Poetry Therapy Italia

011 pierro

Una pioniera della poetry therapy nel setting psicoterapeutico.
Si compie qui un prezioso ripescaggio di un’esperienza pionieristica di poesia IN terapia psicoterapeutica, collocato nella sua ambientazione storica; infatti gli embrioni dell’invenzione delle trasduzioni poetiche di Pasqua Teora erano già vivi dall’anno 2000, quando in Italia c’era l’assenza quasi totale della “poesia come terapia”. La poetessa e ricercatrice in poetry therapy Marisa Brecciaroli (che già scrisse nel 2008 la prefazione all’opera della Teora: La finestra sul confine. Trasduzioni poetiche di una psicoterapeuta), focalizza l’attenzione sul quadro storico delle psicoanalisi della letteratura e delle altre arti-terapie, coeve a questo libro, per evidenziare, per contrasto, l’originalità e unicità della creazione delle “trasduzioni poetiche”.
Al lettore viene offerto un raro assaggio dell’opera La finestra sul confine, attraverso la narrazione e l’esposizione che l’autrice Pasqua Teora vi fa di alcuni suoi passaggi interiori e sottili intuizioni, che l’hanno condotta alla creazione delle “sue” trasduzioni poetiche. (M.B.)

Quando ancora, nel 2000, in Italia, l’espressione “poetry therapy” era generalmente quasi del tutto sconosciuta, la psicoterapeuta Pasqua Teora stava invece già ponendo i semi di una ricerca e sperimentazione originale con un uso, “speciale”, della poesia, non solo in ambito genericamente psicologico, ma addirittura all’interno del setting clinico.
Infatti la Teora, toccata da una vibrazione di tipo “ispirativo”, era riuscita a creare uno strumento inedito, sia terapeutico, sia poetico: quello che lei definisce “trasduzione poetica”. Si tratta dell’uso, in alcuni momenti del setting clinico, di testi poetici scritti da lei su misura, in risonanza [1] empatica con l’inconscio-preconscio del paziente.

In breve, lei ha creato una sofisticata poetry therapy, in ambito di lavoro psicodinamico, sorta da una propria formazione culturale di matrice italiana-europea: psicoanalisi varie, antropologia-sociologia (G. Bateson), psicologie umanistico-transpersonali-esistenziali; insomma ha formulato una “Poesia IN terapia” in modo autonomo e sicuramente originale rispetto alle esperienze di Poetry Therapy che allora esistevano già da decenni negli Stati Uniti. Quindi, dal punto di vista di una ricostruzione storica delle ricerche, sperimentazioni ed esperienze pionieristiche di poetry therapy italiane (vista l’assenza totale di una Scuola di Poetry Therapy in Italia che ne riconoscesse almeno l’esistenza), l’invenzione della Teora in questo campo è sicuramente da tenere in forte considerazione, specie se la si confronta con il “nulla” da parte degli ambienti culturali che, in teoria, avrebbero dovuto occuparsi di quella specie di “terra di mezzo” che sta fra le teorie e pratiche psicologico-psicoanalitiche, da un lato, e le teorie ed esperienze arti-terapeutiche, anche di tipo letterario, dall’altro.
Infatti, mentre dagli anni Ottanta, e soprattutto Novanta, le altre artiterapie[2] si facevano coraggiosamente strada (benché faticosamente sul piano istituzionale), la biblioterapia (nelle sue varie diramazioni interne)[3] sembrava non esistere affatto.
Eppure, a partire dagli anni Sessanta, c’era stata una grande ricchezza di studi in cui si era fatta una indagine perfino puntigliosa sulla “psicologia della letteratura” o sulla psicoanalisi di testi letterari, o dell’autore attraverso la sua poesia: l’opera di Charles Mauron[4]; la scoperta di J.Lacan e di I. Fónagy[5] (per i quali il Significante sta al Significato come l’inconscio sta al conscio – con evidente ricaduta sul modo di “leggere” il testo poetico, in cui il Significante è costitutivo della poesia stessa); l’opera di J. Kristeva[6]; l’area degli studi anche accademici italiani del secondo Novecento italiano (F. Orlando, M. Lavagetto, S. Ferrari, A. Di Benedetto)[7]; l’opera preziosa di A. Argenton e L. Messina in cui si censisce, quasi, tutta la cultura europea sulla “indagine sperimentale in psicologia della letteratura”[8]… Eppure, nonostante tutta la ricchezza di tali studi, non si era posta l’importante questione se e come inserire il testo poetico come “strumento in sé e per sé” nella comunicazione con il paziente in regime di setting clinico, né come mezzo di sostegno psicologico in situazioni di passaggi difficili della vita, o come prevenzione di squilibri nei momenti della crescita.
A maggior ragione non si registravano ricerche e sperimentazioni sulla Poesia come terapia’ in sé e per sé, indipendentemente dal suo inserimento nell’ambito di un setting psicoterapeutico: oggi diremmo la “Poesia-terapia” vera e propria, come una delle varie arti-terapie che invece già si stavano diffondendo, specie dopo la legge 180 di Basaglia nel 1978.
Al massimo, nel Belpaese, negli anni Novanta cominciava ad affacciarsi, ma solo in pochi ambienti accademici, l’attenzione a Percorsi di ricerca psicologica sulla scrittura poetica[9]; questo libro ha il merito di aver iniziato un discorso proteso a far uscire la poesia da un suo precedente uso strettamente didattico ed estetico: infatti vi sono registrate alcune sperimentazioni d’uso della poesia in gruppi di anziani.
In modo più appartato c’è stata anche una mia personale ricerca e sperimentazione di utilizzo della poesia e della musica in ambito psicologico e formativo con piccoli gruppi – specialmente di docenti (dal 1995 al 2010) – e con incontri individuali (dal 2010 circa ad oggi).[10]
Perfino nella lunga serie di numeri della Rivista ARTITERAPIE, sorta nei primi anni Novanta, si parlava di tutte le varie arti-terapie, ma si ignorava la “Poesia come terapia”, a eccezione di un numero (anno IV, novembre 1998) in cui comparve un articolo di quella che sarà, ancora per vario tempo, l’antesignana di questa arte-terapia in Italia: si tratta della poetessa Antonella Zagaroli, che essendosi addirittura formata a Washington nella famosa scuola di Poetry Therapy (NAPT, National Association for Poetry Therapy), ha poi continuato la sua ricerca e sperimentazione in Italia, a Roma, come unica (a mia conoscenza) diplomata poetry therapist.
Il motivo dello strano ritardo della cultura arte-terapeutica della Poesia come terapia, o della Poesia nell’ambito di una terapia psicoterapeutica in Italia, potrebbe essere oggetto di studio dei futuri studenti di questa nascente Scuola di Poetry Therapy, fondata dal gruppo di ricerca e sperimentazione creatosi attorno alle edizioni Mille Gru e al poeta e performer Dome Bulfaro. Il ritardo, specialmente rispetto agli Stati Uniti, sembra tanto più incomprensibile se confrontato, sia con la ricchezza dei grandi poeti del Novecento italiano, sia con la molteplicità degli studi psicologico-psicoanalitici sul fenomeno “poesia”, sia in Italia, sia in Europa, prima da me indicati.
Alla fine, come si pone e come si spiega la solitaria sperimentazione di Pasqua Teora nel quadro culturale di cui abbiamo notato il deserto di altri contributi? Qui mi viene incontro una risposta apparentemente sorprendente: lei si è posta fuori dalla statica gabbia di questioni teoriche (pur con una sua più che canonica e riconosciuta professionalità)[11] e, forse proprio perché dotata di una fertile verginità nei loro confronti, ma fedele a una sua naturale creatività intuitiva, ha potuto compiere una specie di salto quantico, per arrivare, dopo una gestazione di qualche anno, a creare le “sue” trasduzioni poetiche, integrate profondamente con il setting clinico.
Questione: la sua poetry therapy è principalmente uno stile di lavoro ispirato, piuttosto che un “metodo” insegnabile? Forse sì, ma solo il futuro ci potrà dire se il suo esempio potrà attrarre altri terapeuti, dotati di questa duplice abilità: psicoterapeutica e poetica insieme, intrecciate profondamente da un lavoro d’anima, cioè da quella che è ritenuta la fonte della vera poesia.

La Finestra sul confine

di Pasqua Teora

Bergamo, 9 aprile 2020. La Finestra sul confine fu completato nel 2008 dopo quattro o cinque anni di faticosa gestazione. Infatti, a partire dal 2000 cominciai ad accogliere un materiale poetico che dentro di me dialogava con un’altra dimensione-voce sempre in me, non udibile fuori, tanto meno percepibile dal paziente con me nella stanza di psicoterapia. Questo avveniva nel setting clinico quando il materiale emozionale del paziente si innestava a incrocio con quello emotivo che si attivava in me in forma poetica: fantasma benevolo che dialogante si interconnetteva con il materiale profondo del paziente. La voce-visione in me, co-creava poeticamente con ciò che il paziente o la coppia o la famiglia andavano rappresentando lì, davanti a me, nel setting clinico. Loro portavano la loro personale vicenda, lo stallo, la storia di provenienza, non ultimi, gli sforzi sino a quel punto rimasti vani.

Di Poetry Therapy non sapevo nulla, tant’è che l’ispirazione per rispondere alla mia domanda implicita quanto muta, accadde in sogno: la cercavo, ma non sapevo pronunciarla. Cercavo un termine che dicesse ciò che intuivo ma non sapevo. Che riguardasse sì, il processo di com-prensione, trasformazione che si generava nel setting, quando e se, le varie forze in campo prendevano una certa forma poetica. Si, ma di cosa si trattava? Cos’era questo processo, come nominare questo fenomeno?

Finalmente una mattina, svegliandomi dal sonno, la parola che mi trovai in bocca fu: TRASDUZIONE. Andai a cercare sul dizionario e capii che non proveniva specificamente dal lessico letterario, ciononostante ai miei sensi si caricò di una energia tale che mi convinse: quella era la parola che identificava il processo, non solo poetico, che era venuto a cercarmi. Processo che mi avrebbe accompagnata a connettere con i fenomeni del setting, anche immagini del vivere quotidiano, metafore per interconnettermi con blocchi psico-emotivi e traumi dei pazienti, a volte nell’esperienza di una loro transitoria sconfitta e conseguente smarrimento:

Perché accarezzi il mio cane?
Lo guardi dritto negli occhi
mi chiedi della sua vita
senza pudore alcuno
delle sue passioni
e non vedi me, cieco, che
più di lui sono bisognoso
mendicante di sguardi
e scintille d’amore.
Non c’è il mio cuore
celato sotto il suo pelo
è solo – nel mio petto –
ancora rimbombante
– lo sconquasso –
i rumori fastidiosi, grevi
di una architettura
a un tratto sregolata
sprofondata quasi nel nulla.

È così che il paziente, con la “mediazione” di questo linguaggio indiretto, ma innestato con la sua esperienza quasi indicibile, si poteva sentire letto, compreso, soprattutto, detto… trasdotto in linguaggio intimamente fedele al suo sentire.

E fu così che, con questa nuova creatura, forte delle testimonianze dirette e indirette di psicoanalisti che mi avevano preceduta, oltre i padri fondatori – Jung e Freud e gli illustri successori come Hillman, Meltzer, Umberto Galimberti ecc. – potei, attraverso loro e altri, trovare suggestioni, soprattutto, autorizzazioni a procedere su una strada prima sconosciuta quanto avvincente.

Io, nella mia esperienza posso accogliere questa complessità, se la narrazione in scena, in qualche modo attiva anche in me un certo processo creativo e quindi trasduttivo: corpo che sente, anima che vibra e mente rarefatta che accoglie. Se questi sensori respirano all’unisono, maggiori probabilità di successo avrà anche l’avvalermi di modelli, teorie, nominazioni psicodiagnostiche per comprendere nella specifica complessità l’altro da me. L’altro, che in un contesto di cura, ma non solo – più avanti ne accennerò – posso aiutare a co-creare altre vie d’uscita, ristrutturazioni di senso, di cornice, magari attraverso l’interpretazione, la ristrutturazione di significato, di contesto ecc. Ed è così che a volte, dal crogiolo ogni volta irripetibile, può crearsi poesia o appunto una trasduzione terapeutica.

Madre, non insistere, non ostinarti oltre
non camminare davanti a me
potrei distrarmi e perdermi.
Madre, non camminare dietro di me
potrei voler cambiare strada
e rinunciare per non perderti. Camminami al fianco ancora per un po’
ma stammi alla giusta distanza.
Saremo insieme, e non saremo insieme
in viaggio ci racconteremo
sogni, dentro differenti cammini.

Per esempio, questo testo è risuonato nella storia di una donna che non si capacitava del fatto che la figlia si stesse emancipando e dunque sottraendosi al suo controllo. Problematica piuttosto diffusa. Quando gliela lessi lei ebbe un’intensa abreazione che le permise di accedere alla sua contraddizione profonda. Lei aveva perso la madre in adolescenza. Divenne per lei evidente il doppio legame con la propria figlia.

A un certo punto, mi accorsi che in effetti tutti questi materiali avevano cominciato ad aiutare anche altri. Accadde per esempio che mie colleghe me ne domandassero da utilizzare con loro pazienti in presenza di blocchi simili: come fossero stati enzimi, innesti, antichissimi rimedi per alimentare processi di evoluzione profonda: scatti!

A un tratto però mi parve che alle mie trasduzioni questo ancora non bastasse: esse volevano diventare rinarrazioni capaci di generare processi di trasformazione e cambiamento a più livelli: cosa dovevo fare? Mi domandai e cominciai a intendere che a cascata quel dono avrebbe potuto accompagnarmi per aiutare, nella trasformazione evolutiva, oltre me stessa, altri e in più contesti. Dunque mi impegnai con le mie poche risorse organizzative a pubblicare racconti, testi poetici e scrivere articoli cercando una mia lingua di congiunzione (anche oltre i testi poetici) per dare respiro comunicativo a quel prezioso materiale che, per vie non del tutto spiegabili, si muoveva in me e mi accompagnava.

Lo scempio che creiamo
oltre le nostre scarpe
fuori dai nostri panni
torna e tornerà
attraverso i cieli che
non sono tutti ai nostri piedi.

Questo testo ha a che fare con l’interconnessione che sono andata cogliendo tra l’ambito clinico e quello ecosistemico ambientale, è che: sciogliere enigmi delle genealogie di provenienza, incistati nei territori interiori – è lì che si trovano cause e concause dei propri traumi e contraddizioni copionali – favoriva potenzialmente la liberazione, anche di altri processi, inizialmente invisibili, ma assolutamente reali: intendo di bonifica del mondo più grande. Un benefico reciproco contagio, un’esposizione al bacio della parola poetica proveniente da un simbolico e al contempo reale territorio collettivo che spinge per liberare qualcosa di importante e prezioso che giace nel sottosuolo di molti. Processo di ri-connessione capace di avvicinare la mente cognitiva al territorio delle emozioni e dell’intelligenza corporea, intuitiva, oltre che alimentare beneficamente quel campo relazionale che tutti ci unisce.

E se ogni altro che incontriamo
non fosse
che una parte di noi
ritrovata?

Scrivevo nella prefazione della pubblicazione Questo tempo. Frammenti di una ricerca poetica – 2000-2011, Ed. Viandante: È crescente e sempre più diffuso un nuovo sentire, un humus in cui i singoli destini si intrecciano e innestandosi, originano cambiamenti, infondono energia, movimento, consapevolezza nella mente, nel corpo, nel sentire di un numero crescente di donne e di uomini”.

Costruiremo zattere
per lambire il mare
e rasenti le nuvole
conosceremo altri mondi.
Sementi gettiamo alla vita
è il vento nuovo che grida
di qui sta passando.

Continuo ad immaginare le nostre cellule capaci di contenere e trasportare anche anima, mentre dialogano tra di loro e a maggior ragione con le cellule di altri corpi, di altri sistemi, riuscendo ad influenzarsi tra loro beneficamente. La poesia, oggi direi anche la Poetry Terapy, insieme a tutto il resto che è moltissimo, contribuisce ad amplificare tale processo di trasformazione sinergica e collettiva.

Coraggio, mettici la faccia
non farti intimidire
dalle voci dei nemici
coraggio mettici la fede
per sventare i perbene
che non vogliono pace
né vogliono vero bene.

Così, dopo qualche anno di vorticoso lavoro di scrittura e sporadiche pubblicazioni autoprodotte, conobbi la professoressa, poeta e musico-terapeuta Marisa Brecciaroli. Da questo incontro che si rivelò fondamentale nella mia successiva ricerca, nacque anche la sua collaborazione (con una approfondita introduzione critica) alla pubblicazione del mio testo di base sulle mie “trasduzioni poetiche”. Avevamo in comune l’amore per la poesia, la fiducia nella cura attraverso l’arte, la bellezza e l’elevazione dello spirito per sostenere la comprensione più profonda e spirituale delle realtà possibili. Ma anche dopo la scoperta della Poetry Terapy, decisi di mantenere fedeltà alla parola quella notte suggerita dal sogno: trasduzioni poetiche.

Per chi fosse interessato a ricevere il volume può contattare l’autore alla seguente email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

[1] Qui vorrei segnalare una interessante somiglianza fra, da un lato, il principio fondamentale nella Musicoterapia di Roland Benenzon (uno dei padri della Musicoterapia: La Nuova Musicoterapica, Ed. PHOENIX, 1997, pp. 65-69: il principio del cosiddetto ’ISO’), e, dall’altro lato, le ’sintonizzazioni’ che le trasduzioni poetiche della Teora richiedono, ogni volta che lei crea un testo poetico su misura del preconscio o inconscio del paziente. Anche qui, come nell’attenzione dovuta al principio dell’ISO in Musicoterapica attiva, con le trasduzioni poetiche si crea quel contatto nel sentirsi ’riconosciuti’ e, a volte, rivelati a se stessi; Anche lo psichiatra Jack Leedy (NAPT statunitense) ha parlato della necessità dell’Isoprincipio.

[2] Musicoterapia, Arte-terapia, Danza-terapia, Globalità dei linguaggi, Teatro-terapia…

[3] C’è chi, nella biblioterapia, comprende: Poesia-terapia, scrittura creativa: autobiografica, diaristica, narrativa, fiabesca… E c’è invece chi vede la “poesia-terapia” come un campo autonomo e specifico, rispetto alla restante Biblioterapia. Ancora non c’è concordanza sull’uso di questi vari termini, vista, forse, l’assenza di una Scuola Italiana .

[4] Charles Mauron, Des Métaphores obsedantes au Mythe Personnel. Introduction à la Psychocritique, José Corti 1963

[5] Ivan Fónagy, La vive voix.Payot, 1983

[6] J. Kristeva, La révolution du language poétique. Ed. Du Seuil, Parigi 1974.

[7] F. Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura. Einaudi, Torino 1973; M.Lavagetto, La gallina di Saba, Einaudi, Torino 1974.
G.Baldissone, Il male di scrivere. L’inconscio e Montale. Einaudi, Torino 1979 ; M.Lavagetto, Freud la letteratura e altro, Einaudi, 1985 ; S.Ferrari, Scrittura come riparazione, Laterza, Bari 1994; A. Di Benedetto, Prima della parola, Franco Angeli, Milano 2000.

[8] A. Argenton e L.Messina, L’Enigma del testo poetico. Bollati Boringhieri, 2000

[9] C. Capello, B. De Stefani, F .Zucca, “Tempi di vita e spazi di poesia”, Franco Angeli, 1997

[10] Marisa Brecciaroli (vedi biobibliografia). Durante questa sperimentazione mi sono avvalsa della mia formazione nella Scuola di Musicoterapia a indirizzo psicodinamico di Lecco, della mia laurea in Lettere, della mia esperienza e formazione psicoanalitica, e di una breve ma significativa collaborazione con la poetry therapist Antonella Zagaroli.

[11] Vedi suo ricco curriculum professionale

 

 


 

azzurra d agostinoMarisa Brecciaroli, ha pubblicato diversi libri di poesia, poesia visiva e sonora.
Tra gli anni '80 e '90 ha seguito percorsi di formazione, ricerca e sperimentazione in poetry therapy e musicoterapia: psicoanalisi a indirizzo psicodinamico, formazione quadriennale in musicoterapia a indirizzo psicodinamico, corsi e seminari in Psicofonia presso Elisa Benassi (Mantova), collaborazione con la poetry therapist Antonella Zagaroli.
Recentemente ha seguito una formazione di Terapia strategica breve e di Terapia EMDR.
Conduce laboratori di poesia e musica anche in ambito psicologico.

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azzurra d agostinoPasqua Teora, è Psicologa e Psicoterapeuta Individuale e di Gruppo, Familiare e di Coppia Consulente di Aziende Familiari – Supervisora per Gruppo di Supervisione Clinica.
Come scrittrice e poetessa ha pubblicato numerose plaquette, raccolte di racconti e poesia, articoli per riviste e contributi vari.  


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