Poetry Therapy Italia

011 pierro

Il progetto di due donne, una psicoterapeuta e un’insegnante, che, grazie all’utilizzo di poesie, narrazioni, drammatizzazioni, e con l’ausilio dell’origami, permettono ad altre donne adulte, adolescenti, anziane, italiane o straniere migranti di narrare e ridefinire il dolore, o qualsiasi altro sentimento. Un laboratorio che è luogo di cura e al contempo luogo della memoria e dell’incontro, “in cui le storie riscritte e narrate sono consegnate… allo sguardo di chi le ascolta e decide se farle proprie o meno, identificandosi in esse, prestando loro una voce altra che le rinnovi e le tenga in vita”.

Il cielo è plumbeo e la città in fermento, quando nasce Medicamenta – lingua di donna e altre scritture, un autunno di cinque anni fa. Siamo sedute al tavolino di un caffè del centro, ed è uno di quei momenti in cui i progetti mettono radici. L’idea è fresca e attecchisce subito, ma per crescere avrà bisogno delle nostre cure; anche se i frutti più maturi si faranno attendere, poco dopo quel primo incontro ci mettiamo all’opera, e osserviamo germogliare di senso l’intento di dare voce, in forma poetica, alle storie delle donne, ai loro vissuti. Portiamo alla luce zone d’ombra e ferite, spesso nascoste sotto strati ruvidi di silenzio.
Medicamenta si declina nel tempo in laboratori, gruppi di formazione, eventi e performance. Si lavora al confine tra individuale e collettivo, sui temi caldi della vita: dipendenza affettiva, violenza di genere, il difficile cammino di ricomposizione dell’identità a seguito del trauma migratorio, le crisi psicologiche che costellano le fasi della vita, dalla giovinezza alla maternità, dalla menopausa all’anzianità.
Il tronco del progetto affonda nella terra fertile delle nostre differenti formazioni – psicoterapeuta e psicodrammatista (Valeria), educatrice e insegnante (Silvia). Due percorsi che intrecciano una congiunzione su misura per noi.
L’obiettivo che condividiamo è psico-pedagogico e si articola in poesia, narrazioni, drammatizzazione e piccoli manufatti di carta, ricorrendo spesso alla tecnica dell’origami. L’elemento espressivo accompagna il prendersi cura delle emozioni e dei vissuti di chi partecipa ai nostri incontri: la parola prende forma nella dinamica del gruppo, e che questo sia composto da donne adulte, adolescenti, anziane, da italiane o straniere migranti, la dinamica è un tessuto che va a realizzare l’incontro tra l’Io e l’Altro. Ogni membro del gruppo racconta se stesso, ma risuona nel disegno complesso che è l’insieme, nel qui e ora di volta in volta speciale, sempre diverso eppure contenitore riconoscibile nel quale si costellano le luci e le ombre delle storie e delle azioni ‒ poetiche, sceniche, artistiche. I racconti autobiografici, che muovono dalla memoria episodica o da quella narrativa, sono lo spunto focale da cui prende le mosse il lavoro intorno alla parola, ed è una dinamica che subisce diverse trasformazioni prima di fissarsi sulla carta e di trasformarsi, una volta di più, in un manufatto artistico: dall’esposizione orale condivisa con il gruppo al testo scritto e poi lavorato in versi, il cammino permette, grazie alla bilocazione cognitiva che trasforma la narrante in un personaggio altro da sé, il processo di risignificazione dell’esperienza, che proprio attraverso la narrazione perde la sua opacità e si modifica, aprendosi alle possibilità di un’inedita attribuzione di senso[1].

L’intreccio tra individuale, gruppale e collettivo si evidenzia ogni volta che le biografie toccano la comunità e la parola poetica diventa universale ‒ non importa quanto bella e perfetta, ma certamente preziosa per come si fa parola terapeutica. La parola poetica, d’altronde, appartiene a quel codice dell’anima che è la cura attraverso la parola immaginale. Fare poesia è operazione d’anima, è, appunto, “fare anima”[2]. Per questa ragione il racconto iniziale, consegnato all’ascolto accogliente del cerchio di occhi, in cui a turno prende la parola una voce narrante, viene lavorato a partire dalle immagini più pregnanti, quelle che noi conduttrici appuntiamo su un foglio, una sorta di trascrizione fedele di alcuni snodi salienti del racconto, che poi restituiamo alla protagonista perché possano essere trasformati in un testo poetico, scritto a volte in versi, altre in prosa, dove la metafora permette di sfiorare ricordi molto dolorosi, di dire anche l’indicibile.

La poesia diventa così da un lato il luogo della cura, in cui narrare e ridefinire il dolore, o qualsiasi altro sentimento, in cui provare a mettere insieme tutti gli elementi della realtà creando una composizione inedita, una nuova prospettiva, una differente interpretazione degli stessi, un mondo distinto che non è mera evasione, ma capovolgimento salvifico e illuminante; dall’altro lato diventa anche il luogo della memoria e dell’incontro, in cui le storie così riscritte e narrate sono consegnate, durante la restituzione che conclude l’incontro, allo sguardo di chi le ascolta e decide se farle proprie o meno, identificandosi in esse, prestando loro una voce altra che le rinnovi e le tenga in vita. Nel racconto trasformato in poesia, i contenuti emotivi non restano fissati sulla carta, non inchiodano il sentire, piuttosto lo liberano, perché tutto in poesia assume un’esistenza autonoma, misteriosa, e si mischia alle infinite declinazioni del dire e del dirsi, diventa una narrazione corale, condivisa, universale.
Terapeutico è accogliere l’elemento privato, la memoria del trauma che emerge dai racconti, ma quando non è elaborabile nel tempo-spazio a nostra disposizione, è la parola poetica a creare la magia, ad alleggerire oppure a rimandare ad altri successivi sviluppi.
Lasciamo tracce, seminiamo fiori. Il prodotto finale dei laboratori di Medicamenta può essere un libro, cucito a mano, una piccola antologia di versi e immagini che contengono tutti i testi, oppure un fiore di carta, lavorato con la tecnica dell’origami, in cui il testo poetico è trascritto dentro (abbiamo scelto il giglio, una metafora nella metafora, la forma di un utero in cui le parole nascono a nuova vita), qualcosa di concreto che fiorisce per ognuna delle partecipanti e resta a testimonianza del percorso fatto insieme.

Una delle esperienze laboratoriali più intense che abbiamo condotto è stata quella nella Residenza Sanitaria Assistenziale “Buon riposo” di Torino, dove abbiamo ascoltato un gruppo di quindici donne di più di settant’anni raccontarci “il ricordo più importante” della loro vita, muovendoci tra dolori e violenza, tra epifanie di gioia e traumi sedimentati negli anni: “La memoria sovversiva” è il titolo che abbiamo dato al laboratorio, svolto nell’arco di sei incontri. Inutile dire che i ricordi di guerra si sono affastellati e hanno velato gli occhi di tutte noi. Come quelli di un’identità femminile schiacciata dal peso del dover essere, limitata tra le quattro mura del materno e del quotidiano domestico, capace anche però di radicali gesti di ribellione e disobbedienza.
Il testo di Pina, ottantacinque anni, racconta:

C’era la guerra
fuori e dentro.
Vestita di bianco pizzo
sono entrata in chiesa.
Ovunque fiori
tantissimi
ma nessuno mi ha chiamata.
Mia madre mi ha portata via
gentilmente.
Le botte mi aspettavano a casa.
Quelle legnate mi hanno sciolto
tutte le ossa e la mente.
Promessa sposa fin da bambina
poi, crescendo
ho lasciato tutta la libertà
ai miei figli.

Storie di figli, storie di mariti, madri e padri, storie di dolore. Il trauma riattualizzato. Piangere o sorridere è un omaggio al gruppo, un dono reciproco che avvicina. Così come coinvolge tutte le giovani e delicate bambine di ottant’anni l’abito di pizzo bianco di Pina, e l’eco delle botte, fino alla rivincita, il riconoscimento della libertà offerto come corredo ai propri figli.

“Pollicine e il bosco dei ricordi” è il titolo di un altro laboratorio molto intenso, a cui hanno partecipato giovani donne straniere del CPIA 2 di Torino: a partire dai loro ricordi su “una donna di famiglia importante”, “un’esperienza felice”, “un momento di grande rabbia”, abbiamo lavorato da un lato a ricomporre un’identità segnata dall’emigrazione e da esperienze a volte molto traumatiche, dall’altra all’apprendimento della lingua seconda. Le difficoltà sono state molte, ma l’incontro con queste ragazze ci ha regalato perle preziose, come il testo di Kadidiatou:

la voce di mia madre
ha il colore della terra
naturale, sono felice
quando mi chiama
e mi porta le voci
di tutta la mia famiglia

In tutti i percorsi laboratoriali avviati in questi anni, da ultimo quello rivolto ad alcune detenute della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno, abbiamo potuto constatare che, nonostante le diffidenze e le resistenze incontrate in certi casi, la parola poetica scritta ha avuto una funzione trasformativa e riparativa, e il gesto finale dell’origami ha incarnato perfettamente lo sforzo di un Io alle prese con molteplici identità, eterogenee e a volte frammentate, che nelle pieghe delle parole ha trovato finalmente accoglienza, nella sua totalità.

Qui il link alla pagina di Medicamenta – lingua di donna e altre scritture:https://it-it.facebook.com/MEDICAMENTAlinguadidonnaealtrescritture/

[1] Il riferimento è alle metodologie autobiografiche codificate dalla Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Duccio Demetrio ha chiamato “bilocazione cognitiva” la capacità di ognuno nella narrazione di dividersi senza perdersi per potersi “guardare”, l’operazione distanziamento avviene sia nel tempo (allora-ora), sia nello spazio (là-qua), sia nel divenire personaggi di una storia (autore e protagonista nella autobiografia coincidono).

[2] Espressione usata già da James Hillman per indicare l’operare poetico e artistico terapeutico.

 

 


 

azzurra d agostinoValeria Bianchi Mian, psicologa, psicoterapeuta individuale e di gruppo, psicodrammatista junghiana.
Si occupa di supervisione d’équipe, conduce laboratori di tecniche espressive multimediali con bambini, giovani e adulti, è formatrice in corsi di scrittura e “soft skills”. Insegna Scienze Umane in un liceo privato.
Cura la rubrica Contemporanea/Mente su Psiconline.it e Meditazioni Metafisische su Oubliette Magazine.
È caporedattore per www.transiti.net, il blog della Psicologia d’Espatrio. I suoi blog: [PA] Poesie Aeree, micro giornale di versi e Favolesvelte.
Ha pubblicato doiversi libri di poesia e narrativa. 
» La sua scheda personale.

 


 

azzurra d agostinoSilvia Rosa, vive e lavora a Torino. Laureata in Scienze dell’Educazione, con una specializzazione in educazione e formazione degli adulti, ha frequentato diversi corsi sull’approccio autobiografico tenuti da Lucia Portis della Libera Università di Anghiari, e il Corso di Storytelling della Scuola Holden (2008/2009). Insegna italiano agli stranieri e metodologie operative nei servizi sociali.
Ha pubblicato diverse raccolte poetiche e un saggio di storia contemporanea.

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