Poetry Therapy Italia

casiraghy 36

L’articolo intende presentare un esempio di poesiaterapia ad orientamento psicofisiologico, secondo l'approccio di Vezio Ruggieri; è esposto per sintesi uno dei possibili interventi, effettuato attraverso la selezione di alcuni versi della Divina Commedia legati alla discesa agli inferi e all’ascesa verso le sfere celesti della beatitudine.

L’allegoria secondo l’approccio psicofisiologico di Vezio Ruggieri ha una concreta matrice esperienziale corporea.
In questo lavoro ci si è concentrati sul cedimento muscolare verso il basso come accondiscendenza all’esperienza di peso, che a sua volta attiva i meccanismi riflessi del rimbalzo tonico antigravitario, che favorisce a sua volta l’esperienza di slancio verso l’alto, premesse a una reazione che crea piacere narcisistico. Si tratta di vissuti legati all’esperienza del cedimento del peso corporeo e alla possibilità che ha l’essere umano di gestirlo in un continuum che va dal massimo controllo (contrattura) all’assenza di controllo (ipotonia muscolare). Tali stati muscolari dipendono dalla storia individuale e dai suoi compromessi posturali per occupare uno spazio nel mondo.
Cedere ed elevarsi sono così due poli di un ritmo di tensione e detenzione, alla base del benessere psicofisico dell’individuo perché l’abbandono delle tensioni presuppone una ristrutturazione delle logiche tensive posturali. Il “lasciarsi andare” ruota attorno all’esperienza protomentale della fiducia e dell’appoggio su cui si basa l’intero sviluppo maturativo narcisistico della persona.
La decodificazione micro-imitativa della poesia crea un rapido squilibrio che crea piacere narcisistico. In questa esperienza di poesiaterapia, come Dante, guidati da Virgilio e da pochi versi delle tre cantiche, si esplora la possibilità di abbandonare, sia con rapidi squilibri che con progressive e lente sequenze, il controllo emotivo e cognitivo verso la conquista di più ampi spazi di libertà e di leggerezza. In termini ritmico-gestuali il percorso della Divina Commedia può accompagnare e sollecitare sia vissuti di immediata restituzione estetica che vissuti legati ai primi anni di vita che vanno dall’appoggio-fiducia alle braccia della madre e dei punti di sostegno, all’esplorazione dell’ambiente mediante gattonamento e sollevamento in piedi verso la deambulazione, il cadere e rialzarsi e infine correre e saltare. Tali esperienze, bloccate per svariate vicissitudini nella storia evolutiva individuale, possono compromettere il processo di individuazione nonché aspetti nucleari dei ruoli e delle professioni di aiuto.

Ed è proprio su tali vissuti evolutivi che questo laboratorio di poesia terapia dantesca prova ad intervenire.

 

In questo lavoro ho cercato di dosare aspetti nucleari teorici della poesiaterapia con alcuni esempi di applicazione clinica. Come è ormai chiaro, tanti sono gli usi clinici e i presupposti teorici delle poesia-terapie. Il prezioso libro Poetry therapy. Teoria e pratica (Mazza, 2019) traccia la rotta di questa acclarata pratica terapeutica. Ed è chiaro, ancora prima delle meta-concettualizzazioni, che anche il più legittimo degli usi della poesia – scriverla e leggerla – possa essere una straordinaria strategia empirica fortemente vantaggiosa sul piano esistenziale. I poeti stessi sono spesso testimoni consapevoli dell’uso salvifico del loro scrivere in versi. Salvifico, inevitabile, terapeutico o costruttore di senso. Forse perché alla base della poiesis c’è la fondamentale tendenza umana del dare una forma accettabile a ciò che non esisteva prima, a ciò è informe e ambiguo, sconosciuto o angoscioso. La riflessione potrebbe ampliarsi in questa direzione e procedere per suggestioni che ci porterebbero lontano; qui invece mi soffermerò su alcuni passi poetici mostrandone l’utilizzo clinico guidato secondo l’approccio teorico psicofisiologico, il quale apre interessanti scenari ipotetici sul perché e sul come la poiesis possa contribuire alla cura trasformativa della persona a partire dal significato di esperienza estetica e del dare forma a esperienze emotivamente conflittuali.

Un articolo non può essere esaustivo su questa tematica ma cercherò di fornire alcuni passaggi teorici chiave e contemporaneamente alcuni esempi di intervento di poesiaterapia con l’auspicio che possano fornire spunti di dialogo interdisciplinare.

Ho scelto di raccontare un’esperienza di ascolto poetico, perché in generale si pensa all’arte terapia in termini di produzione artistica sottovalutando invece il potere terapeutico dell’usufruire di arte. E tra i tanti ascolti possibili (Della Giovampaola, 2012) ho scelto un lavoro su alcuni passi della Divina Commedia anche per onorare il settecentesimo anniversario dalla morte del Sommo Poeta. Tanti sono i motivi per cui ognuno di noi sceglie ancora oggi di leggere Dante, che come dice il dantista Marco Grimaldi (2017) può per motivi politici, religiosi, filosofici, essere considerato ancora nostro contemporaneo.

Perché e come una poesia può contribuire alla cura di un disagio psichico e organico?

La riflessione filosofica nel campo dell’estetica parte dal presupposto che stimoli sotto forma di codici estetici, canoni ecc., creino un certo tipo di vissuto cognitivo ed emotivo in colui che li decodifica. Ma per usare un oggetto artistico come strumento di cura, come un bisturi cioè, un farmaco o un colloquio clinico, c’è bisogno di comprendere più a fondo il come l’arte possa agire in maniera specifica sul singolo individuo e sul suo disagio, e per far questo c’è bisogno di una griglia teorica che apra ipotesi a sviluppi di ricerca e di intervento clinico a partire da che cos’è un’emozione per giungere a comprendere lo specifico dell’emozione estetica (Ruggieri, 1997).
La nostra ipotesi di partenza ampiamente dibattuta e dimostrata sul piano scientifico (Ruggieri, 1988) è che vi sia una relazione tra le emozioni e l’attività dei muscoli. Le emozioni (dolore, piacere, rabbia, paura, sorpresa, gioia ecc.) secondo una rivisitazione del modello di James e Lange (Ruggieri, 1988) sono complessi pattern di risposta a stimoli detti appunto emotigeni che possono essere esterni (eventi sensibili provenienti dal mondo esterno) o interni (immagini autoevocate). Tali stimoli agendo sui sistemi cerebrali ipotalamico-limbico, produrrebbero un’attività motoria mimico-espressiva caratterizzata da variazioni di tensioni toniche muscolari. Il sentimento risulterebbe quel particolare tipo di vissuto generato dalla decodificazione di queste variazioni tonico-muscolari che vengono re-afferentate al sistema nervoso centrale e percepite in senso unificato dal soggetto (Persico, 2016). Secondo questo approccio il sentimento è un pezzetto dell’emozione, cioè quel particolare vissuto preparatorio del comportamento emozional-istintivo nel suo insieme; quell’esperienza soggettiva e soggettivante che nasce dalla dinamica muscolare, che è percepita dall’Io e che è in grado di modulare il comportamento dell’Io stesso. Si comincia a comprendere dunque che se le emozioni passano dai muscoli, allora anche un’emozione scaturita dall’ascolto di una poesia passa dai muscoli. E se gli stessi muscoli sono coinvolti in processi patologici psichici o organici come può essere un mal di schiena allora l’ascolto di un verso può coinvolgere gli stessi muscoli operando una sorta di micro-assestamento muscolare. E se i versi sono scelti nell’ottica della comprensione eziopatogenetica di quello specifico mal di schiena in quello specifico soggetto allora potremmo usare una poesia come un bisturi!

Perché è così importante ai fini della poesiaterapia comprendere la natura muscolare dell’emozione e del sentimento?

Perché la decodificazione imitativa (vedi dopo) tocca la sfera emozionale positiva o negativa che si ricompone nel piacere soggettivo.
Perché i vissuti emotivi nella loro inibizione o nella loro espressione disfunzionale hanno una matrice corporea e l’Io stesso, come livello funzionale “superiore”, insieme alla coscienza è generato dal corpo. Il pensiero come il pensiero linguistico e il linguaggio sono funzioni che nascono dalla coordinazione della struttura corporea. Funzioni che a loro volta tramite meccanismi cerebrali a feed back sono in grado di modulare la periferia corporea in un processo dialettico di continua circolare astrazione (dal corpo al Sistema Nervoso Centrale) e decodificazione periferica (Ruggieri, 1988).
La parola si inserisce in questo contesto come uno stimolo in grado di sollecitare specifici processi sensoriali, cerebrali rappresentazionali (immaginazione) e posturali. Sarebbe attraverso il corpo che l’Io trasforma lo stimolo (la parola, il verso, la metafora, il ritmo prosodico ecc.) in esperienza vissuta connotandola sul piano emotivo. Lo stesso corpo e gli stessi muscoli che in dinamismo con i processi immaginativi danno struttura, attraverso gli atteggiamenti posturali, all’identità e che nel contatto con stimoli adeguatamente significativi (come quelli artistici per le loro caratteristiche archetipiche e protomentali) si può ridefinire, cioè modulare adattivamente superando i suoi eventuali blocchi psichico-fisici. Un verso può essere capace di stimolare leggerezza anche laddove c’è una difesa muscolare depressiva per esempio (per approfondimenti vedi le considerazioni di Ruggieri sulle Lezioni americane di Calvino, in Ruggieri, 1997). Un verso, o meglio dovremmo dire il contatto con un verso, può rendere possibile un’esperienza di dolore o di sublime. Permettere un gesto, creare un immaginario di possibilità, dare voce ad un sentimento inibito ecc. L’esperienza estetica si basa appunto su quell’emozione estetica che sperimentiamo se si riesce ad entrare in contatto con l’opera d’arte che è in grado per la sua natura di rappresentare uno starter emozionale non ordinario. L’operatore di poesiaterapia dovrebbe avere gli strumenti per creare questa mediazione che favorisca il contatto con l’opera. Vedremo come.

I dati sperimentali di una ricerca dal titolo Visual decodification of some facial expressions trought microimitation (Ruggieri, Fiorenza, Sabatini, 1986) evidenziarono, in tempi non sospetti ancor prima dell’avvento dei neuroni mirror, che l’osservazione di uno stimolo visivo in cui era rappresentata l’immagine del volto di una bambina nell’atto di fare delle smorfie produce nell’osservatore un’attività muscolare dei muscoli facciali. Un’attività miografica, non visibile ad occhio nudo, negli stessi muscoli coinvolti nella smorfia della bambina evidenziava la messa in atto di una vera e propria decodificazione imitativa dello stimolo. Si evidenziava cioè la capacità di processare attraverso i sensi (nel caso della ricerca lo stimolo era visivo) e i meccanismi della percezione attiva, una ricezione dello stimolo che a sua volta sollecita le aree encefaliche specifiche (ipotalamo, sistema limbico, insula) in grado di produrre variazioni della periferia corporea modulando il tono muscolare di base. Tale modulazione è quella che poi attraverso un meccanismo a retroazione genererebbe quello che abbiamo visto sopra essere il sentimento. Questo sentimento verrebbe in ultima battuta proiettato dal soggetto sullo stimolo percepito. Tale scoperta, come dimostrato più diffusamente dall’esistenza di neuroni mirror è alla base dell’empatia in quanto il soggetto percipiente vive – micro-imitandola – l’esperienza percepita dall’esterno di Sé riscrivendola nel proprio ordine psicofisico.

Con questi primi strumenti ci possiamo avvicinare alla comprensione dell’uso molteplice che si può fare di un verso. Come evidenziato da altre ricerche, ogni metafora è metafora concreta, descrittiva di precisi stati psicofisici (per approfondimenti vedi ricerche di Ruggieri sul linguaggio sintetizzate in Della Giovampaola 2019 https://www.analisi-reichiana.it/psicoterapiaanaliticareichiana/index.php/32-rivista/numero-1-2019/302-le-radici-esperienziali-corporee-del-linguaggio ).

La Divina Commedia: un canovaccio per la poesiaterapia

La Commedia di Dante a cui Boccaccio attribuì l’aggettivo di Divina è da un punto di vista psicoanalitico (Widman, 2021) un poema simbolico perché contiene vicende psichiche dell’uomo in un percorso analogico di elevazione che è metafora del processo di individuazione.
Metafora, come sostiene Widman di un percorso evolutivo esistenziale in cui è presente una similitudine tra i tre mondi dell’aldilà e le segmentazioni della organizzazione psichica (inconscio, preconscio e conscio) ma al di là della interessante suggestione, che significa? È possibile tradurre questi concetti facendo i conti con il nostro secolo e la nostra esigenza epistemologica scientifica? In accordo con la concezione Junghiana che l’esperienza simbolica sia viatico di trasformazione psichica abbiamo voluto porre attenzione sulla concretezza di questo processo! Quindi sì, condividendo la discesa agli inferi come quell’accesso all’inconscio ecc., ma ridefinendo quale via d’accesso all’inconscio la corporeità nelle sue esperienze deambulatorie evolutive.
Il lavoro che andrò sommariamente a descrivere si svolge in un gruppo di formazione di 16 persone, per lo più operatori sanitari, nell’arco di 5 incontri della durata di 2 ore ciascuno. In altri lavori abbiamo approfondito tematiche legate ai vari cerchi, alle pene, alle virtù, al ritmo dell’endecasillabo, ecc. Qui invece mi interessa per dare una visione d’insieme delle tante possibilità, affrontare il discorso del percorso di discesa agli inferi per giungere all’elevazione, come metafora concreta in cui osserveremo come per elevarsi sia necessario scendere. Il lavoro si svilupperà in tre tempi scanditi da livelli motori evolutivi delle fasi infantili precoci:

  • strisciare/gattonare
  • alzarsi in piedi/camminare
  • correre/saltare

Smarrirsi nella selva oscura

Come in molte narrazioni che hanno attraversato i Popoli e la Storia rimanendo sempre attuali, anche nella Divina Commedia ci si perde nel bosco di notte. La selva oscura è il luogo in cui incontriamo Biancaneve che il servo non ha avuto cuore di uccidere, Hansel e Gretel abbandonati con l’inganno, Cappuccetto Rosso per incontrare il Lupo, la Bella Addormentata per rinascere. Anche qui ci si trova smarriti, l’intelletto non ha più potere, è buio. È l’anticamera dell’Inferno, quella cantica che Widman analogicamente interpreta come regno dell’inconscio, non ancora differenziato dalla coscienza, ovvero “una coscienza allargata dai contenuti inconsci” (Widman, 2021).
Questa condizione di predominio di contenuti inconsci equivale, proprio per la loro natura inaccettabile, al luogo del malessere. Quello in cui ci si trova, ad un certo punto della vita, quando la maturità ridefinisce le certezze della giovinezza; quando viviamo un lutto, un abbandono, una delusione, un terremoto, un trasloco, la perdita del lavoro, un nuovo innamoramento inatteso che intralcia l’ordine precedente, una malattia, la scoperta dell’orientamento sessuale, l’amore, l’invecchiamento ecc.. Qui tutto ciò che era ordinario perde significato e non si comprende più niente. È spesso anche la condizione di quando si chiede aiuto. Come ci insegna ogni sapere umano codificato: accettare lo smarrimento è il primo difficile lavoro da fare, perchè spesso le resistenze, a tutela dell’angoscia di frammentazione dell’Io, non concedono di vivere il senso di smarrimento. Spesso il disagio è legato proprio a questo paradosso, al tentativo dispendioso di non abbandonarsi alla sofferenza. Dante allora diventa un esempio, con cui il lettore vibra insieme, identificandosi con lui con una parte di Sé. Una componente dell’identità, per dirla con Ruggieri (2001) una nostra sub-identità, si identifica con Dante e può effettuare una discesa verso quella condizione, colpa o, più in generale, sofferenza, che presuppone una momentanea regressione al servizio dell’Io. Con Dante l’individuo può concedersi una micro-esperienza di cedimento funzionale all’Io. Questa condizione di predisposizione regressiva all’ascolto che faciliti una decodificazione del ritmo del verso è effettuata tramite la tecnica delle micro-oscillazioni (Ruggieri, Fabrizio, Della Giovampaola, 2004).

I partecipanti sono invitati a effettuare piccole oscillazioni posturali disposti a piacimento nello spazio secondo la tecnica della liberazione delle “micro-oscillazioni corporee spontanee” attraverso la quale si invita il soggetto a stare in piedi diminuendo lo sforzo fino a lasciar comparire spontaneamente l’esigenza di effettuare piccoli movimenti in senso antero-posteriore, latero-laterale, circolare o misto che si presentano appunto senza un atto volontario. Da questa posizione si procede alla lettura-ascolto di alcuni versi del I canto

Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
Che la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
Esta selva selvaggia e aspra e forte
Che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte…

(Inferno I 1-7)

Ascolto e micro-oscillazioni

La lettura è effettuata più volte dalla conduttrice e da alcuni partecipanti alternandosi, con l’invito di porsi in ascolto delle sensazioni e immagini mentali suscitate dai versi. Alla fine della seconda lettura si effettua una condivisione dalla quale emergono diversi vissuti quali “immobilizzazione”, “paura”, “aspettativa di pericolo”. Si tratta di esperienze legate al battito cardiaco che per alcuni aumenta e per altri diminuisce; di respiro che si blocca.

I partecipanti micro-oscillano ad occhi chiusi mentre Dante fa vivere esperienze multisensoriali, che ci accorgiamo essere iscritte nella nostra memoria sensoriale e gestuale:

- esperienza tattile di “durezza” della selva; la si può sentire sul corpo, su vari distretti per lo più attraverso esperienze immaginative di contatto con le mani;

– esperienza gustativa di “asprezza” e di “amarezza” che origina dall’apparato gustativo;

– esperienza visiva di oscurità, di relazione col buio, con la cecità;

– esperienza, legata all’apparato vestibolare, di disorientamento (smarrita la via);

– esperienza cinestesica di forza della natura esterna avversa, per molti assimilabile alla forza di eventi dolorosi che si affacciano alla memoria come una malattia o in generale le avversità.

La successive letture avvengono con l’invito, a partire dalle microscillazioni, di assecondare eventuali movimenti suggeriti dai versi. Si è trattato per lo più di percezioni del buio della selva e di un incedere ad occhi chiusi, costrittivo e inquietante. Da questa posizione esistenziale, quando non ci resta che stare nella selva buia, si ha bisogno di aiuto. Siamo capaci di ricevere aiuto affidandosi all’altro? Siamo capaci di sostenere chi ha bisogno di aiuto? Quali sono le difficoltà?

Guidare-essere guidati. Virgilio e Dante: Io-Tu

Virgilio, nell’interpretazione classica allegoria della ragione umana, e Dante sono accomunati da un senso linguistico e da una alleanza. Virgilio è un modello letterario, e quindi può diventare un aiutante provvidenziale per intraprendere l’iter per mortuos – quel viaggio nell’aldilà fino al Paradiso dove lascerà il posto a Beatrice. Un poeta in soccorso di un altro poeta, così come il terapeuta e il paziente, si incontrano.

Ognuno dal proprio buio esistenziale, contattando precise coordinate psicofisiche e immaginative, procede con l’esperienza di ascolto.

Mentre c’io rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.

Quando vidi costui nel gran diserto,
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
Che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco eterno;

(Inferno I 112-120)

Viene suggerito ai partecipanti di scegliere alternativamente di vivere l’esperienza di Dante, ad occhi chiusi o bendati, e quella di Virgilio, la guida. I partecipanti si dispongono nello spazio liberamente, e con lievi segnali e il più spontaneamente possibile, formano le coppie durante il primo ascolto. Poi si ripete la lettura di tutti i versi letti fino a quel momento.

La domanda che pongo ai “Dante” è: “cosa si prova quando dal buio e nella paura, dopo un prolungato silenzio, si intravede una persona cara?”, e invito loro a chiedere aiuto alla figura, ognuno a suo modo. Emergono emozioni e vocalizzi molto intimi e toccanti, tremore della voce, chi con urla ha espresso la disperazione, o preteso aiuto, invocato, supplicato, sussurato.

Altrettanto significative le risposte emotive dei “Virgilio”: qualcuno esprime la paura di non essere in grado, altri hanno uno slancio eccessivo nel farsi incontro, o il timore di sbagliare, la commozione ecc. Tanto “i Dante” hanno esplorato la loro capacità di essere bisognosi di aiuto, tanto “i Virgilio” hanno esplorato la loro qualità genitoriale, la loro capacità terapeutica di sostenere e prendere in carico.

L’oscurità: farsi guidare

Da questa posizione invito le coppie così formate a porsi in modo che il Dante, ad occhi chiusi, possa poggiare la mano sulla spalla del Virgilio, ed essere condotto come cieco. Il percorso dello spostamento nello spazio avviene nella posizione che la coppia spontaneamente crea. Per esempio: un Virgilio che si era avvicinato a un Dante inginocchiato, si è a sua volta inginocchiato, procedendo nel movimento in questa posizione.

Il gruppo si confronta sul rapporto Io-Tu, sulle emozioni della comparsa di un Tu nello stato di bisogno, e su come questa esperienza ridefinisca la rappresentazione mentale di un Tu.
Ad esempio: un partecipante non trovava un Virgilio malgrado gli fosse dinanzi, e un’altra non riusciva ad emettere gesti o suoni in modo da essere identificata e vista; le sensazioni percettive di presenza o assenza dell’altro, hanno rivelato nessi con atteggiamenti posturali. L’impossibilità per qualcuno di camminare al buio, affidandosi agli occhi dell’altro, veniva messa in relazione alle tensioni di controllo, etc.

Ognuno ha evocato in Sé quel senso di devozione filiale in un ruolo, e quell’atteggiamento genitoriale e di scrupolosa guida nell’altro ruolo, cogliendo le eventuali difficoltà del “tu se’ il mio maestro e il mio autore”.
Si parla di come talvolta Virgilio richiama Dante all’attenzione, lo rimprovera quand’è troppo sgomento o troppo distratto; dà consigli, o anche spiegazioni su argomenti. Tutto questo, nel nostro lavoro, è affidato all’atteggiamento posturale e ad un intimo sentire, e a un’immaginario nel rapporto Dante/figlio/allievo/paziente e Virgilio/padre/maestro/teraputa.

Come la tradizione psicoanalitica ci insegna è molto importante, perché un processo trasformativo possa compiersi, la possibilità del paziente di affidarsi al terapeuta. Ma quanto è difficile accettare di essere condotti al buio, sentirsi nelle mani dell’altro!
Questo vale anche nelle relazioni fuori dal setting, il bambino col genitore ma anche, a loro modo, nei rapporti paritari, come quello amoroso o amicale.
Nel lavoro clinico, in modo particolare, il paziente può abbassare le proprie difese strutturali in uno spazio di alleanza, in cui possa affidarsi al teraputa che è in grado di svolgere anche funzione di Io vicariante.

È interessante, allora, esplorare nei gruppi la capacità che abbiamo di essere come Virgilio, colui che conduce; in termini psicologici: colui che prende in carico la responsabilità di accompagnare l’altro in un percorso. E allo stesso modo esplorare di essere Dante, colui che si affida, e che proprio in virtù di questo può lasciarsi andare e crescere.
L’ascolto è stato riproposto scambiando i ruoli; una delle scoperte comune a diversi individui del gruppo è stata che per poter guidare, bisogna prima aver fatto esperienza di essere sostenuti!

Discesa verso il basso – esperienza del peso

A partire dalla prima cantica sono stati estrapolati versi legati alla posizione del corpo nello spazio e ai vissuti di cedimento in senso gravitario del peso. Il suggerimento era ancora quello di ascoltare i cambiamenti psicofisici in contatto coi versi

e caddi come l’uom cui sonno piglia

e

E caddi come corpo morto cade

(Rispettivamente Inf, III, 136 e V,142)

ed era seguito dal contatto con tali vissuti e con il loro sviluppo.

Per esempio: coloro che avevano percepito le ginocchia tremare lievemente, furono invitati a lasciarle tremare assecondando eventuali sviluppi; il cedimento delle spalle, così come quello della mandibola, della testa ecc. venivano assecondati fino a suggerire agli allievi il maggiore contatto possibile tra la superficie corporea e il pavimento. Gli stimoli poetici veicolavano infatti l’esperienza dell’abbandono del controllo cognitivo, e della modulazione dei livelli di attenzione, attraverso quella sensazione ipnagogica dell’interregno tra la veglia e il sonno. Il torpore e l’abbandono al rapimento del sonno, per essere anche solo minimamente percepiti, devono essere riprodotti fisicamente, suggerendo ai partecipanti uno stato di progressiva distensione muscolare con vigilanza intellettuale fluttuante.

Ma che significa perdere il controllo cognitivo e muscolare? E perché può essere benefico per l’individuo?

L’abbandono progressivo del peso, la sua scarica verso il basso, sembrerebbe essere un’azione ovvia in questo pianeta, con questa forza di gravità, ma di fatto risulta quanto di più difficile da assecondare perché racchiude l’esperienza del modo con cui l’individuo sta al mondo, che è il frutto della storia personale.

Il bambino impara da subito ad appoggiarsi alle braccia materne se l’accudimento è sufficientemente buono (Winnicot), prevedibilmente gradevole, se la madre-braccia è stata responsiva e accogliente come Virgilio. Secondo la teoria ruggieriana, la tensione muscolare e la meccanica motoria sono componenti strutturali dell’espressività psicologica; in questo gioco di informazioni tra input e output, dalla tensione muscolare alla psicologia, gioca un ruolo fondamentale l’immagine corporea, che è componente strutturale dell’identità e che si forma a sua volta proprio dalle informazioni provenienti dal corpo. In particolare, quest’ultima riguarda proprio la corrispondenza tra rappresentazione mentale unitaria di Sé ad opera del Sistema Nervoso, e la periferia corporea fonte di informazione (Ruggieri, 2001). Le tensioni corporee possono abbassarsi, e le lievi oscillazioni del tono di base segnalare al Sistema Nervoso Centrale una sostanziale continuità dei distretti corporei, a formare un’unica struttura integra, a cui possiamo dare il nome di Io.
Ma perché questo senso di unità possa prodursi a livello immaginativo, sono necessarie appunto informazioni di continuità corporea, che sono possibili a partire da un preciso livello di segnalazione di tensione.

Il muscolo può infatti trovarsi in diverse condizioni:

  • rilassato, senza attività;
  • in attività tonica cioè con una minima attività muscolare necessaria al mantenimento della postura in posizione di riposo del corpo;
  • contratto, in questo caso i muscoli possono contrarsi in 2 forme, isotonica (con le estremità dei muscoli che tendono ad avvicinarsi esercitando un’attività sulle leve ossee che genera il movimento) e isometrica (in cui la contrazione non è seguita dall’avvicinamento delle estremità del muscolo). L’avvicinamento dei capi del muscolo è cioè impedito dalla simultanea contrazione di un muscolo antagonista; il muscolo risulta così in attività, ma non può produrre movimento perché è bloccato. Secondo la teoria di Ruggieri, questo assetto muscolare è presente in molte emozioni, essendo una componente strutturale anche di quel processo definito activation. Per Ruggieri l’attività muscolare è responsabile della dimensione soggettiva di tensione, che è nucleo della maggioranza delle emozioni (Ruggieri 1984, 1988) e va da un’attività minima ad una massima, determinando una complessa gamma di vissuti soggettivi, dal piacere al dolore, dalla gioia alla leggerezza, ecc. La postura individuale è il compromesso che l’individuo assume per mantenersi in piedi, in base alle emozioni e alla gestualità che può permettersi di sperimentare.

Tali caratteristiche dipendono dai contesti in cui l’individuo si trova. Può anche accadere, per esempio, che uno di questi stati diventi prevalente in uno o più distretti corporei; se un muscolo, o gruppi di muscoli, permangono in uno stato di tensione isotonica (che interessi il maggior numero di fibre del distretto), si possono avere contratture croniche. In questo caso, così come nel caso di una condizione ipotonica stabile, il distretto muscolare non produrrebbe segnali al Sistema Nervoso Centrale. Questo tipo di organizzazione muscolare può essere originata da diversi fattori, ma l’esito (e talvolta proprio la causa) è un fenomeno inibitorio sull’informazione neurale; quel distretto cioè, non creando modulazione, non si segnala come presente al SNC (per approfondimenti vedi Ruggieri, 1988) creando, di fatto, una discontinuità nella costruzione dell’immagine di Sé e del senso di presenza. Quel vissuto di unità corporea (fondamentale per Ruggieri nel processo di integrazione narcisistica) verrebbe cioè a mancare di solidità. Questo fenomeno è legato alle esperienze individuali.

In estrema sintesi possiamo dire che se il bambino, anziché sperimentare il genitore/Virgilio, incontra carenze o traumi, o durante le esperienze precoci non ha ricevuto un adeguato rassicurante concreto sostegno, se non si è potuto appoggiare alle braccia solide e morbide, e se si è dovuto aggrappare ad un mondo ostile, allora l’individuo si sarà sforzato di esistere, strutturando in tutto il corpo, o in alcuni distretti, una particolare forma di tensione nel tempo cronicizzata. Tale gioco di tensioni, legate anche a singoli gesti, danno forma all’assetto posturale. In questo caso, quella sequenza di base del funzionamento muscolare per la stabilità posturale viene interrotto, la sequenza di eccitazione con tensione e scarica, attraverso attività motoria che è presente in tanti comportamenti, viene a tratti bloccata.
Sono esperienze come quella della scarica del peso corporeo che permettono di riabilitare la buona funzionalità. Ecco che la decodifica esperienziale prodotta dall’ascolto dei versi può favorire lo stato di de-tensione. Il dormiveglia, e poi addirittura il corpo morto, sono cioè esperienze di ginnastica di attivazione muscolare di quei distretti che esercitavano cronicamente un controllo sull’azione di caduta del peso. Potremmo paradossalmente dire che sono proprio le momentanee esperienze di “corpo morto” a far nascere la sensazione di unità e di vitalità.

Rischi

Utilizzare la poesia, elementi di poesia, drammatizzazione e danza, è un lavoro importante sulla persona, e bisogna tener conto di alcuni rischi.
L’utente può infatti essere sollecitato a privarsi di quei meccanismi di difesa (perché di questo si tratta!) esercitati attraverso il blocco di alcuni movimenti; se per esempio un distretto corporeo non è rappresentato centralmente, perché legato al dominio di una emozione, il rischio è che la sua rimodulazione risvegli un carico emotivo troppo gravoso per un Io fragile, che può improvvisamente trovarsi sguarnito di meccanismi di difesa.
Per questo il contatto “profondo” con un verso, deve essere guidato da uno psicologo o operatore arte-terapeuta, in grado di operare con diverse tecniche a difesa dell’integrità dell’Io e che contemporaneamente sostenga adeguati passaggi evolutivi e graduali trasformazioni posturali di pari passo col rafforzamento dell’Io. Il “corpo morto” può rappresentare il punto di reset delle tensioni, in cui la persona ha la possibilità di ridefinirsi riorganizzando nuove tensioni più funzionali allo sviluppo maturativo e all’espansione esistenziale. Ma non è facile accedervi né è sempre auspicabile. L’uso di queste tecniche psicofisiologiche è pertanto valutabile di caso in caso e da effettuare in un setting protetto e da operatori autorizzati.

Ritmo

Il percorso attraverso le tre cantiche conduce ad una progressiva esperienza di ridefinizione di tensione che si svolge nell’arco di più incontri e ripetute letture. All’interno di questo macro-percorso ogni lettura è una vera e propria micro-esperienza di danza. In La danza tra libertà e controllo. L’approccio psicofisiologico alla danza, Ruggieri spiega come recitare sia una danza proprio perché la decodificazione imitativa della parola e del verso contiene in sé un ritmo.
La lettura di una poesia sollecita per imitazione acustica una micro-danza che è comunque presente in ogni ascolto, in cui il ritmo è un organizzatore costruttivo per le tensioni corporee perché coinvolge selezionandoli gruppi di muscoli in interazione tra di loro.

“Come corpo morto cade”. La danza del lasciarsi andare all’azione del peso del corpo

L’ascolto dei versi è accompagnato al cedimento a terra in cui attraverso l’abbandono al pavimento ognuno sperimenta il proprio modo di cadere. Tale esperienza viene guidata e preceduta anche da altre tecniche come il “lasciar pesare le proprie mani sulle mani dell’Altro (Virgilio/terapeuta)”, e sentire la differenza tra appoggiare e premere le mani sul palmo dell’Altro per approfondimenti vedere tecnica descritta in Ruggieri, Fabrizio, Della Giovampaola, 2004.
In generale, ciò che emerge dai partecipanti che, ripeto, sono in formazione arte-teraputica e per questo con un importante bagaglio pregresso di consapevolezza psichica, è la “paura di perdita di controllo”, un “senso di disastro” ecc. ma, anche, il piacere, il sollievo, i sospiri profondi… fino alla possibilità di giungere, ognuno secondo proprie modalità, all’abbandono fiducioso del peso delle mani sulle mani dell’Altro, e poi all’abbandono delle tensioni corporee verso i piedi.
Un’altra tecnica gruppale di esplorazione della caduta è il gioco del “giro tondo” dei bambini, alla fine del quale si gioca a cadere tutti a terra.

Come ci si ri-solleva dalla caduta?

Da questa posizione di massimo contatto col suolo si procede alla lettura, effettuata anche dagli stessi allievi dalle loro posizioni, dell’ultimo verso dell’Inferno

E quindi uscimmo a riveder le stelle

(Inf  XXXIV 139)

In contatto con il verso, i vissuti individuali riguardano per lo più la sensazione di lieve movimento del capo, o il desiderio di farlo; si tratta di un movimento direzionato dello sguardo che orienta la programmazione motoria dell’intero corpo. C’è una sorta di stimolo a sollevarsi da terra in questo verso. Il gesto, spesso scontato, dell’alzarsi in piedi che tanta importanza ha invece nelle prime fasi di sviluppo, e che sopravvive come sfondo nella gestualità deambulatoria adulta e, in generale, nella capacità di sollevarsi o ri-sollevarsi dagli eventi, avviene proprio sfruttando la spinta antigravitaria autogena che segue all’abbandono, e al continuo gioco-danza insito nell’ascolto.
Le incitazioni cognitive a ri-sollevarsi da un lutto, o da una depressione, risultano spesso inefficaci e nel tempo si rivelano dipendenti da qualche elemento esterno, come uno psicofarmaco o condizioni favorevoli, ecc.
Diverso è il sorgere di un desiderio interno, come un’esigenza di vita che nasce autonomamente nell’individuo, e che esita in una voglia di esplorare il mondo.
Su questo punto è interessante il lavoro effettuato con una partecipante, con tono depressivo dell’umore, che racconta la sua sensazione di desiderio di vedere le stelle come un’emozione prima di “curiosità”, che da tanto tempo non provava, e poi di “gioia mai provata”. La partecipante rileva che le sensazioni nascono nel momento in cui accetta di non “premere” coi piedi a terra (per il fondamentale concetto di “premere-appoggiarsi” rimando ancora a Ruggieri, Fabrizio, Della Giovampaola, 2004).

Il Purgatorio. Elevazione- rimbalzo antigravitario

Si entra così nel tema poetico-esistenziale e di movimento-danza dell’elevazione intesa secondo i parametri individuali suggeriti da alcuni passaggi della Seconda Cantica dantesca tra cui il seguente:

e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.

(Purg I, 4-6)

I versi vengono letti più volte dal conduttore e dai partecipanti, dopo aver ritrovato la condizione di scarica del peso del lavoro precedente. L’ascolto avviene da una posizione distesa o semidistesa. Come nelle esperienze precedenti, attraverso la decodificazione imitativa della punteggiatura prosodica degli endecasillabi, che genera una micro danza, i partecipanti vivono sensazioni, pensieri, immagini di “diritto”, “ascesa”, “sollevamento”, “aspirazione”. Un’attenzione particolare è stata posta al significato individuale del sentirsi degno in termini di “sentimento del diritto di esistere”.
Assecondando il desiderio di sollevamento si invitano i partecipanti all’esperienza del “gattonamento”, da cui emergono vissuti e ricordi di un passaggio tanto cruciale dell’età evolutiva, dallo strisciare al movimento veloce e più direzionato della deambulazione a quattro zampe. Sollevarsi dalla posizione distesa è una delle prime forme “protomentali” di scoperta di autonomia e movimento, una matrice di elevazione iscritta nella nostra memoria corporea.

Da qui si procede alla lettura di altri versi come

I’ mi vuolsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.
Goder pareva ‘l ciel di lor fiammelle

(Purg I, 22-24)

Nascono di qui vissuti legati allo spostamento del capo nello spazio laterale e sopra, lo sguardo tende a volgersi sia immaginativamente che negli spostamenti nella stanza intorno e verso l’alto, aumenta l’espansione della mobilità oculare. Si ha una generale sensazione/desiderio di esplorazione visiva dello spazio accompagnato da una complessa gamma emozionale di “desiderio”, e in particolare di desiderio di “muovere verso”.
“Verso qualcosa di bello” dice qualcuno, “verso qualcosa di misterioso” o anche “spaventoso”. Ognuno si esprime sulla propria immaginazione visiva delle “fiammelle” verso cui qualcuno si sente “sospinto” o “ispirata”, con una generale programmazione di azione fluida che sta per compiersi mossa con “spontaneità” e “attrazione”. Viene toccato il tema della speranza, dell’ispirazione e della motivazione quale ritmo di danza evocata dalla poesia. Nel ritmo della danza dell’ascolto nasce il desiderio di issarsi in piedi. È su questa onda che parte da dentro, infatti, che ci si può alzare con facilità, e non con lo sforzo di essere tirati dall’esterno.

Il salto in alto: utilizzare la forza-peso per librarsi nella danza in equilibrio fra libertà e controllo

Per comprendere meglio la logica della caduta a terra e il suo utilizzo clinico, farò l’esempio utilizzato da Ruggieri nel suo saggio sulla Sinfonia n. 9 di Beethoven in cui la danza (una festa a bacco) è un’esperienza psicofisiologica della gioia. In quel testo (Ruggieri, 2012) l’autore, per spiegare i meccanismi motori riflessogeni integrati, legati alla dinamica di trazione-contrazione, utilizza tra gli altri l’esempio della pratica sportiva del “salto in alto”. Nel salto in alto vi sarebbe infatti una scarica del peso di tutto il corpo immediatamente prima del rimbalzo, di uno dei due piedi su una base di appoggio, che è lo stesso meccanismo che siamo andati a stimolare attraverso la selezione dei versi che ci hanno guidato in una discesa agli inferi, necessaria e propulsiva per la conseguente ascesa. A questo punto del percorso si sfrutta la spinta per saltare, proponendo un’esplorazione di questa facoltà umana. Ma cosa significa concretamente utilizzare il peso per rimbalzare? Come può, l’atleta, utilizzare la forza peso?

(…) Attraverso un’inibizione temporanea del tono (o sua riduzione) che determina una brevissima sospensione temporanea dell’azione antigravitaria dei muscoli del corpo,

sostiene Ruggieri (2012). Il corpo morto che cade, e cadendo fa sì che i muscoli non antagonizzino più il peso della struttura che mantenevano eretta. Nel rimbalzo tonico l’individuo, invece di contrapporsi volontariamente al peso, si può lasciar andare.

(…) lasciarsi andare all’azione stessa del peso del proprio corpo, riducendo o abolendo il tono muscolare, producendo un rimbalzo tonico ad effetto antigravitario. Il peso stesso eserciterebbe sui muscoli una trazione meccanica (stiramento dei muscoli resi temporaneamente ipotonici dalla decisione di “lasciarsi andare al peso”) che a sua volta, metterebbe in moto la risposta di contrazione muscolare riflessa. La contrazione dei muscoli ottenuta per via riflessa può essere anche più intensa di una contrazione prodotta volontariamente. (pag. 90)

A questo punto del nostro laboratorio di poesiaterapia si esplora il significato personale dell’elevarsi attraverso alcuni versi del Paradiso. Qui scopriamo che i temi della caduta infernale sono la pedana di rimbalzo per raggiungere Beatrice. L’elevazione infatti è una danza che per non essere posticcia e faticosa deve attingere al dinamismo interno. Questa operazione permette vissuti di “benessere”, di “piacere”, di “gioia” e di “speranza” per usare le parole dei partecipanti. È stato trattato anche il tema del possibile uso di questa esperienza arte-teraputica con soggetti depressi in cui la pressione esercitata attivamente dal corpo verso il basso (soprattutto a carico di alcuni punti del distretto toracico e dei talloni) può essere modulata nella direzione. Il rimbalzo veicola vissuti che hanno immediatamente forte impatto sul tono dell’umore.
Se nell’abbandono delle tensioni del distendersi a terra, l’attenzione è stata portata sul significato delle tensioni di particolari distretti, riconosciute ora nel loro ruolo di “difesa dalla disgregazione”, ora come meccanismo di controllo, ora come fatica, angoscia depressiva ecc, nell’elevazione si è riconosciuta la forte azione unificante! Quella sensazione attraverso cui il corpo si segnala alla corteccia cerebrale come presenza di unitaria e non frammentata che con Ruggieri chiamiamo processo di integrazione narcisistica (Ruggieri, 1997). Da qui si procede con altri versi…

La gloria di colui che tutto muove
per l’universo penetra, e risplende…

(PD I, 1-3) e ancora

La novità del suono e ‘l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.

(PD I, 82-84)

Dal contatto coi frammenti sono emersi i vissuti di “grandiosità”, di “abbandono al movimento” per lo più un movimento rotatorio, di “espansione”, di “tensione verso”, di “apertura”, di “aumento della percezione di sé”, di “ampliamento dell’escursione respiratoria”, di “esaltazione” persino, di “apertura al nuovo”, di “curiosità”, o anche di “vertigine” e paura.

Coesione narcisistica

Il processo evolutivo narcisistico, reso possibile proprio dal senso di integrazione derivante dall’esperienza di appoggio-fiducia, è stato suggerito, rispecchiato e rinforzato mediante alcuni versi in particolare:

Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo intero si squaderna

(PD XXXIII, 85-87)

Questi versi sono stati scelti perché al loro interno presentano un ritmo che corrisponde a due movimenti, uno di integrazione e uno di libero movimento disarticolato. Non basta infatti che l’Io sia unitario perché si possa parlare di libertà esistenziale. Talvolta si tratta di un Io coartato bloccato in una rigidità espressiva proprio come soluzione parossistica di un sotterraneo vissuto di disgregazione, di scissione, di paura di “squadernamento”. È proprio attraverso la modulazione di questi livelli di tensione tra libertà e raccoglimento che si gioca quella flessibilità dell’Io tanto importante nel processo di salutogenesi che vogliamo promuovere. Durante la lettura di questi versi i partecipanti erano invitati a muoversi nello spazio ripercorrendo le tappe precedenti del lavoro. Dal cedere a terra, allo strisciare, gattonare, ritrovare stimoli (interni o esterni) sollecitatori di curiosità, sollevarsi in piedi, camminare, correre, e fino al sollevamento con salto. Ognuno secondo proprie modalità. In una personale danza. Sentendosi ora un volume rilegato dall’amore, ora pagine al vento.

L’esperienza è stata prevalentemente di ampliamento del respiro, attivazione eccitante, “grandiosità”, fino all’emozione della “gioia” e nientemeno che di “felicità”!
È stato spontaneo ridere per esempio. Sono stati toccati temi come quelli del “tendere verso un ideale”, di “realizzazione esistenziale” di “progettualità professionale”, “aspirazione alla realizzazione dei propri sogni”, o anche per qualcuno la potente scoperta del sentimento di avere dei sogni verso cui osare tendere.

Bibliografia

Della Giovampaola S.: In ascolto de L'infinito di Giacomo Leopardi, Il Politecnico le scienze le arti, N 1-3, 41-70, 2012. Della Giovampaola S.: Le radici esperienziali corporee del linguaggio, Psicoterapia Analitica Reichiana, N 1, 2019.

Grimaldi M.: Dante, nostro contemporaneo. Perché leggere ancora la divina commedia, Castelvecchi, 2017

Mazza N.: Poetry Therapy. Teoria e pratica, Mille Gru, 2019

Persico G.: Immaginazione emozionale e modificazioni posturali,Politecnico 1-2, 2016

Ruggieri V., Fabrizio M.E., Della Giovampaola S.: Il trattamento psicofisiologico in Psicologia e Riabilitazione, E.U.R., Roma 2004.

Ruggieri V., Fiorenza M., Sabatini N.: Visual decodification of some facial expressions through microimitation. Perceptual and Motor Skills, 6, 1986, 475-478

Ruggieri V.: Mente corpo malattia, Il Pensiero scientifico, Roma, 1988

Ruggieri V.: L’esperienza estetica, Armando, Roma, 1997

Ruggieri V.: L’identità in Psicologia e teatro, Magi, 2001

Ruggieri V.: Sinfonia n. 9 di Beethoven. La gioia tra psicofisiologia e antropologia; una festa a bacco, Lilamé, 2012

Ruggieri V.: La danza fra libertà e controllo. L’approccio psicofisiologico alla danza, in “Immaginare la danza, corpi e visioni nell’era digitale”, Massimo Piretti Ed., 2018, pp 25-36

Widman G.: La Divina Commedia come percorso di vita, Magi, 2021

 


 

azzurra d agostino

Sara Della Giovampaola, psicologa, docente di psicofisiologia psicodinamica e di narrazione e poesia-terapia presso il Master di Arti-terapie ad orientamento psicofisiologico di Roma, svolge attività clinica applicando le tecniche riabilitative Psicofisiologiche. Ha pubblicato con Vezio Ruggieri Il collo e le sue rughe (Edup, Roma 2002); Il trattamento psicofisiologico in Psicologia e Riabilitazione (E.U.R., Roma 2004); La condizione esistenziale nella terza età: un approccio psicofisiologico e arte-terapico (E.U.R., Roma, 2008).

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