Poetry Therapy Italia

011 pierro

 

Una riflessione sulla scrittura poetica e, nello specifico, sull’uso della metafora, per avvicinarsi diversamente al corpo che scrive; allenare le emozioni attraverso i linguaggi poetici come pratica di cura della relazione.

Nella pratica di scrittura alimentata dai linguaggi poetici non possiamo trascurare la dimensione emotiva.

 

L’emozione della scrittura è dunque quella che deriva dalla possibilità, della scrittura stessa, di rendersi, lievemente, senza alcuna pedanteria precettistica, esercizio teorico e azione etica, dando spessore e significato alle parole, rendendole pesanti, vincolanti nei confronti di ciò che dicono.[1]

L’aspetto particolarmente curioso della scrittura poetica è che nella sua vertiginosa altezza come nella sua insondabile profondità, coglie la possibilità di misurare sia il corpo fisico che sottile. Siamo, per così dire, corpi poetici in possibilità. Le nostre emozioni vengono riconosciute (nel senso di conosciute nuovamente), vengono accolte, perché sono parte costitutiva della nostra poetica, oltre che del nostro corpo, un corpo vivo che sente il mondo, che lo avverte sensibilmente e oltre.

L’emozione provocata da un poema merita questo nome, poiché essa è una esperienza affettiva, che si può collocare in una delle grandi categorie della vita emozionale: gioia, tristezza, paura, speranza ecc. Ma tra queste emozioni reali, quali noi le riscontriamo nella vita quotidiana, e le emozioni poetiche, sussiste, nella stessa convalida, una differenza importante che è di ordine fenomenologico. Mentre l’emozione reale è vissuta dall’io come uno dei suoi stati interiori, l’emozione poetica è rapportata all’oggetto. La tristezza reale è avvertita dal soggetto sul modello dell’“io sono”, come una modifica di se stesso di cui il mondo resta la causa esteriore. La tristezza poetica, al contrario, è sperimentata come una qualità del mondo. […] Essa è dunque una modalità della coscienza delle cose, una maniera originale e specifica di sperimentare il mondo.[2]

Il rapporto che si crea tra noi e gli altri, tra noi e la realtà, ha qualcosa di magico osservato attraverso queste lenti: maturare le capacità di scrittura poetica porta avanti una pratica di sperimentazione dell’alterità, la potenzialità di fare esperienza della realtà e di noi, inseriti all’interno di essa; l’allenamento descritto porta alla cura nella relazione, all’attenzione delle cose ma in un doppio movimento; questa cura, questa attenzione, avvengono tramite la stimolazione del nostro corpo e, insieme, delle nostre emozioni: se scrivo sotto forma poetica riguardo, per esempio, un avvenimento è perché quell’avvenimento mi ha toccato, ho provato emozione nel conoscerlo, io quell’avvenimento l’ho sentito.

Ecco la magia della poesia, è la realtà che passando attraverso di noi, nella nostra molteplicità/unicità, ritorna fuori trasformata, consegnata al reale mutata. È quello che si attua con l’uso della metafora. La metafora è riconosciuta, non a caso, come la caratteristica fondamentale del linguaggio poetico. Perché? In fin dei conti,

perché […] le cose solo suggerite sono molto più incisive di quelle spiegate. Forse la mente umana ha la tendenza a respingere le asserzioni […] le argomentazioni non convincono. Non convincono perché sono presentate in quanto tali. Le consideriamo, le soppesiamo, le rivoltiamo e le respingiamo. Ma, quando una cosa viene semplicemente detta o, meglio ancora, accennata, in qualche modo la nostra immaginazione la accoglie. Siamo pronti ad accettarla.[3]

A mio avviso essa richiama ed è portavoce dell’energia fino a ora accennata, essa compie – in forma concreta, ben inteso – la trasformazione delle cose attraverso le nostre emozioni, le nostre sensazioni, in modo da ricollocarle nel mondo in veste nuova. “Quello che i ‘giochi di parole’ fanno succedere al linguaggio, stabilendo misteriose parentele fra parole di significato lontanissimo, le metafore lo fanno succedere alle cose della realtà”[4], è un capire attraverso i sentimenti, è un rapporto speciale. Si deve possedere però l’audacia di approdare

nel cuore di Mimesis e nell’arte poetica in quanto quest’ultima risveglia le emozioni addormentate dentro di noi e nell’Anima Mundi e il poeta fa ciò in una maniera del tutto particolare, a mio avviso unica nella fenomenologia dell’arte: collegando, con la parola metafora, la voce con l’immagine, attraverso un processo non logico che riprende le tinture del colore, inteso quest’ultimo come espressione delle diverse tonalità di cui è dipinta l’Anima umana.[5]

Avremo modo di riprodurre contatto con il nostro corpo e con tutto ciò che esso sviluppa e contiene, del resto

di fronte ad una poesia, la parola è metafora sonora che crea sinapsi, con l’immagine eccitata da suoni piuttosto che da scene visive guardate e presenti agli occhi, da personaggi, racconti allegorici, nature morte o abbracci di klimtiana memoria. Niente di tutto questo! L’ascoltatore, lasciato da solo di fronte ad un testo dove poche parole hanno macchiato col nero la purezza e la verginità del bianco, deve immaginare e lasciarsi penetrare dalle metafore che autonomamente (quasi come un complesso autonomo) si incuneano negli spazi grammaticali o in una punteggiatura simbolica. Il foglio scritto non è solo più foglio; la parola lasciata come una foglia d’autunno si allontana dalla sua materia ed è simbolo di altro che ha bisogno dell’immaginazione per dare forma ed espressione a ciò che l’anima umana partorisce nell’incontro […]. Qui di fronte al foglio o al suono di una poesia, l’udito, antico organo filogenetico, viene risvegliato dal ricordo della memoria e l’invisibile, sorretto dal rumore dell’impalpabile, trova una propria forma e concretezza nell’immagine che scaturisce dall’emozione, che trasferisce, passa, trasgredisce e crea [...][6]

Anche semplicemente la parola “metafora” mi fa venire in mente qualcosa che è assolutamente nostro, personale come è appunto una meta, un obiettivo, un punto di arrivo, insieme alla forte sensazione che esso debba essere portato fuori, all’esterno, debba essere superato, in fin dei conti, donato nuovamente. Il linguaggio metaforico, inteso adesso come il linguaggio poetico, fonde insieme le diverse scale di significato e riduce lo scarto tra di esse, così per dare valore alle sensazioni e per prendersi cura – grazie a una specifica pratica, a un fare concreto – delle emozioni. “La metafora è quel procedimento mediante il quale il locutore riduce lo scarto cambiando il senso di una delle parole.[7]” La parola poetica, la metafora, possiamo dire è una parola impertinente, rompe con il normale uso della lingua, allontana, avvicina, sfugge, nasconde, mostra, stanca, non spiega, semplicemente è. La libertà spaventa, dover mutare obiettivo costantemente, dover distruggere per creare, cambiare può far paura; ma anche sentire le nostre emozioni.

Si tratta allora di valorizzare e incrementare la consapevolezza poetica di ciascuno emancipandola dalla dimensione della “spontaneità”, che di fatto significa adesione ingenua a uno stereotipo pseudo-romantico, ma elevandola alla dignità culturale e creativa che le compete, partendo dalla consapevolezza di cosa significhino i termini con i quali nominiamo emozioni, sentimenti e passioni per giungere sempre più compiutamente alla possibilità di accogliere, scegliere e produrre comportamenti e manifestazioni di sé poeticamente significative e condivisibili.[8]

La poesia aiuta in questo processo ma lo si deve volere davvero, si deve volare davvero. Fare dell’agire poetico una pratica attiva nella propria esistenza risulterà efficace non per sognare e avere un’altra vita ma per scoprirla, per inventarla, sempre.

[1]    Contini M., Elogio dello scarto e della resistenza. Pensieri ed emozioni di filosofia dell’educazione. Bologna, CLUEB, 2009 (p. 122).

[2]    Cohen J., Struttura del linguaggio poetico. Bologna, Società editrice il Mulino, 1974 (p. 208).

[3]    Borges J. L., L’invenzione della poesia. Le lezioni americane, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2001 (pp. 33-34).

[4]    Bisutti D., La poesia salva la vita, capire noi stessi e il mondo attraverso le parole. Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2009 (p. 97).

[5]    Testa F., “La poesia e l’arte della mimesis” in Valastro O. M. (a cura di) «Atelier dell’immaginario autobiografico», Catania, Associazione Le Stelle in Tasca, con la partecipazione del Centro Servizi Volontariato Etneo, 2006.

[6]     Testa F., “La poesia e l’arte della mimesis” in Valastro O. M. (a cura di) «Atelier dell’immaginario autobiografico», Catania, Associazione Le Stelle in Tasca, con la partecipazione del Centro Servizi Volontariato Etneo, 2006.

[7]    Ricoeur P., La metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione. Milano, Editoriale Jaka Book SpA, 1976 (p. 202).

[8]    Dallari M., La dimensione estetica della paideia. Fenomenologia, arte, narratività. Trento, Edizioni Erickson, 2005 (p. 140)

 

 

 


 

azzurra d agostinoAlfonso Pierro, pedagogista, poeta, performer. Ha pubblicato Svendendo Altrove il Bacio Bugiardo. Poesie (2008) e John Fante: uno scrittore maledettamente ironico (2012), oltre che partecipare in raccolte e riviste nazionali e di editoria indipendente. 
Collabora in progetti educativi territoriali e di lotta contro la povertà educativa nel Comune della Spezia. Per ANPEC Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici è responsabile d’area in Liguria per La Spezia e provincia. Svolge attività private di consulenza pedagogica e percorsi pedagogico clinici; propone laboratori pedagogici come studioso e ricercatore dell’arte poetica come forma di cura verso il mondo.
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