Poetry Therapy Italia

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La cromoterapia ha una storia antichissima, ma nei paesi occidentali è una disciplina ancora di nicchia. In questo breve studio Lorella De Bon focalizza l’attenzione sul valore terapeutico che il nero può svolgere nella poesiaterapia. La sezione finale riporta i contributi prodotti on-line da persone che hanno accolto la sua proposta di scrittura e introspezione.  

Introduzione

In linea di massima il colore nero non viene usato in cromoterapia; potrebbe utilizzarlo occasionalmente, per incoraggiarsi ad affrontare la propria ombra, chi rifugge dal nero per timore di non saper controllare le proprie pulsioni istintuali.
(Corso di Cromoterapia Erbasacra, docente Stefania De Bellis).

Peccato che il nero non sia un colore, situandosi al di fuori di ogni sistema cromatico. Questo da quando Isaac Newton ha sconvolto l’ordine tradizionale dei colori con la scoperta, attraverso l’uso di prismi di vetro, che la luce bianca del sole è originata dall’unione di diverse luci colorate. L’ordine cromatico di Newton non ha nulla a che fare con i precedenti e l’ordine proposto resterà alla base della classificazione usata oggi: viola, indaco, blu, verde, giallo, arancio, rosso.
In questo nuovo ordine non compaiono più il bianco e il nero, anche se indirettamente il bianco vi rientra essendo la somma di tutti gli altri colori. Il nero no. Ma il nero ha anch’esso una storia millenaria. Una storia affascinante, misteriosa e avvincente, che vale la pena di conoscere.
In particolare, è nell’ottica di una relazione di aiuto in un contesto olistico - focalizzata sulla tecnica della scrittura – che l’uso del nero può risultare utile durante il percorso terapeutico. La ricerca di armonia psico-fisica che il cliente attua con l’aiuto dell’operatore olistico parte necessariamente da una maggiore conoscenza di sé stesso e delle problematiche legate alla sfera fisica, mentale, spirituale, energetica, creativa.
In tale contesto, e dal punto di vista della cultura occidentale, il nero si configura quale nucleo originario dal quale partire con il lavoro di ricerca ed elaborazione del disagio, riservando non poche sorprese positive durante il percorso.

In questo breve lavoro focalizzo l’attenzione sul valore terapeutico che il nero può avere nella poesiaterapia, pratica da me abbracciata come operatore olistico e svolta sinora con alcuni gruppi di bambini e adulti in presenza.

La sezione finale riporta i contributi prodotti on-line da persone che hanno accolto la mia proposta di scrittura ispirata al “colore” nero: tutte ottime premesse sulle quali avviare un vero e proprio percorso terapeutico individuale.

Il testo di riferimento scelto, oltre alla dispensa del corso di “Cromoterapia Erbasacra” della docente Stefania De Bellis, è Nero di Michel Pastoureau (Adriano Salani Editore, Milano, 2008).

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La Cromoterapia

Partendo dal concetto di base che i colori possiedono un valore vibrazionale, ne deriva la loro importanza nell’ambito delle discipline olistiche, e non solo.
Con la comparsa dell’uomo sulla terra, il colore non è stato usato esclusivamente a scopo decorativo e artistico, ma ha assunto svariati significati simbolici (potere, morte, fecondità, protezione, ecc…). La storia del nero sopra riportata può essere riproposta per tutti gli altri colori, ognuno abbinato ai propri significanti e proprietà.
La cromoterapia, dunque, ha una storia antichissima, ma oggi vi sono paesi ove è considerata una pratica curativa consolidata (come ad esempio la Cina e l’Oriente in generale), mentre nei paesi occidentali è una disciplina ancora di nicchia, annoverata tra le “medicine alternative” e paradossalmente in fase di riscoperta.
La terapia dei colori si basa sul concetto che ogni colore possiede una precisa vibrazione in base alla propria lunghezza d’onda. E poiché tutta la materia è il risultato della vibrazione di atomi, ecco che le vibrazioni dei colori possono influenzare positivamente o negativamente la materia organica, ristabilendo e mantenendo una corretta circolazione di informazioni tra le cellule dell’organismo.
La porzione di radiazione elettromagnetica che corrisponde allo spettro visibile all’occhio umano è compresa tra i 380 e i 760 nanometri e corrisponde alla successione cromatica dell’arcobaleno. Al di sotto dei 380 nanometri si trovano i raggi ultravioletti, mentre al di sopra dei 760 gli infrarossi.
Il bianco corrisponde all’assorbimento di tutte le frequenze e alla loro riemissione. Anche il nero assorbe tutte le frequenze, ma a differenza del bianco non ne riemette nessuna.
Ogni sorgente di luce che ci appare come una tinta unica è in realtà formata da tutte le altre tinte, in quanto il nostro sistema nervoso non è in grado di percepire le singole lunghezze d’onda, ma soltanto quella dominante.
L’energia dei colori può essere assorbita a più livelli: visivo, fisico, chimico, psichico. Le modalità, quindi, sono le più disparate: esposizione alla luce solare (elioterapia), irradiazioni luminose, alimentazione, acqua informatizzata, abbigliamento, arredamento, visualizzazione, meditazione, respirazione, cromopuntura, cristalloterapia, aromaterapia, utilizzo di essenze e olii vegetali (Aura Soma), arteterapia, poesiaterapia …
L’influenza dei colori è stata evidenziata a livello scientifico sul sistema nervoso, immunitario e metabolico, anche se non esistono a tutt’oggi studi clinici controllati. Per questo motivo si parla della cromoterapia come di una “medicina alternativa”, da utilizzare in supporto con la medicina allopatica.

Breve storia del nero

1 In principio Dio creò il cielo e la terra.
2 Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3 Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu.
4 Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre
5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.
(fonte www.vatican.va)

Nel libro della Genesi, nel silenzio primordiale, nel buio assoluto, nasce la parola divina. A dire che nel momento in cui una parola viene pronunciata si crea una scintilla e nella luce iniziano a splendere i colori, e la storia dei colori accompagna di pari passo la storia dell’umanità. Ma è nei primi versetti della Genesi che fa la sua comparsa il primo, il colore primigenio, il nero.
Il colore nero, dunque, ha preceduto tutti gli altri, finanche la luce e in poche righe il libro sacro dei cristiani lo definisce in senso negativo quale simbolo di vuoto abissale, assenza di vita e morte.
Similmente, dal punto di vista scientifico, il “Big Bang” (l’esplosione di luce iniziale, seppure non possa esistere un punto di partenza nel concetto di tempo infinito) ha dato il via all’espansione della cosiddetta “materia oscura”, che costituisce il 96% del cosmo e che non interagisce con lo spettro elettromagnetico.

Per tutta la storia successiva il nero non si libera mai di questo duplice simbolismo: colore terrificante legato alla morte da un lato, colore con valenza positiva in quanto precursore di fecondità dall’altro.
Numerose le mitologie antiche delle tenebre in relazione al racconto della nascita del mondo.
Ad esempio, nella mitologia greca Nyx, dea della notte e figlia di Caos (il vuoto primordiale), è la madre del cielo (Urano) e della terra (Gaia), ma anche di altre entità associate al colore nero: il sonno e i sogni, l’angoscia e la paura, i segreti e la discordia, la povertà e la disgrazia, e naturalmente la morte.
In altre mitologie, invece, il nero assume il significato positivo di fertilità e fecondità, come ad esempio in Egitto (Kemet, terra nera). In questa terra, pur simboleggiando la notte e la morte (Anubi è il signore e protettore del regno dei morti, vedi immagine), il nero è il colore del limo depositato dal Nilo, quindi assume la valenza positiva di fertilità e fecondità, opponendosi al rosso sterile della sabbia del deserto.
Altrove, il nero ricopre le statuette delle dee-madri protostoriche, e le statue di certe divinità della fertilità hanno la pelle scura. Per i cristiani il volto di certe madonne è nero.
Tracce di nero fertile si trovano anche nel Medioevo europeo, che associa i colori ai quattro elementi: rosso-fuoco, verde-acqua, bianco-aria, nero-terra.
Anche in Cina i cinque colori di base vengono abbinati ai cinque elementi: rosso-fuoco, giallo-terra, bianco-metallo, nero-acqua, turchese-legno.
In particolare, la triade nero-rosso-bianco segna l’organizzazione sociale di molte società antiche e medievali. Nel cuore del Medioevo il bianco è attribuito a coloro che pregano, il rosso a coloro che combattono, il nero a coloro che lavorano.
Il nero fecondo delle origini resta comunque associato all’immagine di certi luoghi: caverne, grotte, antri, gallerie, voragini, buchi e pozzi profondi. Luoghi che, anche se privi di luce, sono pieni di energie, di magia e mistero, luoghi sacri dove nascono gli dei, dove trovare rifugio e rigenerarsi. Per contro sono anche luoghi di dolore, punizione, pericolo e sventura.
Dunque, il nero fecondo è anche nero mortifero, in un alternarsi che trova nel simbolo dello Yin e dello Yang la sua più chiara esemplificazione: due colori (nero e bianco), due energie opposte che si completano e armonizzano a vicenda, ognuna necessaria per l’esistenza dell’altra (femminile e maschile, notte e giorno, terra e cielo, ecc…).

L’uomo ha sempre temuto il buio, trovando conforto nella luce e nei colori (solo i poeti lo cantano). La paura ha cominciato ad attenuarsi con la scoperta e il controllo del fuoco, che rende possibile anche la fabbricazione di pigmenti attraverso la combustione di vegetali e minerali. Il più antico di questi pigmenti è il nero carbone, ma a seconda del materiale utilizzato le sfumature ottenute sono diverse: oltre a vari tipi di legno, gusci, radici e noccioli, vengono bruciate ossa, avorio e corna. Poi, è la volta dei minerali: raschiati, frantumati, ossidati, mescolati al carbone vegetale.
Nel corso dei millenni la gamma dei colori e dei pigmenti si arricchisce, ma per quanto riguarda il nero il primo posto è sempre appannaggio del carbone e dell’ossido di manganese. L’invenzione più recente dell’inchiostro utilizza anch’esso il nero di carbone o di lampada (nero fumo), mescolato ad acqua e colla.
Nel Vicino Oriente, in certe regioni ricche di petrolio, si usa anche il nero bitume, mentre in Grecia e a Roma si ottengono dei magnifici neri da certi legni, come il nero di vite con riflessi blu. Il più bello è però il nero avorio, ma il costo è elevatissimo. Riguardo alle terre nere o brune, sono anch’esse molto costose perché arrivano da lontano, ma i colori ottenuti sono più opachi.

Riguardo alla tintura dei tessuti, operazione lunga e complessa, i migliori risultati sono stati raggiunti con il rosso, mentre tingere di nero in Occidente, dall’antichità più remota fino al termine del Medioevo, è stata per lungo tempo un’operazione tecnicamente complessa e il colore ottenuto non soddisfacente. Per questo motivo, gli abiti neri erano destinati alle classi sociali più povere e a circostanze come il lutto o la penitenza.
In Alchimia, cultura antichissima quanto l’uomo, i colori di base sono quattro: nero, bianco, giallo e rosso. Essi corrispondono alle quattro fasi della Grande Opera di ricerca della pietra filosofale (o percorso di realizzazione di sé), che permette di tramutare i metalli in oro: nigredo, albedo, citredo, rubedo. A ogni fase si associano tutti i cicli della vita: notte, mattino, mezzogiorno, sera; autunno, inverno, primavera, estate; ... In particolare, la prima fase, la nigredo, rappresenta il processo di putrefazione della materia, ma anche dell’ego, che prelude a una nuova forma di vita, a una crescita spirituale.

Se le culture antiche hanno una sensibilità molto sviluppata per il colore nero rispetto alle società contemporanee, il punto di svolta è situato nell’anno Mille, dopo il quale il suo utilizzo inizia a farsi più discreto nella vita quotidiana e viene a perdere la sua millenaria ambivalenza di significato. In pratica, sparisce la valenza positiva, mentre gli aspetti negativi prendono il sopravvento. In Occidente il “cattivo nero” diventa il colore del Diavolo e viene utilizzato per gli abiti di coloro che con lui hanno rapporti di affinità o dipendenza.
Ovviamente, al nero del Diavolo e delle tenebre dell’Inferno si contrappongono la luce e gli esseri di luce. Ed è tutta una profusione di colori luminosi nelle vetrate delle chiese. Anche riguardo agli abiti monastici si assiste al “conflitto” tra il bianco e il nero.

La dimensione emblematica dei colori esplode due secoli più tardi con l’araldica, sui campi di battaglia e nei tornei, con delle precise regole di composizione cromatica. Nell’araldica il nero non è più un colore fondamentale, bensì ordinario, venendo a perdere quella caratteristica di significatività che sino ad allora aveva detenuto con il bianco e il rosso.
Diverso il discorso delle poesie e dei romanzi cavallereschi, dove il codice dei colori è ricorrente e significativo, e dove un cavaliere nero è quasi sempre un personaggio di primo piano che vuole nascondere la propria identità, ma animato da buone intenzioni. L’eroe vestito di nero è sopravvissuto sino ai nostri giorni.
Pur non scomparendo il suo valore diabolico, funesto e mortifero, il nero è stato in parte rivalutato, sino a diventare – soprattutto in determinati contesti – simbolo di eleganza, classe, lusso, rispettabilità.

Far magie… niente di più semplice! È uno dei trucchi più antichi della terra e della primavera: gli anemoni. Sono improvvisi. Spuntano dal bruno fruscio dell’anno scorso in luoghi dimenticati dove altrimenti non si sofferma lo sguardo.
(Tomas Transtromer, da Gli anemoni)

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Il nero nella poesiaterapia… e altri colori.

O nera scarpa, tu
in cui trent’anni ho vissuto
come un piede, grama e bianca,
trattenendo fiato e starnuto.
(Sylvia Plath)

La storia del nero nella poesia mondiale meriterebbe un trattato a parte e il materiale cui attingere è decisamente corposo. Questo a dimostrazione che i poeti utilizzano il nero come efficace forma espressiva, declinandola in svariati modi a seconda dell’emozione da esprimere. Come scrive Isabella Leardini nel suo libro Domare il drago: "finché c’è una parola da dire, la scrittura ha la forza di uscire dal buio".

Nonostante il nero appaia oggi sdoganato dalla sua tradizionale simbologia negativa, in realtà è ancora legato a visioni di dolore, morte, vecchiaia, povertà, solitudine, ecc…
L’immagine del primo canto dell’Inferno di Dante è ben fissata nella memoria collettiva:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Per Dante la selva oscura (nera) è allegoria della condizione di peccato in cui versa l’uomo, in cui manca la luce della ragione, ma soprattutto la luce della Grazia di Dio.

Ma spegnere la luce della razionalità significa anche abituarsi al buio e pian piano cominciare ad ascoltare, a sentire attraverso le emozioni. Guardando nel buio si riesce a vedere l’invisibile, ci si apre a una visione “altra”. L’oscurità, dunque, non come fine della vita, bensì come rinascita a una nuova esistenza: diversa, colorata, luminosa.
È bene conservare una parte di oscurità, una vena di sangue nero da cui ripartire alla conquista del sangue rosso; pescare nell’ombra e nel torbido per far emergere quello che di meglio possiamo offrirci e offrire; indossare un abito nero per sentire il desiderio irrefrenabile di colori luminosi.

Scrive Emily Dickinson: “L’acqua si impara dalla sete”.

Similmente, i colori si possono imparare dal buio.

Non avere paura del buio significa non temere la verità e il dolore, perché il nero ci pone nudi in nostra presenza. Nel buio dell’utero nasce e cresce il feto. La luce della creazione nasce dal buio primigenio. Gli occhi si chiudono alla luce ed è la fine della vita terrena, ed è l’inizio di un’altra vita, terrena o ultraterrena non ci è dato sapere.
Isabella Leardini, nel libro sopraccitato, trasforma in un’immagine esemplare, quella della palude, il luogo scuro che è origine di ogni forma di vita: “compiamo l’errore di credere che la palude sia uno spazio morto, immobile, infecondo, invece è il paesaggio primordiale delle cose che prendono forma. […] La palude della scrittura e della mente sono i testi che sembrano stagni, il loro terreno malfermo è quello in cui ci pare di affondare. Ma è anche quello in cui il diamante risale.”

La poesia prima che un sostantivo è un verbo, è un’azione: è il gesto dell’esprimere, del premere fuori dal buio le nostre emozioni, i nostri colori. Il sentiero per uscire dal nero è del tutto personale; a ognuno la propria traiettoria, i propri colori.
Soprattutto in questo periodo di pandemia e di chiusura, il nero – con tutto il suo bagaglio simbolico – è entrato prepotentemente nelle vite di ognuno. Ho pensato, quindi, di chiedere ad amici e conoscenti (tramite WhatsApp e Facebook) di scrivere qualche verso o pensiero partendo dalle sensazioni loro trasmesse proprio dal nero: per arrivare ad altri colori percepiti come più affini, più propositivi, più vibranti, oppure per restare nel nero se “sentito” più confortevole. Un esercizio di introspezione eseguito grazie alla magia della scrittura e al “vocabolario dei colori”, parole colorate per svelarci a noi stessi, per accoglierci e avere cura di noi.
I contributi ricevuti sono stati numerosi, soprattutto da parte di chi esercita abitualmente l’esercizio della scrittura, ma anche da chi vi ricorre sporadicamente, soprattutto in certi periodi della propria vita.

Come Mavy: “Nero… come un mantello di velluto pregiato mi avvolgi. Nero… nel Tuo abbraccio mi sento sicura, protetta, posso esprimere la Mia Anima Colorata, posso sognare, gridare, posso essere mille persone o nessuna senza essere giudicata. Nero… tutto togli… tutto dai.”

E Silvia, che ha espresso anch’essa il doppio significato negativo-positivo che ha il nero (certa ambivalenza che esiste in lei), e lo ha fatto attraverso un acrostico: Nutri Eleganza Rigida Ossessione”.

E Katia: “Nel nero tutto si riposa, per ritrovare poi arcobaleno di colori, la vita.”

E Maura: “Nel buco nero ricasco, poi guardo più in là e dalle sfumature di grigio più chiaro passo ai verdi, agli azzurri, per arrivare al rosso che più mi appartiene. Il ciclo si ripete all’infinito. In balia di me stessa e degli stati d’animo, cado e poi mi rialzo.”

E il pittore Rino, da New York: “Il buio che si cela nel tuo nero non è per me un colore ma solo buio da scoprire. Io resto vivo con il resto dei colori.”

Gisella, invece, ha sentito l’esigenza di evidenziare il potere creativo del nero, prima in versi:

Il nero protegge ogni tramonto
nel grembo.
Accompagna all’alba
dello stesso Sole
il bianco, visibile anche all’invisibile.

poi con un pensiero chiarificatore: “Mentre siamo nel grembo materno quel nero di mille sfaccettature ci protegge ogni giorno fino alla nascita, quando il bianco della luce del sole ci farà visita. Vedremo il mondo e il mondo ci vedrà. Siamo il colore di noi stessi."

Come Gisella, anche Cinzia parla di una nascita: “Il nero incontrò la luce e… colore fu!”

E Clirim, che torna con il nero alle origini della Creazione:
Gravida di nero la notte
Nulla nasconde
Evidenzia la luce delle stelle
Il completo disegno del firmamento
E con la scia dell’ultima cometa
La firma di fuoco del suo creatore.

Oltre al senso di accoglienza e protezione emerge spesso anche l’effetto rigenerante ed energetico del nero.

Maria lo spiega con dovizia di particolari: “Nero – colore assoluto nel quale mi ritrovo e dove, senza distrazioni fatue, l’essenza del pensiero diventa il mio centro e il nido che mi avvolge, talmente confortevole e accogliente da far emergere l’atavico e “non cosciente” me stesso.
Come in uno spazio infinito il viaggio è senza meta, senza programma, senza tempo, a tratti sembra raggiungere un’intensità nuova che sta per svelarsi, prendere forma e, quasi evaporando, si trasforma in una forza differente e inaspettata, quasi lucente: nero lucente…
La nera energia si riflette e rimbalza tra connessioni e percorsi sconosciuti o dimenticati finché, sublimando il pensiero stesso, diventa essenza, anima e luce.
E con la luce, abbagliante, i colori!
Frastornato vorrei rifugiarmi nell’ombra: accogliente, silente e sicura, così buia, familiare e avvolgente da non riuscire a distinguere se sia sogno, estasi o realtà!
Nessun altro colore mi consentirebbe mai una tale rigenerante astrazione”.

Luana, pensando al suo compagno di vita “che ha fatto della cecità un dono”, parla del nero come uno strumento di conoscenza di sé: “Mentre il buio scendeva nei suoi occhi la sua anima si accendeva di colori. Quando il nero si posò sulle cose, sulle case, sulla gente… Quando i contorni sparirono e con loro le forme… Lui girò lo sguardo al suo interno e vide per la prima volta sé stesso”.

Anche Tonina parla dei problemi di salute del marito utilizzando il nero ed esprimendo (ed esorcizzando) così la paura di perderlo. E il ritmo di questa poesia pare proprio il battito del cuore:
Buia, tetra notte
tu chino sul cuore
lo ascolti.
Cerchi la luce
sperando l’accenda
lo taccia
la scacci
la nera morte!
Ti giri, ti volti
La vedi e preghi
la Sorte
che porti speranza
ancor tempo
rosso sangue
che scorra
disseti
soddisfi per ora
questa nera notte.

Fulcio aggiunge alle immagini precedenti quella ben precisa del nero quale rifugio, covo, spazio che accoglie e consola i travagli di chi ha già percorso buona parte della sua vita: “Egli rappresenta la vita che sa creare e trasformare. È il rifugio di chi ha superato il travaglio della frammentazione che aliena, distrae, illude, inebria e “consuma” con ingratitudine, senza dare nulla in cambio, senza guadagnarsi il pane. Il nero non delega, non rimanda al mittente lavandosi le mani: egli accoglie, elabora e restituisce senza tenere nulla per sé, senza scappare impaurito. È anche grande, completo, unico; libera accogliendo sia i liberi che gli schiavi bisognosi di ausilio. Egli spazia ovunque, dai corpi alle anime, dal vizio alla virtù fino a raggiungere il sublime del nulla, dove essenza ed esistenza convivono, si intersecano, si sviluppano e danno la vita.
Quando voglio divertirmi o dedicarmi alle passioni dei sensi, ecco che ogni “radiazione” visibile mi appaga, purché intensa, cangiante e decisa: poco importa che sia il giallo o il rosso dei giovani o la tinta più consona a chi si avvia al crepuscolo della vita. Nitidezza e purezza non devono tentennare! Ma, finito il sollazzo dello spettacolo che precede e accompagna la sana dissolutezza – cibo indispensabile per il corpo - ecco che i bisogni profondi (o più elevati) cercano altri cibi, altri “regni” – direbbe Cristo: e arriva lui, il nero, che sa essere abisso del mare e limite dell’universo, “covo” sicuro per l’anima smarrita o vigorosa che scava senza sosta alla ricerca della verità”.

Il nero come un preciso stato d’animo, in contrasto con gli altri colori, è ben espresso da Tamara: “Il nero non lo vivo come un colore, ma come uno stato d’animo irrimediabile da cui non può nascere alcuna sfumatura. Per contrasto, in altri momenti, sono fortemente attratta dai colori vivi, vitali, quali il rosso, il giallo e il verde acceso che sembrano scaturire dal nulla piuttosto che da una graduale metamorfosi. Non sono attratta dai colori tenui”.

E da Laura, che invece attribuisce al nero/emozione diverse sfumature:
Cullando ombre logore
rotte agli estremi
ti sfumi e consumi
di nero,
un po’ piangendo
un po’ pregando.

Il nero diventa anche un punto interrogativo nel caso di Elisabetta, che lo contrappone al bianco, descrivendoli entrambi a livello antropomorfico e con caratteristiche ben precise; foriero di buone possibilità il nero, rigido e impietoso il bianco:

“Perché, tesoro mio, sai dirmi perché per me è il bianco e non il nero il colore della morte?
Perché non il nero, il nero della fascia al braccio, il nero degli abiti che tingono le chiese delle campane a lutto, il nero dell'assurdo mistero che ci avvinghia per tutta la vita e poi ad un certo punto stringe, stringe, stringe…
Forse perché il nero è fondo, certo, ma in quel fondo ci può essere qualcosa di buono, perché non si vede, e non si sa......il bianco invece è netto, granitico e inequivocabile, nessun dubbio sulla sua materia, è uno schiaffo in pieno viso come quando il vento dispettoso ti sbatte addosso il vetro delle imposte, mentre tu potevi e volevi solamente sbirciare fuori dal retro della tenda.
Non chiede permesso il bianco, non si agghinda vestendosi di profumo come gli abiti da sera nei galà, NO, il bianco non aspetta, e non prova misericordia.
IO INVECE SÌ, CUORE DEL MIO CUORE, E TI AMO, ANCHE ADESSO CHE IL BIANCO TI HA SEPOLTO, TI AMO PER SEMPRE”.

Il nero assume una connotazione ben precisa in Ant nel dualismo nero/fame/assenza – luce/sazietà/presenza, in un ciclo destinato inevitabilmente a ripetersi: “Cammino, da solo, è buio, scuro, nero, le nuvole s'impongono alla luna, il passo è cauto tra pozzanghere di pioggia e fango, i miei occhi vincono la notte e l'odore di una preda è vicino, devo compiere l'occasione sfamarmi, questo io sono, il domani non so cos'è, ma vedo la differenza tra il giorno e la notte e dopo questa oscurità riposerò sotto l'ombra di un albero e se aprirò gli occhi tutti i colori del mio regno splenderanno, e se il giorno non mi sveglierà allora sarà ancora la notte a farlo quando i miei occhi vedranno anche attraverso il nero e io avrò di nuovo fame”.

Nel sogno di Alberto, il nero assume le sembianze di un cane, di un cane nero dolente che parla e che va a zonzo in cerca d’amore, un cane che un tempo, forse, è stato un imperatore:
Ho visto un cane nero venirmi incontro
nel giorno
un giorno che somigliava alla notte
un cane che parlava
e le sue parole erano roche di dolore
un cane che in un’altra vita era stato imperatore
ora era solo una bestia in cerca di un po’ d’amore
un cane che si rizzava sulle zampe
per avere un po’ d’attenzione
e scodinzolava a ogni potenziale padrone
un cane che non aveva neppure un nome
un cane che abbaiava senza fare rumore
un cane che parlava
e le sue parole erano roche di dolore.

Eravamo nelle terre brumose del sogno
e io non distinguevo neppure i confini
del tempo: non le ore né i secondi
tutto si riduceva a una sfiatata litania
come il pelo di quel cane nero
che mi veniva incontro
nel giorno
un giorno che somigliava alla notte
mentre mutanti intonavano inni rotti.

Ho visto un cane nero venirmi incontro
nel giorno
un giorno che somigliava alla notte
un cane che parlava
e le sue parole erano roche di dolore.

Ed è sempre Alberto ad accompagnarci verso l’uscita dalle “terre brumose”, fuori dall’incubo, fuori dal nero, fuori dal dolore:
[…] Nera la pioggia nera la pioggia nera la pioggia che cade che cade che cade
e poi... poi...
il sogno dell'arcobaleno fra le rive
il risveglio della luce una scala verso il cielo.

Anche Roberta, come Alberto, racconta la sua personale uscita dal buio onnipresente, oggettivato nelle mascherine scure che di questi tempi nascondono i volti delle persone, la perfetta visione del mondo, finanche la luce del sole. La salvezza risiede nel libero respiro, nella piena luce del giorno, nel blu e nel giallo. E il nero resta un ricordo, o meglio un segno di kajal a rendere più belli gli occhi.

Nel non respiro
la tregua dei miei passi.
Sfioro accesi papaveri rossi
sulla strada verso il mare.
S'arresta la luce.
Non pervenuta.
Distanze avvolte da mascherine scure,
occultano la visione
d'azzurro acceso.
Strappo ogni laccio,
catena, distruggo ombre
correndo attraverso.
Respiro, libera
dal nero ubiquo.
Esco da corridoi temporali,
fermi ad un anno fa.
La salvezza del mondo
sarà distruggere le tenebre
con astuzia, per rivedere il vero sole.
Sono rinata
in macchie di colore
blu e gialle.
Dove il nero, è un vago
contorno kajal.

Ma sono soprattutto i bambini e il loro mondo colorato a prenderci per mano e a farci vedere la luce nel buio. Con la loro ingenuità e fantasia ci parlano di un mondo dove tutti i colori hanno la stessa dignità e importanza… ognuno a modo suo!

Il povero nero,
– nero come la notte,
nero come il carbone,
nero come la pelle di un toro –
girava tutto il mondo
in cerca di qualcuno
a cui piacesse il suo colore,
ma non lo trovava.

Io, che sono solo un bambino,
non ci posso far nulla,
perciò chiedo a voi che mi ascoltate
di aiutarmi,
perché solo col vostro aiuto
riuscirò a consolare il povero nero.
(Francesco A. Classe III Primaria – Milano)

Il bianco e il nero litigano
per tutto l’inverno,
il rosso sembra il settebello,
l’azzurro si è perso nell’oceano,
il ciclamino è un birichino.
Il marrone è caduto in un burrone
e il rosso lo va a salvare con l’elicottero,
il marrone si è rotto l’osso del collo,
il rosso è quasi morto dal sonno:
il marrone è rimasto nel burrone.
(Fabrizio C. Classe III Primaria – Milano)

E mentre i bambini con tutti i colori danzano, disegnano, scrivono, sognano, parlano… i loro genitori restano imperterriti fuori dalle loro stanzette a tenere lontano il nero. Papà Andrea scrive:

Con un vestito tutto rosso
canterei come un pettirosso.
Con un vestito tutto giallo
galopperei come un cavallo.
Con un vestito tutto verde
non saprei chi vince e chi perde.
Con un vestito tutto marrone
volerei come un aquilone.
Con un vestito tutto colorato
sarei come una farfalla in un prato.
Ma con il vestito del papà
sarò sempre chi vi amerà.

 


Lorella De Bon 
» La sua scheda personale.