Un libro appena uscito per San Paolo edizioni, scritto da Elisa Veronesi e Paolo Maria Manzalini, traccia l’identikit delle paure contemporanee e di quelle più radicate nell’essere umano. Un viaggio alla scoperta di un sentimento non sempre inquadrabile come qualcosa di negativo, un manuale per affrontarlo con serenità tra letteratura e indicazioni scientifiche.
A Disneyland, negli Stati Uniti – ma vale pure per Gardaland, Mirabilandia, o qualsiasi parco divertimenti al mondo – le file più lunghe si creano di fronte alle attrazioni più spericolate, le montagne russe o ancora, il castello infestato dai fantasmi. Il bisogno di ricreare “artificialmente” la paura coinvolge anche il mondo degli adulti, in cerca di “emozioni forti” attraverso la lettura di libri o la visione di film. Nel libro Vivere la paura, un capitolo è dedicato proprio a questo tema: vi sono moltissime persone che cercano le emozioni forti in ogni momento della loro vita.
Visitare i castelli degli eroi della mia infanzia - Biancaneve, la Bella Addormentata… – è il risveglio di un’emozione ancestrale, di una paura che tengo seppellita nella memoria. Ricordo ancora con terrore la prima volta che vidi il braccio lungo disteso di Biancaneve, con la mela rossa che cadeva scivolandole dalla mano. Una scena davvero da film horror, difficilmente replicabile in un film per bambini oggi: ma forse la paura è l’ingrediente necessario, pur se calibrato, di qualsiasi storia per l’infanzia.
Hollywood Forever, cimitero di Los Angeles. Dopo un picnic tra le tombe, scenario già piuttosto macabro, assistiamo alla visione degli Uccelli di Hitchcock, film che ho visto mille volte e che ogni volta mi spaventa come la prima volta. L’angoscia, l’atmosfera di terrore che gli uccelli incutono con scene più o meno crude, viene guastata dalle grasse risate dal pubblico evidentemente poco avvezzo a film datati e ormai disincantato, assuefatto dagli effetti speciali dei film contemporanei. Mi viene il dubbio che quelle risate, però, siano anche un modo per esorcizzare la paura: mostrarsi spavaldi per non temere l’altro. È il primo film apocalittico della storia; la protagonista, Tippi Hedren, dovette fare delle pause durante le riprese, perché troppo stressata dagli uccelli, anche da quelli meccanici.
L’elenco di esperienze paurose che una persona può avere in modo artificioso potrebbe continuare all’infinito. In generale, la lettura di un libro, la visione di un film, un viaggio in un luogo sconosciuto potrebbero tutti rappresentare una ricerca del sentimento della paura, una immedesimazione.
La paura la si può vivere a Istanbul, megalopoli asiatica tentacolare; ma quando si comprende la sua varietà e soprattutto l’umanità che si cela sotto quel caos da suk mediorientale, si può entrare nello spirito del luogo e superare felicemente quello quello choc.
Ho avuto paura – una sensazione di non essere in un posto sicuro – a Bitonto, dove i turisti vengono squadrati da capo a piedi perché considerati di troppo, in una città in cui la settimana dopo la mia visita spararono a un anziano con i due nipoti sul motorino. Capii che quella paura non era casuale, ma soggiaceva i vicoli di quel centro – pur meraviglioso – perché il pericolo poteva esplodere da un secondo all’altro, da una settimana all’altra.
E più recentemente, ricordo con un mix di curiosità e spavento il mio tragitto in metro e a piedi attraverso Los Angeles: la paura che ho provato, sola in strade frequentate unicamente da clochard e da ricchi in carriera, una paura che al tempo stesso mi ha aiutato a capire una cultura molto diversa dalla nostra, e ad affrontarla.
Se guardiamo alle etimologie delle due parole paura e coraggio, paura è piuttosto chiaro: dal latino pavorem, formato su paveo, ovvero “temo”, e pronominale “sono percosso, sono abbattuto”. Mentre coraggio è più articolato: dal provenzale coratge, francese antico corage, deriva dall’antico coraggio, derivato da coraticum, in cui il prefisso cor indica, appunto, il cuore. L’etimo, spesso, dà preziose indicazioni: il cuore, quindi, che nella cultura occidentale batte più forte quando è sottoposto a uno stress, o che è al centro dei sentimenti più nobili, quali l’amore o la bontà, è sin dall’antichità il simbolo del coraggio; si pensi anche al “cuor di leone”, appellativo di Riccardo I d’Inghilterra: il cuore è il nome del coraggio, essendo il coraggio di un leone che viene attribuito al re britannico nel combattere.
Il cuore, quindi, funge da anello tra la paura e il coraggio di compiere determinate azioni.
Dare un nome alle cose aiuta nella ricerca spasmodica di un senso a questi sentimenti umani e animali, ancestrali e vivissimi anche in una società strutturata come la nostra. Vivere la paura, che traccia i confini di questa emozione da diversi punti di vista possibili, è una guida che può dare conforto in un momento di difficoltà – di paura, anche – e far capire come istintivamente esseri umani e animali sono in grado di reagire alla situazione di pericolo. Vi si tracciano inoltre le differenze ambientali e sociologiche tra i mammiferi, con gli uomini in grado di adattarsi a diversi ambienti, a differenza degli animali, che vivono habitat più circoscritti. Un capitolo è dedicato alla paura nell’infanzia e a come fornire l’accudimento ai figli per consentirgli una crescita sana che gli permetta di affrontare serenamente le proprie paure; si prosegue con le paure adolescenziali, ansie, traumi, evitamenti, per arrivare alla cosiddetta paura derivata.
Non ho mai vissuto in prima persona una situazione pericolosa o minacciosa collegata a un tragitto in treno, ma non è difficile comprendere che si tratti di una paura derivata. Cioè di una paura che non è collegata direttamente a un pericolo già sperimentato o presente oggettivamente di fronte a noi. Al contrario si tratta di una paura che si fa sentire, viva e reale, perché ricavata da informazioni riferite a situazioni altre, che il nostro cervello mette insieme e collega alla situazione nella quale ci troviamo. Questa è una capacità tipica dell’essere umano, che ci differenzia dagli altri animali. Questi ultimi di solito attivano i circuiti della paura solo quando si trovano di fronte a un pericolo o a una minaccia effettivamente presente.
Questo particolare fenomeno non riguarda solo l’essere umano che vive nella complessità del mondo odierno. Zygmunt Bauman inquadra bene questo concetto della paura derivata e cita un autore francese, Lucien Febvre, che descrive in modo molto efficace il clima di paura diffuso nel quale vivevano i nostri simili nell’Europa del Millecinquecento, cioè proprio prima che si aprisse l’età moderna. «Paura sempre e ovunque»16 era il vissuto collegato al buio che avvolgeva il mondo attorno alle case, soprattutto nelle campagne. Nell’oscurità tutto poteva accadere, ma non era possibile sapere cosa sarebbe successo e quando.
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L’uomo post-moderno, proprio per il fatto che ha visto frantumarsi le aspettative e le speranze di controllo sui fenomeni naturali e sociali, sembra ripiombato a fare i conti con paure che lo avvolgono.
La vicenda della pandemia da SARS Covid-19 non solo ha fatto salire vertiginosamente le preoccupazioni inerenti la nostra incolumità fisica, ma ha evidenziato la fragilità del costrutto di libertà assoluta. La limitazione degli spostamenti e l’esperienza della forzata permanenza tra le quattro mura domestiche hanno amplificato lo spaesamento e la fragilità che sono insite nei miti della totipotenza della globalizzazione. In realtà uno degli effetti più potenti conseguenti a questo biennio di regole e di limitazioni sta nel fatto che si è mostrato in modo evidente e amplificato uno dei nodi critici per gli uomini di oggi. Il riferimento è al profondo rischio di ritrovarsi soli, a dispetto della vorticosità degli scambi e delle interazioni apparentemente rese più facili dalla tecnologia e dalle nuove modalità di comunicazione.
Da questo stralcio si comprende che l’emozione della paura è connessa profondamente con la società, con le aspettative altrui e proprie dell’essere umano, nonché con il contesto storico che si sta vivendo: quello attuale è illusorio, figlio di un certo positivismo tecnologico e scientifico del XIX secolo, e ci porta a pensare che la paura sia solo negatività e che la morte sia un evento imperscrutabile e il più possibile allontanabile.
La negazione e lo spostamento [del Covid-19, ndr] probabilmente hanno a che fare con le difficoltà dell’uomo post-moderno a fare i conti con la morte e a trovare un giusto equilibrio rispetto ai concetti di limite, di onnipotenza. La spinta prepotente a una deriva di individualismo porta a un netto spiazzamento quando il limite si impone e quando si è costretti a ridimensionarsi rispetto all’invincibilità e alla convinzione che non ci siano limiti alla propria autodeterminazione.
Con una lucidità e una scientificità davvero necessarie in questa epoca post pandemic,a ma anche di grandi stravolgimenti geopolitici mondiali, di guerre e di cambiamenti climatici – tutte condizioni che alimentano globalmente una sensazione diffusa di paura – , il volume porta a riflettere su fenomeni sociali e culturali, dando alla protagonista indiscussa degli ultimi due anni contorni diversi, e aiutando il lettore a orientarsi nel proprio, per vivere più serenamente l’esistenza e aiutare gli altri a fare altrettanto.
Non mancano riferimenti letterari, da Dante a Munch passando per Albert Camus e la sua Peste, tornata in auge nel marzo del 2020 per evidenti motivi. Al di là dell’istintività nel ricercare un certo tipo di letture – o di visioni, o di ascolti – anche l’industria culturale riflette, come sempre e da sempre (come nei riferimenti dei film all’inizio di questo articolo) un certo modo di affrontare, conoscere, relazionarsi con il sentimento più vivo e ancestrale che anima la storia e il vissuto umano.
Vivere la paura. Un viaggio nell’emozione più antica e potente, di Elisa Veronesi e Paolo Maria Manzalini - Edizioni San Paolo, Milano 2022
Anna Castellari Nata in Friuli, ha studiato traduzione e interpretazione all’università di Trieste, si è laureata in spagnolo con una tesi-traduzione di un libro per adolescenti, Violeta en el País de Nunca Jamás, di María Eleonora Sánchez Puyade, e si è trasferita a Milano per amor dei libri. Appena arrivata si è unita all’associazione Mille Gru e ha iniziato a muovere i primi passi nell’editoria per l’infanzia come redattrice e traduttrice. Dal 2016 insegna – presso la struttura carceraria di Bollate – francese e spagnolo nelle scuole superiori. Nella scuola tenta di applicare una didattica “umanistica” e umana, in cui l’alunno è al centro e l’insegnante è un suo accompagnatore nella conoscenza e nell’educazione. Per Mille Gru si occupa della parte editoriale per l’infanzia, rivede le bozze dei libri, cura i contenuti web e social, di laboratori con i bambini, nei centri di cura e nelle biblioteche.