ficcarsi nel petto.
Entra nel punto esatto della crepa
che si aprì alla prima scossa
quando nessuno si accorse
del terremoto.

Non ci fu un sismografo a rilevarlo
solo l’anima lo vide arrivare
per distruggerla dalle fondamenta.

Emanuela Sica, La Crepa, inedito del 2025.

 

Bibliografia

Calvino Italo, Senza colori. Il cielo di pietra. L’altra Euridice da Tutte le Cosmicomiche, Segrate, Mondadori,1997

Cannas Andrea, Lo sguardo di Orfeo: Studio sulle varianti del mito, Roma, Bulzoni, 2004, pag.18, 23, 48, 68

Ferrari Nicola, Tosi Franco, Narrazione guidata: un sistema logico - linguistico. Teoria e pratica di un modello d'intervento nelle relazioni di lutto, Diritto d’Autore Libri Editore, 2016.

Kubler Ross Elisabeth, La morte e il morire, Assisi, Cittadella, 1969, ed.originale, On Death and Dying, New York, Macmillan, 1969

Ovidio, METAMORFOSI, Libro X, vv. 1-77, Libro XI, vv. 1-66

Parrella Valeria, Assenza, Euridice e Orfeo, Milano, Bompiani, 2015, pag. 9 e 55-56

Pavese Cesare, L’inconsolabile da Dialoghi con Leucò, Torino, EINAUDI,1999, pag 76

Rilke Rainer Maria, Orfeo, Euridice, Hermes, cura e traduzione di Mario Ajazzi Mancini, Firenze, Press&Archeos, 2023, nuova edizione riveduta ed ampliata

Sica Emanuela, 19:34 pagg. 252-254 in Irpinia 1980- 2020: Memorie di un terremoto durato 40 anni, a cura di Gianni Festa, Giuseppe Iuliano, Paolo Saggese, Grottaminarda, Delta 3 Edizioni, 2020  

Sica Emanuela, Era il tuo paese e il mio, incipit in Luigi Anzalone, Nostalgia di futuro: nella notte del mondo, San Cesario di Lecce, Pensa editore, 2020

Virgilio, GEORGICHE, Libro IV, vv.453-527

Virgilio, ILIADE Libro XXIV,Di Simone M., Amore e morte in uno sguardo, Il mito di Orfeo ed Euridice tra passato e presente, Firenze, Libri Liberi, 2003,p. 63

Filmografia
Takita Yojiro, Departures, 2008.

 

 


Daniela Di Grillo vive a Monza, dove ha lavorato come funzionario in ambito pubblico, svolgendo una professione rivolta all’ascolto e all’aiuto. Da un lato il suo sguardo è rivolto al sociale e, dall'altro, all’arte, alla scrittura e alla bellezza. Nel 2006 ha pubblicato il suo primo libro di poesie Lo sguardo del poeta. Il suo desiderio di conoscenza e scoperta l’ha portata a sperimentarsi in ambito teatrale, frequentando la scuola triennale dei Teatri Possibili di Monza, arricchendo il proprio percorso anche con corsi di dizione, lettura interpretativa e laboratori di approfondimento con Sabina Villa, Alessia Vicardi, Dome Bulfaro. Ha frequentato il corso triennale di scrittura creativa con Walter Pozzi, e un corso di pittura presso la Scuola Conte di Monza. È collezionista d’arte.

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