Sappiamo davvero di cosa parliamo quando parliamo di salute?
E quando parliamo di salvezza? Sono la stessa cosa?
In un tempo così confuso come quello che stiamo attraversando dobbiamo tornare al valore della nostra esperienza, proprio come possiamo leggere in un carteggio tra il musicista Schoenberg e il pittore Kandinsky: “Se ciò che vedi disturba ciò che senti, è sbagliato”.
Viviamo in un momento storico molto confuso, la veloce, violenta vita che accettiamo di vivere quotidianamente non ci permette di fermarci e, con coraggio e umiltà, interrogarci sul senso globale dell’avventura dell’uomo sulla terra.
Credo sia ormai evidente per noi tutti un’alternativa ineluttabile, o l’umanità entra in una nuova fase che Raimon Panikkar definisce come “post istorica”: “che rappresenta una mutazione dello stesso genere umano, o una minoranza della specie ominide farà esplodere il pianeta provocando un aborto cosmico che viola le viscere della terra e lo schiudersi della vita”.
Potremmo dire che l’era della specializzazione dovrà trasformarsi in era della concentrazione.
Mentre la prima conduce a una estrapolazione di quel che esamina, trasformando una parte nel tutto (scientismo, pragmatismo, storicismo ecc.), la seconda non divide in segmenti la totalità, ma vi partecipa, cercando punti di congiunzione di quegli aspetti della realtà che investighiamo.
Se non ci poniamo in una critica radicale del sistema in cui siamo immersi, la nostra fine sarà inevitabile. Ma per ora stiamo ancora tentando panacee: un cinismo che si trasforma in menefreghismo ed egoismo, diventando complici di qualunque cosa pur di venirne fuori, o una cieca disperazione che porta a una violenza morale, intellettuale e fisica.
Insistiamo nel perseguire il mito del progresso e dell’infinito sviluppo – bugiardo definirlo “sviluppo sostenibile” – più tecnologia, più soldi, più armamenti, più informazioni, più scoperte, più partiti…
Ma questo non è un progetto umano e potremmo dire – attraverso un simbolo della nostra cultura cristiana – che è proprio per questo che non arriva il regno di Dio, la cui condizione primaria è il pentimento. Pentirsi di questo folle disegno, di questa freccia solo rivolta al futuro, di questa fuga dal presente che ci sta allontanando dalla nostra vera natura: tempiterna.
Raimon Panikkar, coniatore di nuove parole che creano nuova realtà, ci invita ad innescare “un regresso creatore, che ci consenta di compiere un nuovo salto nella vita dell’intero universo”.
Vorrei qui illuminare l’interessante tesi del filosofo e teologo indo-catalano, che scrive: “La morte è il problema che medicina e religione hanno in comune”. (Sorella morte, messa al bando dalla nostra società malata). “Il che significa che non solo dobbiamo raccogliere i rifiuti del festino del ‘primo mondo’, ma dobbiamo anche ascoltare l’esperienza e le conoscenze acquisite nel corso di questi millenni per incanalare non solo il destino della storia ma l’avventura stessa della realtà”.
Questa indicazione porta a riannodare i fili di quel che noi intendiamo con salvezza, parola che va certamente oltre ad una salute personale. La pienezza umana può essere raggiunta anche in un ospedale o addirittura in un campo di concentramento; un essere umano può arrivare alla salvezza, malgrado il cattivo funzionamento psicosomatico del suo organismo.
“La separazione tra medicina e religione è stata degradante per la prima e alienante per la seconda”, perché, scrive ancora Panikkar: “La medicina senza religione non guarisce: cessa di essere medicina. La religione senza la medicina non salva: cessa di essere religione”.
Ci sarebbero molte cose da dire per supportare questo trasformativo passo, possiamo però dire – senza tema di essere smentiti – che l’uomo viene giudicato sano (e salvo?) quando può lavorare. Questo è il criterio di salute nel nostro occidente, ma la salute, per la maggior parte delle medicine tradizionali, non è la capacità di lavoro, ma la capacità di godere. Quando l’uomo è in uno stato permanente di tristezza (nella tradizione cristiana l’accidia era peccato mortale) lo si dichiara malato: non è capace di godersi la vita, lo invade la depressione, perde ogni voglia di vivere, non sopporta il dolore perché non sa gioire dell’esistenza.
Sano non è colui il cui organismo funziona come una macchina senza guasti, ma quello la cui armonia con se stesso e con l’universo gli consente di gustare la beatitudo, il fine dell’uomo.
Non siamo carne da cannone, prodotto per produrre, siamo esseri nati alla vita per avere vita: e che sia vita piena.
Un altro importante passo trasformativo che ci compete è quello di: tornare al valore dell’esperienza.
In un intenso carteggio tra Schoenberg – musicista – e Kandinsky – pittore – si leggono queste parole: “Se ciò che vedi disturba ciò che senti, è sbagliato”. E questo vale per l’Artista che vive in noi.
Oggi siamo capaci di ascoltare il nostro corpo, i nostri sentimenti, i nostri dolori, le nostre gioie?
Siamo capaci di sentire le nostre parole?
Non siamo invece completamente anestetizzati? Privati della capacità umana di tenere insieme mente-mano-cuore (la τέχνη [téchne], l’Arte dell’artigiano) siamo sopraffatti da una tecnocrazia mortifera, che ci “spella vivi” e ci separa diabolicamente dal nostro profondo sentire.
È da qui che nasce la parola non vana, la parola poetica.
È questo profondo sentire che ci farà dire no, a questo gioco non ci sto.
Abbiamo necessità di liberare la nostra coscienza critica, imprigionata dentro un’ignoranza cieca che ha reso le nostre vite senza significato, abbiamo necessità di rimettere al centro il centro della Vita. È qui che vive la nostra salute e la nostra salvezza.
Ritrovare il nostro tempio interiore, il nostro luogo di cura è il passo trasformativo a cui siamo chiamati. Dobbiamo sentire nostalgia di questa nostra dimenticata dimensione interiore per tornare a celebrare qualcosa di più importante del nostro piccolo Io; qualcosa che non è riducibile né al solo corpo, né alla sola psiche. Ridare vita alla parola Spirito, un vento che ti smuove, un dinamismo triadico che ci fa “sentire e vedere” che l’uomo non è “centro “ ma “incrocio”.
Seneca ci aiuta dicendo: “Il dio ti è vicino, è con te, è dentro di te. Spirito divino che osserva: come è stato trattato egli tratterà”.
E Jung fa scolpire sul frontone in pietra della sua casa a Kusnach: Vocatus atque non vocatus, deus aderit. “Chiamato o non chiamato, Dio c’è”.
E non si tratta di credere o no, si tratta di tornare a essere umani e di riconnnetterci con il cuore dentro al cuore dove il pensiero precede le parole, e la parola che esce guarisce e salva.
“Se segui la tua stella” scrive il sommo Dante “non puoi fallire a glorioso porto”.
Si tratta di scoprire la nostra vocazione, quella che il vero Maestro fa risuonare dentro di noi, e metterla in vita.
Il nuovo umanesimo che siamo chiamati a portare in vita trasforma la Legge in Gioco, dove è l’armonia delle polarità la strada.
Sempre Raimon Panikkar ci restituisce la bellezza di un’intuizione della Realtà, che lui chiama “cosmoteandrica”. Tre dimensioni inseparabili (cosmo-umano-infinito) ma distinguibili; tre dimensioni che cooperano incessantemente alla creazione continua della Vita, dove l’uomo è partecipante di un dinamismo di inter-in-dipendenza.
La mia anima è la mia visione del mondo, un punto di vista che Sa che il suo è un punto di vista tra infiniti altri, tutti degni di ascolto. Ben sapendo discernere tra fantasmi e dei.
Tornando alla cura, alla salute e alla salvezza, tutto inizia con la Parola. Una parola gentile e poetica. Parola come energon, energia in movimento che danza gioiosamente nel ritmo dell’Essere, in questa realtà non monistica, non dualistica, ma trinitaria. Un rinnovamento profondo dell'auto comprensione del nostro essere umani.
Oggi che tanta umanità è ammalata di depressione non servono farmaci, alcol, droghe, ma quel che occorre è un atto di fiducia e, aiutati dai sogni, dalle intuizioni, dagli incontri, dalla storia del nostro passato, da altre tradizioni e culture, permettere alla Parola energetica di rientrare in noi (Medicamento, Meditazione, Misura), onorando quel desiderio originario che ci ha permesso di diventare homo sapiens.
Ma mi basta sapere questo? L’homo sapiens è uno stadio e non uno status quo, è un dinamismo che coopera al dinamismo del cosmo intero la vita umana e allora?
“La verità” scrive Raimon Panikkar “è quel che si cerca e che non ha un come”. E prosegue: “Il fatto di ignorare il come mi libera da ogni paradigma e richiede da me una purezza di cuore e una solidarietà tale da non poter fare nulla senza di te. L’altro è essenziale per lo sforzo che dobbiamo fare insieme. Ci troviamo più uniti nella nostra ignoranza che in tutto quello che sappiamo”.
Possiamo fare nostre le parole che Gregorio di Nissa mette in bocca ad Abramo, al quale viene detto che deve abbandonare Ur, la sua terra e che, nel momento in cui si gira verso il deserto dove deve andare dice: “Ora so che è la voce di Yahweh che mi ha chiamato, perché non so dove vado”.
La libertà fa paura, ma è questo il destino dell’avventura umana, creatore di Parola nuova.
Patrizia Gioia, designer e poetessa, cofondatrice di Mille Gru (2006), è responsabile del settore arte e cultura di Fondazione Arbor, che ha avuto come primo presidente Raimon Panikkar. Opera per diffondere il dialogo inter/intra culturale e religioso, organizzando giornate di lavoro e incontro con studiosi di fama mondiale. Membro di ARPA ( Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica ) scrive libri di poesia e articoli per riviste e giornali web, rivitalizzando il pensiero mistico simbolico al crocevia tra oriente e occidente. Nel 2000 fonda SpazioStudio13 a Milano, luogo di incontro e confronto.
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