Poetry Therapy Italia

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Come mai la poesia, arte poco frequentata dai più, entra nelle pratiche di mindfulness in maniera regolare? Quali sono le connessioni? E ci sono criteri per scegliere testi, autori? In questo articolo si esplorano le relazioni sottese cercando di liberare da compiti ingrati sia la mindfulness che la poesia.  

Mindfulness in italiano lo traduciamo con consapevolezza ma l’inglese ha anche il lemma awareness che pure viene reso con consapevolezza. Entriamo quindi a fare visita a queste parole sorelle e vediamone somiglianze e differenze per poi familiarizzare col corteo di parenti che ci presentano, tra cui troviamo anche la poesia. Mindfulness è parola adottata dalla psicologia soprattutto a orientamento cognitivista ed è la traduzione ritenuta più vicina al termine pāli sati, che nel buddismo designa la retta presenza mentale, la retta consapevolezza. Essa è un riferimento sostanziale nell’elaborazione del protocollo di riduzione dello stress a opera di Jon Kabat- Zinn, il Mindfulness Based Stress Riduction (MBSR), di cui sono parte costitutiva la pratica meditativa e l’esercizio di presenza mentale. Awarness, invece, è più appropriato tradurlo con coscienza o, ancora meglio, coscientizzazione. Basti riportare alla mente le titolazioni di campagne di sensibilizzazione verso problematiche civili, medico sanitarie, etiche (awareness month for…, awareness week for…). Ha, quindi, un afflato più sociale, collettivo che personale, soggettivo.

Kabat Zinn ha elaborato un protocollo che può essere proposto a chiunque, al di fuori da vincoli religiosi. Egli è un profondo conoscitore del dharma (insegnamento spirituale buddista) e dallo studio e dall’osservazione delle pratiche meditative ha tratto il nucleo della formalizzazione del protocollo, ma nel suo libro più noto[1] dice che la parola dharma ricorre appena quattro volte nel volume e, io aggiungo, da nessuna parte egli fa una teoria sulla poesia tranne citarne alcune nel testo in momenti a mio avviso decisivi. Ma scorrendo la bibliografia a corredo del volume, egli cita ben sedici libri di poesia, di autori provenienti da varie epoche e parti del mondo. Dunque, la pratica di mindfulness non è una tecnica, è esercizio meditativo che ha come suo costrutto di base l’intenzionalità e il sapere esattamente cosa si sta facendo già nell’atto del puro e semplice respirare sino ad arrivare a una presenza attenta, gentile. La meditazione di mindfulness non è giudicante, decostruisce senza passare da processi di mentalizzazione la nostra visione del mondo, ci restituisce una possibilità nuova di guardare a noi e alla realtà al di fuori. A me pare che questo processo molto si avvicini a un percorso di elaborazione creativa e, per come la intendo io, poetica soprattutto. Quindi, alla base della questione ci sarebbe una risonanza metaprocessuale, ovvero la poesia come atto di estrema attenzione, consapevolezza del percorso e aggregato di elementi cognitivi ed emotivi.

La domanda che Kabat Zinn invita a farsi : “qual è il lavoro che sto facendo e come posso farlo al meglio nelle circostanze in cui mi trovo?”[2] è quella che ogni poeta si fa, o dovrebbe farsi, per essere sicuro di non cadere nella consuetudine, nell’automatismo della scrittura, affezionati a proprie poetiche, strutture. Giorgio Manacorda scrisse: “una poetica è mortuaria se diventa un prontuario, un ricettacolo, un esercizio”[3] e così è la vita se ne frequentiamo le forme, gli involucri della convenzione che sotterrano la nostra essenza. Ma c’è ancora dell’altro, durante la meditazione non si cerca la trasformazione in lingua di quello che sentiamo, pensiamo, anzi si tenta di lasciare andare il logos nei termini in cui abitualmente lo intendiamo per toccare una conoscenza non mediata. Il modo in cui ognuno di noi utilizza lingua, linguaggio e parola sono frutto dell’inevitabile condizionamento che tutti ci riguarda ma che non è destino immutabile.

Le pratiche di mindfulness non ambiscono al raggiungimento di alcuno stato mistico in cui il silenzio sia un approdo esistenziale quanto a una consapevolezza che riguardi la completezza della nostra vita o, più modestamente, momenti della nostra vita progressivamente sempre più consapevoli, liberati dalla meccanicità di azione e reazione. Essere presenti a quello che si dice, a quello che si pensa e si dice, a come lo si dice, alla necessità di dirlo. Mi sembra che non ci sia cosa più vicina a questa della poesia. Una poesia, quindi, esprime, a chiusura di una pratica, un processo attraverso cui tornare in contatto col linguaggio. Sappiamo che quello che è importante nella vita richiede lavoro, impegno ma il lavoro intenso non significa sofferenza. Può anche essere piacevole nei termini in cui è salutare per l’espressione di noi, del nostro potenziale. Un mestiere soggetto allo sfruttamento materiale, economico, ad esempio, comporta di sicuro molta fatica per la persona che lo compie ma difficilmente sarà piacevole, salutare perché mortifica la dignità e dove c’è avvilimento è difficile esprimere il proprio potenziale. Mi sia consentito questo paragone materialista ma sono molto distante da approcci new age alla mindfulness. Peraltro non sono una terapeuta e quindi sono molto centrata su una pratica che è orientamento alla consapevolezza, all’apertura, all’attenzione gentile, all’accoglienza dell’imprevisto.

Ma, tornando alla poesia, se sono più che convinta che essa riconduca in modo subliminale a un processo di attenzione nella e per la lingua e solleciti la nostra intelligenza emotiva, non sono affatto convinta che possiamo chiamare poesia tutto quello che viene proposto da libri, manuali, tutorial on line quali testi da leggere a fine sessione di meditazione. Antonella Comellato, esperta e didatta di MBSR, parla acutamente dell’esistenza di una “pink mindfulness” riferendosi ad approcci che accolgono suggestioni divergenti dagli insegnamenti protocollari e qui capita di incontrare quella che io chiamo “pink mindfulness poetry” ovvero il ricorso a testi che non hanno molto a che fare con quanto io definisco poesia.

La poesia, dice Mariangela Gualtieri, è “dono per gli attenti”, è frutto di lavoro, impegno, non cedimento alla facile ispirazione, non è descrizione ma spostamento di percezione, ribaltamento di visione. Nell’eccedenza di verità che la poesia porta con sé noi determiniamo la possibilità di muovere la nostra relazione col mondo e con noi stessi ampliandone confini, toccandone limiti, rigenerando significati. Non è “la verità” il terreno della poesia, ma la sua eccedenza. Se si scrive che il cielo è blu e il sole luminoso non abbiamo dato al mondo nulla che già non gli appartenga e questo non va confuso con l’eccentricità a ogni costo.

Tomas Tranströmer scrive[4]:

Guarda, sto seduto
come una barca sulla riva.
Qui sono felice.

nell’accostamento di elementi a noi noti, comuni ma colti in una loro sotterranea relazione, viene raggiunta qualcosa che non era evidente e viene restituita al mondo, arricchendolo. E questo è quanto facciamo in un percorso meditativo. Non prendiamo qualcosa di noi che già non si abbia, ma la tocchiamo e la riportiamo nel mondo vivificata. Ecco che, a tali condizioni, la poesia nella pratica di mindfulness, riporta nel linguaggio l’esperienza che abbiamo toccato meditando e la consolida. Non ho mai usato la locuzione “vera poesia” perché la trovo una contraddizione. Esiste la poesia e la scrittura talora in versi benché come sappiamo, non è l’andare a capo che costituisce un verso. Una poesia nasce da attenzione, ascolto, elaborazione, distrazione, ricominciamento, intenzionalità e se leggiamo un testo che ha in sé queste qualità a fine pratica, la nostra possibilità di essere essere mindful, è molto sostenuta. Inoltre, la poesia è il regno dell’imprevisto che non è assolutamente l’effetto sorpresa – verso cui non ho alcuna affezione – ma è l’atto stesso dell’esistere che è imprevedibile e, quindi, in questo senso mindfulness e poesia si sostengono in una esperienza di possibile libertà.

[1] Jon Kabat Zinn, Vivere momento per momento, Tea, 2010, Corbaccio 2019.

[2] Ibidem, pag. 516.

[3] Giorgio Manacorda, Per la poesia. Manifesto del Pensiero Emotivo, Editori Riuniti, 1993., pag.31.

[4] Tomas Tranströmer, I ricordi mi guardano, Iperborea, Milano,2011.

Mariella De Santis, Biografia
Nata a Bari in un raro giorno di neve del 1962. Vive tra Roma e Milano. Il suo primo libro di poesia esce nel 1993, a seguito della segnalazione al Premio Internazionale Eugenio Montale. Ha pubblicato libri di poesia e testi di prosa, saggistica e teatrali, correntemente rappresentati. Collabora con radio nazionali ed estere, case editrici, compositori e artisti. È tradotta in arabo, inglese, croato, rumeno e tedesco. La cordialità uscito nel 2014 (NOMOS Ed.), in edizione bilingue con traduzione in inglese di Anthony John Robbins, raccoglie il lavoro di ricerca poetica degli scorsi otto anni e nel 2015 è stato ripubblicato per la terza volta Vinerotiche e altre delizie ( LEGGEREDIZIONI). Ha ideato, redatto e codiretto di diverse riviste tra le quali: Manocomete, Il Monte Analogo, Smerilliana. Attualmente si occupa di Dromo, rivista per un terzo pensiero che mette in dialogo professioni, cultura, attualità. È istruttrice di mindfulness.