Come medici ci interessa solo rinviare la morte? Non dovremmo essere interessati anche a ridurre la paura (...)? –Iona Heath, medico di base, che per molto tempo presidente del Royal College of General Practicioners, e che tra il 2004 e il 2009 ha guidato il comitato etico del British Medical Journal, ci ricorda che la morte arriva ugualmente per tutti, ma ci sono modi e modi di morire. Patrizia Gioia, sottoscrive e recensisce questo libro, con la passione che contraddistingue la sua penna.
Ogni anno muoiono cinquantasei milioni di persone. Anche se ogni morte riguarda solo altri cinque esseri umani, gli individui colpiti sono in totale trecento milioni, vale a dire il 5 per cento della popolazione mondiale. La morte permea la vita, eppure la risposta pubblica alla morte e al morire continua a dividersi tra sensazionalismo e silenzio.
Iona Heath è una donna, medico di base con alle spalle oltre trent'anni di pratica, in uno dei quartieri più poveri di Londra e, nel piccolo prezioso educativo libro edito da Bollati Boringhieri, Modi di morire, con la postfazione di John Berger, Iona scrive:
Come medici ci interessa solo rinviare la morte? Non dovremmo essere interessati anche a ridurre la paura invece di esacerbarla e a dare importanza alla salute, invece di indebolirla? È la contingenza – caso, fato, incertezza – a rendere bella la vita. È la verità indiscutibile che non ci è dato di sapere cosa accadrà domani a renderla appassionante, che abbiamo preso o no la nostra aspirina.
Siamo stati violentemente catapultati dentro le grinfie di un virulento virus, ma da tempo viviamo in un tempo dove la vecchiaia e la morte sono esiliati.
Facciamo finta di interessarci ai vecchi, fingiamo di curarli al meglio, edifichiamo nuovi ghetti per i non più giovani, cambiamo le parole per rendere ancora più trasparente la loro azione, inventiamo nuove medicine e salvifici vaccini per far ancora più danaro di quel che già facciamo, nessuno scrupolo, nessuna morale, solo uno spietato arrivismo e un mortificante narcisismo: ci rifacciamo occhi e bocche nell'illusione di eternità, elidiamo la morte da ogni atto della nostra vita, per morire in "nessun luogo", spesso con nessuno accanto, in una solitudine che, pur se costitutiva, è diseducativa alla Vita stessa.
Evitiamo ogni situazione che ci impegni nel difficile compito di divenire umani, affidiamo ad un fantomatico deus ex machina le nostre responsabilità, ci inebetiamo con alcol, droghe e sesso (anche il rock and roll ha perduto la sua forza redentrice) invece di fermarci e iniziare a porci le importanti domande che da sempre chiamano.
Che cosa succede quando la medicina è messa in scacco da una malattia terminale o semplicemente dalla vecchiaia, vale a dire dal ciclo naturale della vita? Che rapporto si instaura tra medico e paziente, quando il crinale tra vita e morte si fa sempre più sottile? Come dialogare con chi sta per lasciarci? Come accompagnarlo senza ridurlo a oggetto di un inutile accanimento terapeutico? Come e quando possiamo passare dalla cura all'alleviamento? Come rendere più lieve e dignitoso il trapasso?
Sappiamo quanto a volte le notti siano lunghe e nere, sappiamo quando non riusciamo a immaginare un futuro, quando le insoddisfazioni, le miserie, gli errori del passato appaiono troppo grandi per una possibile sopportazione. Che ne facciamo delle domande che arrivano inaspettate? Delle nostre paure? Dei nostri dolori? Che ne facciamo delle silenziose domande di chi ci sta vicino? Delle richieste di aiuto di chi ogni giorno ci passa accanto?
Modi di morire parla d'esperienza, di empatia e di una passione da risvegliare in noi per la grande letteratura e la poesia: una parola che ha la capacità di oltrepassare le singole vite e di tenere insieme il finito e l'infinito. La Poesia possiede il dono di "toccarci", sa collegare le vite passate con le presenti e le future. È il senso di non essere monadi sperdute che ci fa umani, questo senso di connessione con tutto e con tutti è una componente essenziale per una morte serena. Saper aiutare a morire unitamente a quell'insieme di esperienza umana acquisita nei secoli, che riguarda il compito di essere con, di accompagnare chi sta morendo, è esperienza che tocca ognuno di noi. È nel momento dell'accompagnare chi ci sta lasciando che ci facciamo carico della vita dell'Altro e anche della nostra, possiamo insieme incamminarci e imparare quando lasciare la mano affinchè l'Altro si incammini dentro la "sua morte".
Il meraviglioso poeta polacco Zbigniew Herbert così scrive ne Le alienazioni del signor Cogito:
Fino all'ultimo
il Signor Cogito vorrebbe cantare
la bellezza del passare del tempo
Ecco perchè non ingoia Gelee Royale
non beve elisir
non fa un patto con Mefisto
con la cura di un buon giardiniere
coltiva le rughe che ha sul viso
accetta umilmente il calcio
che gli si è depositato nelle vene
è beato dei vuoti di memoria
perché la memoria lo tormentava
l'immortalità
fin da bambino
lo mette in uno stato
di paura tremante
perchè si dovrebbe invidiare gli dei?
(...)
“Morire della propria morte” insegna la poetica rilkiana; vivere il proprio "karma" indicano le vie orientali; vita e morte sono l'inizio e la fine dell'anello che ci è consegnato e di cui abbiamo il dovere di farci carico, quel "conoscere te stesso" fa sì che possiamo avvicinarci all'altro con parole salvifiche, con quelle parole che ci faranno vivi anche nell'assenza: la morte ha la capacità di farci più presenti, di stare in quel cerchio che non ha centro nè circonferenza e che sa accogliere l'esperienza della Vita che ci ha consegnati alla vita.
La mancanza di un'educazione poetica sta uccidendo tutto. I medici hanno bisogno sia della scienza che della poesia, più che mai quando si prendono cura dei pazienti che stanno morendo. È essenziale un rapporto e un dialogo ininterrotto tra medico e paziente, tra un essere umano e ogni suo simile, un dialogo che si dovrebbe imparare da bambini, un dialogo fatto di parole e di contatto fisico che ci permetta di esperire quanto la profondità del tempo sia più importante della sua durata.
So che sono morti della stessa morte
ma non credo che siano morti
nello stesso modo.
(da The dead, Miroslav Holub)
Modi di morire, di Iona Heat, Bollati Boringhieri Editore, 2008
Patrizia Gioia, designer e poetessa, cofondatrice di Mille Gru (2006), è responsabile del settore arte e cultura di Fondazione Arbor, che ha avuto come primo presidente Raimon Panikkar. Opera per diffondere il dialogo inter/intra culturale e religioso, organizzando giornate di lavoro e incontro con studiosi di fama mondiale. Membro di ARPA ( Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica ) scrive libri di poesia e articoli per riviste e giornali web, rivitalizzando il pensiero mistico simbolico al crocevia tra oriente e occidente. Nel 2000 fonda SpazioStudio13 a Milano, luogo di incontro e confronto.
» La sua scheda personale.