Vi sono libri che vivono di una luce propria, altri invece illuminano realtà ai margini, in un’ombra desiderata e mantenuta da chi non la vive, affinché non sporchi la propria. Il volume Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile di Francesco Carlo, in arte Kento, fa certamente parte della seconda categoria.
Kento è un rapper, ma di una forma rara: militante e mai per finta, esponente e fautore dell’underground e soprattutto della “vecchia-scuola”. Non ne sono rimasti molti in circolazione, e quasi tutti preferiscono un certo grado di silenzio-stampa a una sovrapproduzione di contenuti (chi mai se lo ricorda Mastafive, citato nel libro? Ah, quante volte avrò ascoltato i pezzi degli Atlantide Quartet…). Talvolta, riutilizzano in ambito sociale le tecniche e gli studi compiuti per la propria carriera musicale. Tra questi, vi è Kento, che con questo libro ci permette di spiare un mondo dove lo sguardo non è affatto un ospite gradito. L’autore ci guida infatti all’interno di un carcere minorile in cui egli rappresenta la possibilità, per i ragazzi detenuti, di formarsi attraverso una cultura “alternativa” fatta di beat e di rime, di ritmo e metrica. Una valvola di sfogo creativo, essenziale per dei ragazzini finiti nei gironi della giustizia italiana, una prigione che dovrebbe essere ad continendos homines, non ad puniendos, ma che nelle sue effettive realizzazioni pratiche pare più sbilanciata sulla seconda azione.
Kento racconta in prima persona il suo viaggio privato verso un IPM (Istituto Penale Minorile), sovente lasciandosi andare a riflessioni su quanto lo circonda, quasi a rimarcare la differenza strutturale tra il mondo esterno e quello penitenziario, caricando la fortuna che ha nel poterlo a fare (a differenza dei suoi studenti). L’autore però non è l’unico protagonista: sapientemente Kento ci offre uno spaccato tanto delle dinamiche interne a un carcere per minori quanto dei suoi sfortunati inquilini. Un aggettivo che non vuole spogliare della responsabilità individuale di ciascuno di questi ragazzi, ma che alla luce di quanto lo stesso Kento scrive non potrebbe essere più vero: in Italia vi sono solamente 450 detenuti negli IPM, a fronte di circa 30 mila reati commessi da minori in Italia in un anno. La grande differenza fra questi due numeri sta nelle misure alternative di pena, a cui accedono la maggior parte dei ragazzi perché sono in grado di comprendere la lingua italiana e dunque difendersi; hanno una famiglia alle spalle che può sostenerli; hanno accesso a una difesa legale degna di questo nome. I 450 prigionieri, invece, a volte hanno commesso un reato troppo grave per una misura cautelare alternativa, ma molto più spesso hanno compiuto crimini di lieve entità come furto o spaccio senza però avere alcun tipo di tappeto elastico a proteggerli nel momento della caduta: avvocati d’ufficio che non vedono un adolescente ma solo un caso da chiudere in fretta; l’assenza di un sostegno famigliare; l’incapacità di esprimersi e comprendere; sono tutte “qualità” che il detenuto medio possiede e che pesano regolarmente troppo in termini di merito di una tuta carceraria. Kento non evita di ricordarci alcune delle maggiori ingiustizie che vivono coloro per i quali proprio la giustizia dovrebbe diventare faro e non un getto d’ombra sulla loro vita. Tra manifestazioni di amori impossibili (che Kento avrà premura di descriverci facendoci commuovere) e attività illecite che hanno l’unico scopo di alleggerire una vita travolta dall’odore di una cella, Kento ci accompagna anche nel mondo del rap come possibilità di riscatto per questi ragazzi. L’hip-hop come stimolo a prendersi cura di un proprio dolore esprimendolo al mondo senza nascondere le emozioni che pubblicamente vorremmo celare. Così le rime, le strofe, e i ritmi dei ragazzi si mescolano al proprio vissuto costringendoli all’arte del pensiero, della critica e dell’espiazione. Un modo alternativo ed efficace affinché una certa saggezza precoce di questi ragazzi non permanga solo nel pensare e nell’agire, ma si faccia traccia solida sulla carta e nella voce, affinché possano osservarla e comprenderla meglio, magari cantandola in quattro/quarti. In conclusione, Barre è davvero un libro potente e necessario, perché si prende cura degl’ultimi e lo fa impreziosendoci di informazioni difficilmente reperibili altrove, commuovendoci, facendoci incazzare e a fare il tifo per i suoi protagonisti, nella speranza che questi possano un giorno ricordarsi dell’esperienza della reclusione non come una prigionia, ma solo una fase formativa costringente e liberatoria insieme.
Barre. Rap, sogni e segreti in un carcere minorile, di Francesco «Kento» Carlo, Minimum Fax, 2021
Nicolas Cunial (1989) è poeta e performer. Il suo spettacolo “Black in / Black out”, tratto dall’omonimo libro per Interno Poesia, ha registrato oltre 40 repliche in tutta la penisola. Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti ed è tra gli slammer più apprezzati in Italia.
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