Il manuale costituisce un’utile e preziosa risorsa per tutti coloro che iniziano a interessarsi di poetry therapy, in special modo per le persone che, nella loro professione, usano la poesia e l’arte del linguaggio per scopi curativi o di crescita. Corredato di numerosi esercizi, esempi e testi di riferimento, rappresenta un modello di riferimento anche per bibliotecari, insegnanti, educatori, religiosi o poeti che intendono accrescere le proprie competenze.
Antonella Zagaroli apre la prefazione al manuale, del quale ha curato la versione italiana, raccontando il suo personale percorso di avvicinamento, agli inizi degli anni 90, alla poetry therapy, alle attività di Peggy Osna Heller e della National Association for Poetry Therapy (NAPT), racconta anche della nascita di LAUBEA, l’Associazione italiana per il linguaggio Poetico e la Consapevolezza, e del recente incontro con il gruppo di ricerca Mille Gru di Monza.
Nell’introduzione, l'autrice Peggy Osna Heller, dopo aver chiarito cosa sia la poetry therapy e quali siano i suoi obiettivi, ne traccia l’evoluzione, dall’antichità sino ai giorni nostri. Grazie alle sue parole, il lettore prende coscienza di come la poetry therapy sia un’arte praticata dagli albori dei tempi come potente cura della parola.
Il manuale si compone di cinque capitoli, divisi in due sessioni, A e B, che sono leggibili anche “in verticale”, cioè concentrandosi dapprima solo sulla parte A e poi sulla B. La sessione A, come viene esplicitato nell'introduzione, esamina la poetry therapy dal punto di vista teorico e si concentra sugli strumenti a disposizione del poetry therapist. Nella parte B, invece, sono racchiuse alcune esperienze di poetry therapy e vengono approfonditi metodi e materiali.
Ciò che contraddistingue questo manuale, ricco di esercizi pratici, spunti di approfondimento e riferimenti bibliografici, è l’entusiasmo che anima le parole dell’autrice, che racconta, con emozione, le sue esperienze dirette con gruppi diversi, come composizione ed età.
Un concetto molto importante, che viene qui ben chiarito da Heller, è la differenza tra il poetry therapist di tipo evolutivo e quello invece clinico professionista. Alla prima tipologia, appartengono tutti coloro che a vario titolo si occupano di curare con la poesia, avendo studiato e seguito un particolare percorso legato alla poesia, alla cura e si occupano di persone “apparentemente sane”. Il poetry therapist di tipo clinico è, invece, un professionista in possesso di un titolo di studio in materie legate alla salute mentale, che ha frequentato un tirocinio di 1000 ore e che lavora con persone fragili.
Il primo capitolo ha come titolo “Introduzione alla metafora personale – Accoglienza” e nella prima sessione le parole chiave sono accoglienza, impegno, eccomi, coinvolgimento, introiezione e iniziativa. È attorno a questi nuclei che prende avvio il percorso di poetry therapy ed è con amore e bellezza che il terapeuta porta la parola poetica “ai partecipanti perché possano gustarla e discuterne, evocando nuove parole con cui raccontare l’unicità della loro storia”. Qui Peggy Osna Heller racconta di quando, intorno al 1985, alle prime esperienze con la poetry therapy, ha usato una poesia molto interessante dal titolo “There’s a hole in my sidewalk” (C’è un buco nel marciapiede) con un gruppo di tossicodipendenti dell’ospedale con cui stava lavorando all’epoca. Se all’inizio il gruppo aveva reagito con qualche scetticismo, in seguito la poesia si è rivelata coinvolgente e significativa, in quanto ogni partecipante si è sentito chiamato a chiedersi quale fosse il suo personale “buco” nel marciapiede, di cosa questa immagine fosse metafora nella sua vita. La parte successiva del capitolo verte proprio sulla valenza della metafora e sul perché il linguaggio poetico sia un linguaggio fondamentale per la comprensione di sé e l’approccio al cambiamento. Il linguaggio della poesia offre “io alternativi”, è ricco di “capacità di ricordi e potenziale per il cambiamento” e inoltre “è carico di emozioni” e può suscitare forti risposte sensoriali mettendoci in relazione con il nostro corpo e con il mondo circostante. Heller evidenzia qui la portata di cambiamento fondamentale che viene raggiunta anche attraverso la scrittura; non solo dunque la poesia viene usata come lettura e costruzione di domande su di sé e gli altri, ma anche come strumento terapeutico attivo, in cui il partecipante diventa creatore della propria metafora e lo fa proprio attraverso esercizi di scrittura. L’autrice, inoltre, non manca di fornire alcuni consigli al terapista che nel suo lavoro si trova a creare la sua personale cassetta degli attrezzi, colma di testi da cui partire e mette in luce come la sua creatività entri in gioco nel lavoro poetico/terapeutico.
La sezione B del capitolo è ampiamente dedicata alla metafora vista da grandi pensatori, filosofi e poeti come Platone, Aristotele, Dickinson, Campbell, Rilke. Questa ricca ricerca illustra al lettore le radici dell’importanza della metafora ed è seguita da alcuni esempi concreti di metafore espresse da pazienti dell’autrice nei suoi anni di lavoro. Inoltre, si sottolinea un nucleo fondamentale della poetry therapy e cioè ciò che accomuna la terapia e la poesia, ossia il fatto che entrambe, volte alla creazione dell’integrazione della personalità dell’individuo, attingono ai sogni, al preconscio, inconscio e utilizzano i meccanismi “di condensazione, sublimazione, spostamento e simbolizzazione”. E qui Heller ci riporta alcuni interessanti pensieri riguardo al pensiero di Freud in merito ad arte, poesia e creatività.
Il capitolo si chiude con suggerimenti pratici di costruzione del percorso per il terapista e con alcuni esercizi che si possono proporre in attività di gruppo, inclusi anche esercizi di ascolto e di scrittura da prompt.
Il secondo capitolo si concentra sul riconoscimento di sé nel percorso e in particolare sull’impegno. La sessione A ha come titolo “Utilizzo della modalità empatica”, e, prendendo sempre come spunto l’esperienza diretta dell’autrice, propone differenti approcci teorici e pratici di utilizzo della poetry therapy (comportamentismo, teoria conflittuale, ecologismo, esistenzialismo…). Suggerisce, quindi, alcuni esercizi e suggestioni per avviare una discussione nel gruppo di lavoro. La sessione B illustra i criteri di scelta delle poesie da utilizzare, che possono spaziare da opere di autori famosi anche a semplici filastrocche infantili; importante è la sensibilità del terapeuta poetico ai bisogni, al livello di comprensione e agli interessi dei partecipanti. Un’altra cosa che conta è il modo in cui il materiale viene proposto: “quando usiamo le strutture fondamentali e semplici delle frasi aiutiamo la gente a diventare i soggetti dei loro verbi, non gli oggetti a cui la vita capita per caso”. Qui l’autrice evidenzia il fondamentale ruolo della grammatica e dei modi verbali utilizzati, Heller, infatti, afferma: “nella psiche come nella sintassi, sono convinta che la creatività sia nel congiuntivo!”. E anche “usiamo il congiuntivo per esprimere quello che non è. È l’arte grammaticale di vedere l’invisibile”.
Il terzo capitolo è interamente dedicato al tema del coinvolgimento e qui le parole chiave sono appunto coinvolgimento, responsabilità e volontà. Nella prima sessione viene proposto un interessante esercizio che prende spunto dal libro delle qualità di Gadler e l’esercizio consiste nell’immaginare una personificazione di un’emozione, che può essere la vergogna, la paura e crearle un volto, attribuirle delle caratteristiche e qualità specifiche. Questo interessante esercizio porta il partecipante a porsi domande rispetto alle emozioni che prova è però anche a creare una distanza che permette quindi di non identificarsi con loro e capire che sono altro da noi.
Nella sessione B invece il focus è posto sul conflitto, sulla tensione tra opposti che è stata concepita in modi diversi da psicologi e studiosi come ad esempio Freud e Goffman. Inoltre, si approfondisce qui il rapporto tra letteratura, emozioni e corpo. l’autrice si concentra infatti su termini come commozione, immedesimazione, catarsi, processi che si attuano quando entriamo in contatto con opere letterarie e poetiche e veniamo appunto “toccati, mossi”, ci sentiamo “commossi” e veniamo cambiati da ciò che abbiamo letto, ci identifichiamo e reagiamo a ciò che leggiamo e proviamo. Si entra qui in una questione nodale è piuttosto complessa, cioè se la letteratura sia o meno in grado di provocare dissonanze cognitive e conseguentemente modificare i comportamenti. Passando per il buddismo zen e arrivando alle esperienze di psichiatria di Gould, di logoterapia di Frankl, l’autrice cerca di scandagliare la domanda per arrivare in profondità e per farlo prende anche in esame il particolare linguaggio della poesia – definito linguaggio della complessità umana – e le sue caratteristiche principali, il rapporto che essa genera tra linguaggio di tipo “primario” e “secondario” (vedi p.90). In chiusura di capitolo un esercizio ispirato al romanzo Lo zen e l’arte della manutenzione della bicicletta di Pirsig in cui viene chiesto ai partecipanti del gruppo di scrivere - a partire dalla lettura di un brano - riguardo al tema del blocco rispondendo alla domanda: “Qual è un problema nella vostra vita in cui vi sentite bloccati?”.
Il quarto capitolo è dedicato alla consapevolezza delle opzioni; la sessione A affronta le tecniche di scrittura creativa e si apre con alcune citazioni di autori e autrici famosi (Mark Twain, Joyce Carol Oates, Graham Greene…) legate alla scrittura e alla poesia. Racconta, quindi, degli studi e delle esperienze ventennali di James Pennebaker e del suo team della Southern Methodist University di Dallas, dalle quali è emerso che scrivere “migliora il sistema immunitario e in effetti fa stare davvero meglio”. Per quanto riguarda le tecniche di scrittura, Heller afferma che la spontaneità del momento creativo deve avere la precedenza sulle forme predeterminate; tuttavia, conoscere quelle forme rientra nelle responsabilità del terapeuta poetico, che deve sapere come “adattarsi con facilità, con grazia e rapidità alle esigenze connesse con la scrittura di emozioni che possono essere troppo elusive o troppo intense per essere espresse dai membri del gruppo”. L’autrice suggerisce anche una tecnica da utilizzarsi in quelle occasioni “tremende quando si rimane senza parole”; si tratta della “poesia dal nulla”, che è una variante di una forma insegnata dalla poetessa Sandy Lyne. Viene chiesto ad ogni componente del gruppo di dire una parola, quindi, le parole vengono scritte su di una lavagna o un cartellone, poi viene scelto un criterio di ricerca casuale, in modo da isolarne solo tre. Sulla base di questi tre termini, che spesso non hanno alcuna relazione tra loro, vengono scritte tre poesie che vengono lette ad alta voce e commentate. Le reazioni dei componenti sono spesso illuminanti, rivelando indizi sui loro problemi e atteggiamenti. Un altro strumento di scrittura, che Heller suggerisce di portare sempre dietro nell’invisibile “borsa nera” è l’acrostico dei nomi. Un acrostico dei nomi si legge in verticale e in orizzontale con parole di senso compiuto. In verticale si mettono le lettere che compongono il proprio nome, in orizzontale si scrivono parole o frasi che cominciano con le lettere del nome, scelte da chi scrive per descrivere il proprietario del nome. La discussione può partire domandando ai partecipanti di suggerire altre parole che secondo loro sono utili a descriversi a vicenda, ma usando solo le lettere dei propri nomi. Altra alternativa è quella di usare soprannomi oppure “il nome che avrei voluto tanto mi avessero dato”.
La sessione B “il gruppo” prende l’avvio dalla proposta di un processo di movimento interattivo, con sottofondo musicale, che esplora le dinamiche dell’interazione parlata di un gruppo. I movimenti suggeriti, inizialmente, devono solo tendere a raggiungere qualcuno senza toccarlo e, in seguito, con un sottofondo diverso, la prospettiva deve essere quella di essere raggiunti. I partecipanti sono stimolati a prendere nota mentalmente della differenza dei due atteggiamenti. La fase successiva riguarda, invece, il toccare e l’essere toccati, sempre rispettosamente e consapevolmente, quindi, successivamente, sarà possibile usare il corpo, in tutte le forme, per commuovere e poi per essere commossi. Solo durante la discussione finale sarà concesso usare le parole, cercando di esplorare tutte le reazioni provate e le dinamiche del gruppo.
La discussione include lettura e condivisione dei “fattori curativi” proposti da Irvin Yalom (1985): istillazione di speranza, universalità, condivisione di informazioni, altruismo, ricapitolazione corretta del gruppo familiare primario, sviluppo di tecniche di socializzazione, comportamento imitativo e apprendimento interpersonale. L’esercizio successivo racconta di una sessione tenutasi in ospedale, con un gruppo di anziani affetti da schizofrenia cronica. L’incontro prende l’avvio con la lettura dal testo di Emily Dickinson “Io sono nessuno! E tu chi sei?” e ha lo scopo di migliorare la comunicazione, aumentando la consapevolezza di sé e degli altri. La poesia viene letta ad alta voce, con un sottofondo musicale. La terapista cerca di stimolare il gruppo, proponendo di raccontare i momenti nei quali ci si è sentiti “nessuno” e poi “qualcuno”. L’abilità è quella di sollecitare i presenti senza essere troppo insistenti e di saper cambiare oggetto della discussione quando si percepisce del disagio nelle risposte. Man mano che la discussione procede, il gruppo, composto da persone timorose e chiuse in sé stesse, sembra sempre più interessato alla conversazione e sempre più coinvolto, le persone non si rivolgono più solo alla terapista e dialogano in modo sempre meno frammentato. Il capitolo si chiude con le impressioni dell’autrice, le sue emozioni, idee di sviluppo del progetto.
Nella prima sessione del capitolo cinque vengono proposte alcune attività per lavorare con i partecipanti sul tema dell’identità o meglio esercizi a partire da testi poetici in cui gli appartenenti al gruppo sono invitati a ragionare su possibili metafore, idee, pensieri, simboli con i quali si identificano e che possono essere adeguati a definirsi, rappresentarsi, esporsi al mondo. In particolare, oltre a citazioni da Jimenez, Shakespeare e Walcott, il lavoro proposto da Heller riguarda una poesia di Emily Dickinson che inizia con questi due versi: “Io sono nessuno! Tu chi sei?/ Sei nessuno anche tu?” (Trad. Silvio Raffo, pag. 120) e proprio attorno a questa poesia vengono proposte alcune attività da svolgersi in coppia o gruppo.
La sessione B invece riguarda l’utilizzo di storie e testi narrativi e il loro potere terapeutico e include una lista sintetica di consigli pratici per il terapeuta che dovesse decidere di includere storie nel percorso e fa un esempio di utilizzo di una favola, “Quando Schlemiel andò a Varsavia” di Singer.
Peggy Osna Heller, sociologa, poetry therapist e docente universitaria, si occupa di poesiaterapia, praticandola e insegnandola da anni nel Maryland e in diverse università statunitensi. Oltre ad essere autrice di numerosi libri e articoli in riviste specializzate, Peggy Osna Heller è stata direttrice della NAPT e attualmente codirige il Centro Wordsworth per la salute e il benessere.
Antonella Zagaroli è poeta, counselor e poetry therapist. Ha fondato nel 1995 la LAUBEA, associazione di poesia nella psicologia, che come attività principale ha la poesiaterapia. Antonella Zagaroli si è occupata di pratiche di poesiaterapia individuali e di gruppo, ha scritto articoli e approfondimenti ed è autrice di numerosi libri di poesia, un romanzo in versi e due raccolte di racconti.
Manuale di poetry therapy. Guida per studenti nei seminai professionali, di Peggy Osna Heller – Versione italiana a cura di Antonella Zagaroli – LAUBEA Associazione italiana per il linguaggio Poetico e la Consapevolezza
È possibile acquistare il manuale in formato ebook sul sito della Associazione Laubea www.associazionelaubea.it
Esistono alcune copie cartacee, in numero limitato, che si possono ottenere scrivendo a
Simonetta De Donatis frequenta dal 2013 il corso di Teatropoesia tenuto da Dome Bulfaro presso la Scuola del Teatro Binario 7 di Monza ed è una dei componenti dei cori “poetici”: CoroDiverso e PoetiCanti.
Per Mille Gru segue dal 2018 vari progetti didattici, editoriali e culturali.
» La sua scheda personale.
Sara Elena Rossetti insegna lingua e civiltà inglese a Sesto San Giovanni. Si è occupata della traduzione di poesie di Christina Rossetti (Edizioni San Marco dei Giustiniani e GalassiaArte) e di Andrea Inglese (Patrician Press). Ha pubblicato una raccolta di poesie (Patrician Press) e alcuni aforismi con Edizioni Pulcinoelefante. Ha lavorato con la compagnia teatrale Favola di Mattoni e ora frequenta il corso di teatropoesia e fa parte del Coro DiVerso diretto da Dome Bulfaro.
» La sua scheda personale.