Questo articolo presenta una lettura critica del libro Consueling e poesia. Linguaggio poetico e comprensione di sé di Antonella Zagaroli (1994), che si può considerare il primo vero studio sulla poetry therapy pubblicato in Italia, scritto dopo l’esperienza di studio e approfondimento sviluppata dall'autrice negli Stati Uniti.
Il libro è ormai fuori commercio e Antonella Zagaroli ha gentilmente concesso di renderlo disponibile in formato digitale attraverso la nostra rivista. Troverete il PDF a conclusione di questa riflessione.
Quando nel 1994 venne pubblicato questo contributo di Antonella Zagaroli, in Italia non c’era un agevole e comodo spazio di accoglienza, né per il concetto di counseling, né per l’idea che la poesia potesse avere una sua funzione che esulasse dall’ambito letterario. Oggi, a più di un quarto di secolo di distanza, il counseling sta ancora faticosamente cercando di trovare una sua posizione definita e riconosciuta, anche se trova ormai applicazioni molteplici e diversificate. In quanto alla poesia, c’è ancora molta strada da percorrere.
In realtà, nel libro si parla più di poesia che di counseling, come si può presagire anche dal sottotitolo. Ma è proprio da quest’ultimo che si comprende l’accostamento. Il denominatore comune di queste due dimensioni (poesia e counseling) sta proprio in quella migliore “comprensione di sé”, che a mio avviso intende spingersi oltre la “semplice” consapevolezza. E nella “comprensione di sé”, sicuramente dobbiamo mettere in conto il riconoscimento di parti profonde, inconsce, dice l’Autrice, attingendo alle categorie psicodinamiche, ma anche una conoscenza che ne comprenda il senso o i movimenti, per poter solo in ultimo arrivare a un’accettazione matura. Qualcuno oggi potrebbe storcere il naso, perché questi argomenti possono sembrare superati e lontani anni luce dallo sbrigativo e autoreferenziale “io sono fatto così!” che imperversa in questa epoca post moderna.
L’Autrice parte dalla considerazione che la poesia da sempre viene vista come una modalità che permette di “liberare le emozioni”. E precisa subito che non si riferisce solo alla poesia come prodotto, cioè quella confezionata, edita e benedetta sotto le corone d’alloro dei certamen. Ma fin dall'introduzione fa riferimento alla poesia come a una attività insita nelle poliformi funzioni del cervello umano e quindi come dimensione espressiva aperta a tutti, e non solo a pochi eletti.
L’affermazione si basa sulle modalità diverse con cui il nostro cervello funziona: da una parte il pensiero volontario e propositivo, più costante e regolato dalle motivazioni, dall’altra la modalità incostante e non orientata verso un fine preciso che “procede per successione di immagini” che si richiamano le une con le altre liberamente per contiguità o similitudine.
Questa descrizione disgiunta delle due modalità di funzionamento delle nostre funzioni cerebrali superiori poggia su una distinzione anche strutturale. L’emisfero sinistro (definito dominante per convenzione statistica prevalente) si sarebbe specializzato nella prima modalità di funzionamento e sembra tenere a bada e sotto controllo l’emisfero destro, che è invece la sede del pensiero per immagini. Quest’ultimo “ha un carattere di profondità, di interiorità, ha meno a che fare con la sensazione, si manifesta soprattutto quando i sensi sono sospesi (come nel sogno) e i sentimenti più elevati”.
Antonella Zagaroli indica la possibilità di creare dei livelli intermedi tra queste due prassi di funzionamento. «Leggere, ascoltare, scrivere, poeticamente significa, infatti, costruire momenti di comunione… può permettere di riannodare i fili tra il pensiero digitale e il pensiero associativo, fissare tra loro nuovi e diversi livelli intermedi…». Quindi la poesia può svolgere una funzione di riconnessione di parti che ci costituiscono in una unità olistica: la sua virtù terapeutica starebbe, attraverso l’acquisizione di una maggiore consapevolezza della propria emotività, nel favorire il riequilibrio della razionalità e di integrare quelle forze che nel corpo di ogni uomo si combattono.
Per spiegare come la poesia possa effettuare questo lavoro di integrazione e di riequilibrio, Zagaroli approfondisce le specifiche modalità di funzionamento dei due emisferi cerebrali, sottolineando come ci sia una ampia parte della nostra esperienza che non poggia sulle parole, ma piuttosto su immagini mentali e queste immagini portano con sé un racconto implicito e potente. Ed è attraverso questo approccio immaginifico, che utilizza immagini e simboli, che costruiamo un mondo interno, una matrice creativa svincolata dalle rigidità razionali. Tutto ciò trova una rappresentazione sperimentata da tutti nel sogno.
L’esperienza del sogno si propone come caratterizzata dalla fusione che si crea per la giustapposizione delle immagini e la nostra parte razionale lo percepisce come una esperienza di con-fusione. E siccome la nostra parte razionale è adesa all’esperienza concreta, basata su ciò che i sensi percepiscono, succede che spesso consideri le immagini che derivano dalla profondità del nostro mondo interiore come non esistenti. E questo perché l’Io razionale starebbe così poco a contatto con queste nostre parti da averne scarsa o nulla confidenza. L’inconscio è una attività autonoma che agisce su una dimensione a sé stante, sospesa tra passato e futuro. Noi agiamo su questa parte ed essa agisce su di noi. Il processo poetico è un’operazione mentale che va oltre la semplice osservazione e la poesia è sospesa, “vive nel mondo del fra, tra l’ombra e la luce”. Esattamente come avviene per il sogno, del quale condivide alcuni meccanismi (rimozione, sintesi, simbolismo) e parimenti ad esso esiste in uno spazio libero dai vincoli spaziali e temporali. Per dirla con C. Middleton, la poesia è «un tipo di discorso che ci trasporta… in realtà che stanno al di là delle realtà immediatamente osservabili».
In alcuni paragrafi fitti di argomenti e citazioni, Zagaroli ci aiuta a rileggere i rapporti tra immaginazione, realtà e poesia. Nel suo ragionamento è di fondamentale importanza non confondere reale con razionale perché come dice Hamburgher “la realtà deve essere trasformata dalla fantasia prima di poter essere percepita veramente”. E non c’è da stupirsi se già Aristotele individua nella fantasia la responsabile della poesia dei sogni e delle illusioni. E, fatti i giusti distinguo tra fantasia e immaginazione, dobbiamo convenire che è attraverso l’immaginazione che noi veniamo a conoscenza degli oggetti, non per come possono essere essi stessi ma per come li percepiamo, li valutiamo, li viviamo. È molto affascinante leggere la citazione di una bimba di nove anni, che sostiene che di fatto noi sogniamo per sviluppare la fantasia, per usarla meglio. È proprio l’immaginazione che ci svela le emozioni più profonde, e quindi ci mette in contatto con i bisogni più radicalmente nascosti. Le cose e i fatti che osserviamo possono avere significati diversi, assolutamente soggettivi, in relazione ai nostri bisogni e ai nostri vissuti. Così pure le immagini fantastiche del pensiero poetico, che nascono dall’esperienza esterna rivisitata da sensibilità abituate a leggere attraverso il punto di vista emozionale e dei sentimenti sedimentati in ciascuno di noi. Ma queste immagini, se espresse attraverso il linguaggio poetico, tornano a essere vagliate dall’emisfero sinistro, che è quello che sovraintende al linguaggio. In questo modo l’Io razionale entra in confidenza con l’inconscio (assimilazione dell’inconscio nel linguaggio junghiano).
Per completare il disegno della cornice di riferimento a riguardo delle radici, diremmo neuropsicologiche, che stanno a monte dell’espressione poetica, l’autrice ci propone un capitolo che completa l’analisi delle origini, delle caratteristiche e dei bisogni sottesi all’azione del poeta.
Il poeta agisce seguendo una insoddisfazione, scrive poeticamente per esprimere un nuovo desiderio perché ogni desiderio bloccato genera una azione immaginativa. L’agire poetico rappresenta un momento di indulgenza verso una parte di sé che finisce per essere repressa nel passaggio dall’età infantile a quella adulta. Nel funzionamento infantile tendiamo all’immediato soddisfacimento dei bisogni nel modo impulsivo, finalizzato al piacere; nel funzionamento adulto siamo soggetti e vincolati a regole, abitudini, ruoli.
In poesia però la comunicazione non può avvenire in modo diretto: la verità si fa strada per rotture, lapsus, attraverso le smagliature della “rete linguistica”. La poesia descrive la realtà usando lenti più spesse e dall’angolo di curvatura aumentato, esagerando gli angoli di rifrazione. Il poeta ha familiarità con il pensiero associativo, procede per similarità e con la sua scrittura mostra ciò che sente. La poesia evoca emozioni dal momento che il suo riconoscimento di similitudini non è intellettuale ma emozionale. L’immagine poetica è solo metaforicamente tale, nel senso che oltre al suo significato letterale porta con sé significati soggettivi che hanno valore per il poeta e per chi la ascolta o legge. Scoprire, svelare, ascoltare il ritmo e i collegamenti del linguaggio poetico permettono di costruire un ponte tra la nostra parte razionale e quella emozionale. Gli stessi artifici retorici servono a mettere in collegamento operativo queste parte: il simbolo costruisce un ponte tra due cose, la metafora crea una con-fusione che fa perdere di vista la specificità dei due termini e porta l’attenzione alla fusione immaginativa che è avvenuta. Per definire cos’è la parola poetica Zagaroli prende a prestito la definizione usata da F. Capra per la parola cinese classica: non “un segno astratto che rappresenta un concetto chiaramente delineato, (….) piuttosto un simbolo efficace, che ha un forte potere di suggestione perché richiama con vivacità alla mente un complesso indeterminato di vivide immagini ed emozioni”. Il poeta si fa carico di un aspetto paradossale della parola umana, la quale è polisemica nel senso che non rappresenta in modo univoco una sola cosa ma è contemporaneamente questo ma anche quello, e la trasforma poeticamente nella sua potente rima. Per sottolineare le valenze semantiche multiple il poeta accosta alla equivalenza dei significati una equivalenza fonetica. I bisticci di parole hanno la stessa funzione delle metafore: lasciando intatte le parole come suono ne infrangono l’identità semantica. Il capitolo sul poeta si conclude con delle considerazioni che riguardano il valore energetico dell’espressione poetica. Il suono del verso è pura musica e la musica esprime la vita interiore. Per questo il ritmo che caratterizza i versi di un poeta ci parla della sua vita interiore. In definitiva «la forma della poesia è il prodotto di due forze: l’impulso ritmico e il controllo, rappresentato dalla struttura sintattica e semantica».
Nell’ultima parte del libro l’Autrice arriva al centro della sua proposta, spiegando come la poesia diventi uno strumento per incrementare la consapevolezza di sé, dal momento che rappresenta uno straordinario punto energetico per dialogare con la propria interiorità. Nel rispetto dell’individualità di ciascuno, con caratteristiche, abitudini, meccanismi consolidati e difese, la parola poetica non può essere falsa perché è sintesi, è totalità: è emozione fusa con il pensiero, con l’atmosfera, con l’accento, con l’immagine. Nel fare poesia si dispiega liberamente tutta la personalità, con tutti i suoi bisogni, tutte le sue fantasie, e i suoi sogni. Basandosi sulla unità della esperienza interiore, esprimendone emozione e pensiero, educa alla libertà e alla forma, insegna a ricomporre lo sguardo e ad avere cura di sé. Lasciando parlare più spesso il nostro pensiero associativo nella poesia possiamo uscire in modo giocoso dalle gabbie delle abitudini e del pregiudizio, della ripetitività quotidiana, delle autorità subite.
L’autrice sottolinea come negli Stati Uniti già dagli anni settanta del secolo scorso questo strumento in più è stato usato in diversi contesti istituzionali e non, sottolineandone l’uso anche negli ospedali e in particolare nei reparti dove vengono accolte le situazioni più critiche (terapie intensive e rianimazioni, oncologie, pediatrie) potendo rappresentare quel contenitore per una consapevolezza troppo intensa o troppo sfuggente rispetto al linguaggio dell’ordinarietà quotidiana. La storia degli ultimi cinquant’anni in Italia parla di una esperienza meno brillante, secondo Zagaroli, per la contemporanea presenza di due spinte opposte ma non facilitanti: da un lato un’eccessiva disinvoltura nell’utilizzo, per la ricerca di risultati eclatanti, e dall’altra il movimento di abbandono per “troppo riguardo” vista la caratteristica del linguaggio poetico, in apparenza poco fruibile.
In realtà il processo creativo sarebbe un motore per rientrare nel continuum della consapevolezza, necessaria all’individuo per capire di che cosa ha bisogno. La consapevolezza infatti è indispensabile per differenziare e individuare i bisogni e i mezzi per soddisfarli e questo è imprescindibile per permettere all’individuo di mantenersi in un equilibrio funzionale. Quindi la poesia utilizzata come strumento specifico in percorsi strutturati può permettere il processo di integrazione dell’emozione, del pensiero e dell’immaginazione.
Per quanto riguarda la metodologia della proposta si parte da una riflessione sugli aspetti linguistici che portano a considerare come nella poesia si abbia una rappresentazione linguistica completa, perché chi usa la scrittura poetica connette la stessa struttura profonda con più di una struttura superficiale. In questo modo essa ci permette di accedere a un territorio piuttosto sconosciuto anche se ci appartiene da sempre e ciò rende possibile l’intuizione circa la possibilità di nuovi stili personali di vita. In questo sta l’azione di cura (del prendersi cura di sé) contrastando il senso di paralisi e la struggente sensazione di non avere possibilità alcuna di scelta per la propria vita. La consapevolezza circa la molteplicità delle spinte istintuali al soddisfacimento dei bisogni e la consapevolezza che questi sono gerarchizzati non in modo assoluto ma in relazione all’emergenza del piano più urgente in un determinato momento contrasta i meccanismi rigidi e i blocchi. E questo permette di pensare all’emozione non tanto come a un’esperienza interna, ma come un elemento di connessione con l’esterno, con ciò con cui veniamo in contatto. E sempre per precisare aspetti metodologici, si specifica come le persone che fruiscono di interventi basati sull’uso dell’espressione poetica, se compongono qualcosa fanno esperienza della propria libertà di espressione. Quando leggono o ascoltano qualcosa scritto da altri lo vivono come un’esperienza “di prima mano” non mediata da altro o da altri: il sentimento espresso dalla poesia finisce per corrispondere con quello vissuto da chi la fruisce. Il poeta rappresenta lo spirito affine che permette al fruitore di non sentirsi solo in un’azione di rispecchiamento. Non è una fruizione “letteraria” ma l’interesse va tutto sulla risonanza che ha nel lettore. Ciò passa dal ritmo, da ciascuna parola letta, da rima, assonanza, allitterazione. La poesia può essere letta da soli in silenzio o ad alta voce, anche da un’altra persona. Può essere rielaborata e trasformata anche mediante l’utilizzo di alte modalità espressive semplici (colori, disegni) o complesse (collage, sculture, fotografie, danze, drammatizzazioni). In questo modo si facilita l’espressione di emozioni e di bisogni difficili da esplicitare. Questo approccio, utilizzato anche indipendentemente da un lavoro psicoterapico, diventa il tramite concreto per una profonda e costruttiva comprensione di sé. Si tratta di una metodologia che viene proposta in modo giocoso: chi conduce è il giocattolo e chi partecipa è il giocatore e il solo fine è giocare, offrendo se stessi a ciò che emerge. Chi conduce può anche dare stimoli iniziali e aiutare con delle riformulazioni, l’importante è che la chiusura (nella quale spesso si arriva alla consapevolezza) spetti al fruitore dell’intervento. I percorsi possono essere individuali o di gruppo, possono essere di durata circoscritta e puntuale o svilupparsi in incontri cadenzati su un arco temporale anche di mesi. Viene suggerito di esplicitare in modo preliminare e chiaro che non si tratta né di un corso di poesia, né di una competizione tra aspiranti poeti, bensì di una opportunità per lavorare sulle proprie emozioni per incrementare la consapevolezza di sé e il proprio equilibrio funzionale.
L’ultimo capitolo cerca di tirare le conclusioni sottolineando come la poesia non rappresenti un esercizio di fuga dalla concretezza della quotidianità. Anzi, essa appare molto più utile ad affrontare la quotidianità, poiché contiene e struttura “desiderio, sogno, progettazione finalizzata e azione”, i quattro step che caratterizzano l’esperienza umana. La poesia permette integrazioni funzionali che passano attraverso processi neuropsicologici che sono la cifra della specificità umana e rappresenta una possibilità di cooperazione intrapsichica che permette all’individuo di strutturare la sua individualità nelle interazioni con l’ambiente sociale. L’epoca moderna rappresenta una sfida “difficile” perché tutte le dimensioni e i processi hanno subito accelerazioni tali per cui l’uomo fa fatica a integrare i molti stimoli e le molte richieste che gli derivano dal vivere oggi. Soprattutto, la poesia rappresenta la possibilità di continuare in un’azione equilibratrice basata sulla costruzione di immagini significative prodotte autonomamente dal proprio interno, a dispetto di quello che Italo Calvino ha definito “il diluvio di immagini prefabbricate”.
A conclusione di questa presentazione dei contenuti proposti da Antonella Zagaroli credo che vada sottolineato il valore anticipatorio del suo lavoro rispetto a pratiche che in Italia hanno fatto fatica a trovare un riconoscimento allargato, e procedono ancora oggi più per singole iniziative per lo più isolate, e a volte un po’ troppo autoreferenziali.
Inoltre, va sottolineato il grande sforzo di dare una cornice di riferimento teorico che giustifichi l’efficacia benefica degli interventi di Poetry Therapy. E anche se il modello di riferimento è connotato, muovendosi l’autrice in quegli anni (successivamente volto più all’apporto del modello junghiano e alle scoperte scientifiche in campo neurologico che hanno dato un contributo più integrato al suo lavoro) per lo più nel paradigma psicodinamico e della Gestalt, l’impressione che se ne ricava è quella di una esaltazione della poesia in quanto specifica azione umana, creativa e rigenerativa, dal momento che apre alla possibilità di visioni alternative, rispetto ai blocchi interiori, e dunque evolutive. Detto in altri termini, la parola poetica viene presentata come caratteristica primigenia della capacità umana di occuparsi di sé. Tanto è vero che nelle pagine conclusive viene spiegato come l’intervento a sostegno del benessere individuale basato sulla poesia possa essere efficacemente portato avanti anche muovendo da riferimenti di modello molto diversi.
Credo che il denominatore comune possa essere ritrovato nella paradossale condizione che partendo da una individualità porta a un non eludibile destino di socialità, forse giustificato dalla strutturale complessità di ogni singola persona che già in sé trova molteplicità di piani e di elementi costitutivi che rappresentano un sistema sociale intrinseco. Antonella Zagaroli in questo testo legge la potenzialità sanatrice della parola poetica dentro le dicotomie classiche della visione psicoanalitica (interno-esterno; Io-Es; dimensione consapevole e inconscio), e anticipa anche alcune riletture in chiave neuro-fisio-psicologica che, a partire dagli anni ottanta, hanno cercato di corroborare le teorie del modello psicodinamico.
Ritengo questo suo lavoro veramente prezioso e incoraggiante, anche nell’attualità, soprattutto per chi vuole rimanere a servizio della poesia, nella consapevolezza che dalla culla dell’umanità questo strumento ha permesso agli uomini di progredire migliorando se stessi e le relazioni sociali.
Antonella Zagaroli, Counseling e poesia. Linguaggio poetico e comprensione di sé, Quaderni ASPIC Roma, 1994
Paolo Maria Manzalini (Napoli 1963) medico, psicologo clinico, psicoterapeuta si occupa di cura e riabilitazione psichiatrica dal 1992, prima in contesti residenziali e da dieci anni in contesti territoriali. Attualmente Responsabile della Struttura Semplice dell’Area Territoriale Psichiatrica della ASST di Vimercate. Promotore con l’Equipe del CPS di Vimercate della rassegna Far Rumore – Azioni per la salute mentale. Da sempre attento alla parola come fondamento dell’incontro e della comunicazione tra gli umani, negli ultimi cinque anni ha ripreso ad approfondire l’espressione teatrale e ha preso parte alla edizione 2017-18 del Corso di TeatroPoesia condotto da Domenico Bulfaro presso il Teatro Binario 7 di Monza. Responsabile Comitato Scientifico di Lì sei vero – Festival Nazionale di Teatro e Disabilità.
» La sua scheda personale.
Antonella Zagaroli (Roma 1955), è poetessa, scrittrice, counselor e poetry therapist italiana. Laurea nel 1978 in Letterature Straniere moderne; master in Gestalt Counseling 1994 e master in Poetry Therapy 1996 in USA.
Pioniera in Italia, propone i primi incontri di Poetry Therapy già dal 1991. Nel 1995 fonda LAUBEA Associazione Italiana Linguaggio Poetico e Consapevolezza per l’utilizzo della poesia terapia e la consapevolezza sociale, di cui è ancora il Presidente. (Foto di Mariangela Rasi)
» La sua scheda personale.