Coloro che usano la fotografia per esplorare il mondo e quanti scrivono poesie sono accomunati dalla scelta di limitare al minimo l’uso della parola per descrivere paesaggi esteriori e luoghi dell’anima. Un libro prezioso che srotola immagini e parole, come un tempo si faceva con la pellicola fotografica.
È curioso che quando ci cade dalle mani un gomitolo, la nostra attenzione sia catturata dalla parte più voluminosa del filo che è ancora avvolta su se stessa e ci chiediamo, vedendola prendere traiettorie non prevedibili alla nostra razionalità, dove andrà a quietarsi. Di fatto perdiamo di vista il filo che nel frattempo si è srotolato. Ma il senso profondo del gomitolo è nella sua duplice potenzialità: rimanere compatto fino alla chiusura ermetica o disvelarsi nell’infinita e delicata ricchezza di ogni centimetro di filo. Finché rimane elemento compatto non ci permette di vedere le circonvoluzioni più profonde, perché celate allo sguardo frettoloso che categorizza il gomitolo come palla, che apparentemente non ha da dire l’infinita ricchezza del racconto dalle mille sfumature del filo che narra e disvela a ogni curva, a ogni ripiegamento, a ogni potenziale intreccio o nodo.
Ma, essendo Il filo srotolato un prezioso volumetto che raccoglie immagini fotografiche e poesie, vale la pena ricordare che non molto tempo fa – prima della semplificazione digitale – anche il fotografo srotolava la pellicola, in quell’arte un po’ magica di catturare la luce sulla rete del materiale di cellulosa per dare una ricostruzione della realtà da alcuni postulata come oggettiva, ma che sempre ricostruzione rimane. La pellicola srotolata all’interno della camera oscura permette lo stupefacente ricostruirsi di una realtà vista che, attraverso un negativo, torna a farsi positivo nella stampa compiuta.
Attraverso queste considerazioni, neanche troppo metaforiche, possiamo evidenziare la cifra di questa proposta di soffermarsi su Autismo tra fotografia e poesia. Proposta delicata e potente nel contempo, capace di mostrare quanta dedizione ci vuole nell’incontro, quanta consapevolezza (poco presente in questo velocissimo tempo post-moderno) della dualità di ogni atto comunicativo.
Gli elementi ci sarebbero tutti per accennare ai temi chiave che emergono: stare di fronte, saper ascoltare, andare oltre le idee precostituite, lasciarsi interpellare da messaggi che, proprio perché nascosti, risultano sorprendenti. E ancora: uscire dalla auto-centratura che ci vede in un’eterna pretesa di sapere già, come se fossimo i massimi esperti di tutto, persino dell’altro, per accettare la sfida di una conoscenza che non dovrebbe mai abbandonare l’approccio maieutico del far emergere, dell’aiutare a esprimere, del mettere in evidenza valorizzando.
Coloro che usano la fotografia per esplorare il mondo e quanti scrivono poesie sono accomunati dalla scelta di limitare al minimo l’uso della parola per descrivere paesaggi esteriori e luoghi dell’anima. In realtà anche alcune condizioni umani particolari hanno come caratteristica quella di usare la parola in modo parsimonioso. Quindi, recensire un libro fatto di immagini fotografiche e poesie e che parli di autismo potrebbe essere considerato un ossimoro. Sarebbe imperdonabile sovraccaricare di parole ciò che per scelta riduce all’essenziale la componente verbale per comunicare cose profonde, che definiscono il nucleo dell’esperienza umana. A maggior ragione se si considera che il libro vuol mettere in evidenza come i ragazzi, a funzionamento autistico, siano in grado di comunicare in modo efficace se li si mette in condizione di sfruttare le proprie capacità e competenze specifiche.
Il libro è sicuramente da gustare per una serie di motivi che in modo sintetico possiamo così evidenziare:
- sia le foto che le poesie seguono una loro narrazione che appare concepita secondo uno sviluppo preciso;
- sia le poesie che le foto possono essere apprezzate come quadri a sé stanti;
- la storia analizzata da un punto di vista fotografico ha delle intuizioni potentissime. Il raggruppamento iniziale dei volti ricorda l’efficacia del coro, con la sua funzione, nel teatro greco classico. La ridondanza dei volti moltiplica la potenza del messaggio: ogni essere vivente comunica contenuti unici. Nel prosieguo, i singoli protagonisti danno risalto ad aspetti particolari sui quali ci si può focalizzare come nei quadri scenici del teatro classico. Non c’è mai solitudine: la dimensione dialogica è garantita innanzitutto dallo sguardo attentissimo e sempre aperto a un ascolto, mai preordinato, di chi si mette di fronte senza la presunzione di sapere già e poi dallo sguardo del fotografo.
- La narrazione fotografica propone dunque delle sottolineature, esattamente come nel teatro greco, sfruttando l’efficacia della coralità dei protagonisti e per darne un esempio concreto mi riferisco alle foto a pagina 80 (una classica foto di gruppo con un paesaggio sfocato sullo sfondo) e a pagina 82 (l’arrivo di una torta di compleanno con i festanti di fronte al festeggiato). Per quanto impostate a riprodurre situazioni meno immediate e spontanee di quelle rese da altri scatti, rendono evidente l’efficacia della comunicazione attraverso l’elemento comune (riconducibile alla funzione delle maschere del teatro greco) del volto dall’espressione serena improntata a un dolce sorriso.
- La narrazione poetica diventa potente e fluida come un ruscello di montagna nel ritmo e nella musicalità della lingua dialettale che è la cifra della poetessa. Ritmo e musicalità imprimono nella rappresentazione pennellate che rendono plastica la funzione della parola: il procedere dei versi rende pienamente conto dello stupore di fronte a una vera epifania. E nell’effetto di potenziamento moltiplicativo vedo la ricchezza di questo volume.
- Le immagini svelano tutto senza bisogno di parole e queste ultime sono efficaci nel rendere conto della magia della comunicazione quasi come se descrivessero la realtà, che nel suo divenire si ricrea di fronte a noi che leggiamo. Messe insieme queste due modalità si potenziano e rendono efficacemente il contenuto: tutti abbiamo messaggi comunicativi preziosi e unici; quando facciamo fatica a capire il nostro interlocutore dovremmo uscire dal pregiudizio che sia lui a non avere nulla da dire o incapace di esprimersi chiaramente. Siamo noi che dovremmo cambiare posizione di ascolto e chiedere cosa potrebbe favorire l’espressione e la condivisione di quel qualcosa.
- Tra piedini che dicono la paura, mani congiunte che dicono il pudore, mani serrate con le dita intrecciate che dicono il coinvolgimento e braccia avvolte al collo che dicono gratitudine sia il fotografo che la poetessa sanno esprimere chiaramente la posizione degli operatori. Se non fosse chiaro ce lo facciamo dire dalle pagine 64 e 65, ove evidenti sono i riferimenti all’intervento riabilitativo che viene assimilato all’approccio kintsugi:
A olte, a olte el rot A volte, a volte il rotto
el pöl eser giöstat. Può essere riparato.
A olte el segn el resta: A volte il segno resta:
chí l’era spacat. qui era spaccato.
Ma quala grasia Ma quale grazia
el segn mia scancelat: il segno non cancellato:
grasia la crepa grazia la crepa
che l’or el gh’à sanat che l’oro ha sanato
segn de l’artista segno dell’artista
che ‘l gh’à rimes le ma che ci ha rimesso le mani
nel vas presius nel vaso prezioso
che ‘l vé riconsegnat. che viene riconsegnato.
O ancora dalle pagine 56 e 57 nelle quali foto e testo esprimono chiaramente il concetto che le professioni di aiuto non possono essere “solo lavoro”.
Picole e picui Piccole e piccoli
a scöla chí – chí a zöga a scuola qui – qui a giocare
a curer ensema a correre insieme
vers i vòs dumà. verso i vostri domani.
Lur i ve cüra Loro vi curano
per en pusibol per un possibile
dré a paicias. che si sta preparando.
I occ nei occ Gli occhi negli occhi
del vòs miraf el dis: del vostro scrutarvi dice:
sarif mai e mai sif stacc non sarete mai e mai siete stati
apena en só laurà. solo un loro lavoro.
Il filo srotolato. Autismo tra fotografia e poesia, di Franca Grisoni, Adriano Treccani, Morcelliana, 2021
Paolo Maria Manzalini (Napoli 1963) medico, psicologo clinico, psicoterapeuta si occupa di cura e riabilitazione psichiatrica dal 1992, prima in contesti residenziali e da dieci anni in contesti territoriali. Attualmente Responsabile della Struttura Semplice dell’Area Territoriale Psichiatrica della ASST di Vimercate. Promotore con l’Equipe del CPS di Vimercate della rassegna Far Rumore – Azioni per la salute mentale. Da sempre attento alla parola come fondamento dell’incontro e della comunicazione tra gli umani, negli ultimi cinque anni ha ripreso ad approfondire l’espressione teatrale e ha preso parte alla edizione 2017-18 del Corso di TeatroPoesia condotto da Domenico Bulfaro presso il Teatro Binario 7 di Monza. Responsabile Comitato Scientifico di Lì sei vero – Festival Nazionale di Teatro e Disabilità.
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