Si racconta in questo articolo l’esperienza di formazione in cui si usano Poesia e Musica, destinata a operatori della cura. Si descrivono gli intenti e i contenuti, i commenti e la persistenza nel tempo delle esperienze proposte cominciando a creare un nuovo panorama di quanto è possibile fare.
“Stabilire se la poesia sia un lavoro o un passatempo” scrive Ben Lerner 2016 “è un tema onnipresente negli attacchi e nelle difese a questa forma d’arte. (…) L’utilità della poesia è legata a doppio filo con la sua inutilità”.
Ecco un dilemma che mi cimenta fin dal 2005, da quando cioè ho iniziato a usare la poesia in letture pubbliche, concerti sensoriali ed esperienze di semina poetica ed esplorazione delle città con i giochi di lettura. Finita l’esperienza c’è sempre qualcosa di oltre, di altro, di fatale, qualcosa di inimitabile e invisibile, che ha il valore di ciò che non si spiega ed è comune a tutti; come scrive Viviani (2004): “poeti, gli unici che rischiano la vita per portare alla superficie il gelo dei mari profondi, il fuoco del magma sulla terra, portano sul proprio corpo i segni dei tentativi fatti per rendere visibile ciò che da sempre è sprofondato nelle viscere del mondo”. Avevo usato la poesia a voce alta per amplificare visione interna e forza della parola già quando studiavo Comunicazione, Master di tre anni ad Assisi nei primi anni Duemila. La cosa considerata bizzarra anche dai miei formatori, pareva funzionare e quindi lasciarono che la sviluppassi.
Quando nel 2009 mi sono trovata a Bari, in ospedale, ad assistere i miei genitori, entrambi ricoverati in reparti diversi in circostanze complicate e tragiche, ho maturato la convinzione che avrei sperimentato pure in ospedale l’uso della poesia: casse acustiche in tutte le stanze e sale d’attesa, operatori sanitari che “somministrano” tracce di musica e parola ai pazienti così come si somministrano le medicine, e che beneficiano essi stessi attimi di respiro e di bellezza, presi come sono dall’urgenza delle circostanze che li vedono lavorare.
Metodi e Obiettivi
Nelle aziende sanitarie locali (ex ASL) i processi possono essere lunghi e complicati, peraltro non sapevo di non sapere che altrove ci fossero già esperienze di quel che si chiama poetry therapy. Ho pensato fin da principio di non andare in corsia, ma di usare la poesia e la musica per la formazione degli operatori sanitari, di lavorare così su qualcosa da consolidare nel tempo e di portare vari risultati ai professionisti della Cura e quindi ai pazienti: strumenti che passando per la poesia ampliassero la relazione e la comunicazione fra operatori, pazienti e loro parenti.
Bari
È nato così il modulo La Bellezza della Cura per gli operatori sanitari della ASL di Bari, una giornata di formazione ECM (formazione continua in medicina) he ho progettato e conduco con due compagni di avventura, un medico (Edo Altomare) e un pianista (Andrea Gargiulo), riproposta due-tre volte l’anno fin dal 2014. A questo si è affiancato La Passione della Cura, per chi aveva già seguito il primo modulo.
La nostra sfida è costruire una professionalità permeabile all’umanità, che sappia accoglierla e dare per quanto possibile ordine alla complessità, anche attraverso linguaggi diversi come la poesia, la musica e la loro pratica.
Si tratta di otto ore di formazione per ottanta partecipanti, in cui vengono cimentate le persone e sfidati i luoghi comuni intorno alla formazione: che debba essere sempre seria o seriosa e avere contenuti che parlano di terapie e malattie, che ci si debba annoiare a morte. Se ci si interroga giocosamente, e ci si diverte usando Sensorialità, Musica e Poesia non stiamo lavorando meno, non abbiamo a che fare con “sospensioni” della serietà ma, anzitutto, questo è un volano per l’apprendimento. È qualcosa che si può riportare poi nel reparto di provenienza.
Volta per volta a fine giornata si lavora a definire quali azioni pratiche questi operatori possano portare nel proprio vissuto e nella propria quotidianità lavorativa, cosa riversare in corsia, quali parole, quali suoni, ma siamo consapevoli che non è facile monitorare poi ciò che accade realmente. Negli anni si riscontra peraltro che l’80% della partecipazione a questi corsi è di operatori sanitari non medici, come se i temi legati alle fossero poco seri e, appunto, inutili agli occhi dei primari e di quanti poi sono in grado di far cambiare più velocemente le cose. D’altro canto si rileva che, rispetto ad altri corsi proposti dalla stessa ASL, i partecipanti alla giornata di formazione rispondono entusiasticamente ai questionari e molto positivamente alla valutazione dell’offerta.
Colle Valdelsa
Esperienza simile e diversa è quella nata nel 2018 per l’Azienda USL Toscana Sud est, HELP – Hospital Expressive Labs for Personnel, Laboratori espressivi in ospedale per il Personale sanitario, un’altra formazione che conferisce crediti ECM, diretta a tutto il personale del reparto cardiologia-rianimazione – 40 persone fra medici e operatori – e che conduco con una sassofonista coraggiosa, Susanna Crociani.
La proposta parte sempre dall’uso di lettura, scrittura, musica e metafore come metodi di conoscenza di sé, per poi individuare strumenti operativi concordati durante l’evento formativo, da portare in reparto. La differenza sostanziale con i corsi di Bari è che questo gruppo di persone è formato da colleghi e quindi si può lavorare su una progettualità condivisa di operazioni e procedure da implementare di comune accordo.
Uno dei primi risultati degli eventi di formazione condotti fin qui è la predisposizione di casse per l’ascolto nelle stanze della stroke unit (unità di cura cerebrovascolare).
Si è lavorato come squadra per individuare come inserire la procedura di “somministrazione” di tracce di musica e poesia nell’agenda di azioni quotidiane degli operatori.
Si è predisposto un prontuario di metodo per raccogliere i parametri vitali dei pazienti prima e dopo l’ascolto.
Sono iniziate le sperimentazioni nel Reparto di terapia intensiva cardiologica usando tracce di musica e parola registrate appositamente da me e dalla musicista; si tratta sia di brani di classici della poesia (da Leopardi a Dante), sia di poesie che ho scritto e usato in varie circostanze, mentre per la musica si è preferito andare sempre sull’improvvisazione e la composizione originale.
Si è predisposto un questionario per i pazienti e i parenti dei pazienti.
Una volta mi è stato dato il permesso di entrare nelle stanze durante la “somministrazione”: nei sei minuti di ascolto della traccia usata, i valori dei parametri vitali dei pazienti si sono regolarizzati (sono attaccati a macchine in cui è tutto già monitorato) sotto i miei occhi. E dopo, l’entusiasmo dei pazienti e dei parenti presenti era visibile nelle loro espressioni.
Casa di riposo
Altra esperienza in corso d’opera, è un lavoro più confidenziale e sperimentale con una operatrice culturale di una casa di riposo per anziani in Svizzera. Attualmente, sta facendo ascoltare le tracce singolarmente ai vari pazienti italiani, poi procederemo con le tracce di poesia in inglese e in francese, in preparazione. Questi i suoi primi commenti:
“L'attività mi permette di accompagnare la persona in maniera differente, di essere presente con l'attenzione che l'ascolto in comune produce senza che io sia la protagonista dell'incontro. Essere accanto all'altro senza alcun protagonismo.”
“La sig.ra C. mi dice che non si sente in forma oggi e che non le va di fare niente. Declina il mio invito a spostarsi in una zona più calma, e allora le propongo una lettura di poesie. La parola poesia le fa sgranare gli occhi e un sorriso appare sulle sue labbra, ad un tratto mi prende il libro (Manuale di fisica Ostica) dalle mani e comincia a sfogliarlo e la prima poesia sulla quale si ferma per leggerla ad alta voce è la lettera “D”. Durante la lettura della poesia al secondo capoverso fa una pausa piuttosto lunga e mi rendo conto che durante quella pausa di silenzio l’emozione la sta attraversando contagiandomi…tanto che alla fine le faccio i complimenti per come ha letto. Lei mi guarda e mi dice “oddio che bello, ma dove l’hai preso” Alla fine richiude il libro e ritorna alla pagina di copertina e non solo, questa volta guarda il retro del libro leggendone per intero il contenuto. A questo punto mi ringrazia e mi saluta con un sorriso, ridandomi il libro. A quel punto noto con piacere che sorridente si alza e va verso la sala da pranzo per aiutare.
“Ho fatto ascoltare la traccia di Leopardi con L’infinito e A Silvia, ad una residente italiana che conosce a memoria la poesia il sabato del villaggio ed è stato un momento emozionante…non stava più nella pelle, continuando a stare seduta agitava le braccia, batteva le mani e ridendo con gli occhi ha detto: “Oddio che bella”! Si ricordava alcune parole, ma soprattutto quelle poesie le parlavano. La sua reazione è paragonabile a quella dell’incontro con qualcuno che non vedeva da tempo. Alla fine mi ha detto, sfiorando la sua testa con le mani, “questo mi aiuta a ricordare”
Bibliografia
Lerner Ben ( 2016) The hatred of poetry, Fsg Originals pub. (pubblicato in Italia da Sellerio: Ben Lerner, Odiare la poesia)
Viviani Cesare ( 2004) La voce inimitabile, Il melangolo.
Silvana Kuhtz. Laureata in ingegneria, phD all’Imperial College of Science (London). È nata a Bari. Lettrice, docente, ricercatrice confermata all’Università della Basilicata (nel 2006 ha inventato la cattedra Linguaggi, futuro e possibilità) a Matera al Dipartimento Culture Europee e del Mediterraneo. La sua ricerca fonde elementi apparentemente molto diversi fra loro: teatro, scrittura, lettura, sostenibilità ambientale, sensi, attraversamento di luoghi, dell’invisibile. Conduce corsi con la poesia per alcune asl dal 2014. Come sempre un cv è solo un elenco di cose, più importante è conoscersi di persona. (Foto di GianMichele Pavone)
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