Poetry Therapy Italia

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Marco Dalla Valle ci racconta il suo percorso, la scoperta del piacere della lettura, le sue scelte professionali, in ospedale e in università, fino alla creazione del sito “Biblioterapia italiana” e a tutte le attività e le collaborazioni che ha attualmente in essere, allo scopo di promuovere in Italia una disciplina che ha un secolo di vita, ma che in Italia è ancora poco conosciuta.

Simonetta: possiamo cominciare dalla tua storia?

Marco: certo, durante i corsi che tengo sottolineo sempre l’importanza della narrazione e poiché non ci sono solo le storie racchiuse nei libri ma anche le nostre storie, io dico sempre che bisogna saper raccontare la propria storia. Per quanto mi riguarda, a sei anni, nonostante le insistenze di mia madre e le punizioni delle maestre, non ne volevo sapere di leggere, usavo come scusa il forte mal di testa che si scatenava ogni volta che affrontavo un testo scritto. Dopo qualche mese a mia ma madre è venuto un dubbio e mi ha portato dall’oculista. Appena i miei occhi hanno visto la pagina di un libro attraverso le lenti degli occhiali, la mia vita è cambiata: sparite le emicranie, ho cominciato a leggere e non ho più smesso! Ho cominciato con i fumetti, poi ho affrontato testi diversi, scoprendo sempre nuovi autori, perché si diventa lettori a gradini, ognuno fa il proprio percorso un passo alla volta.

Simonetta: la passione per la lettura ha influenzato anche i tuoi studi?

Marco: in realtà no, cioè non subito. Il mio è stato un percorso un po’ particolare. Dopo le scuole medie ho deciso di fare l’infermiere, mi sono sposato giovane e poco più che ventenne avevo già la responsabilità dei pazienti in reparto e di due figli a casa. E la lettura mi ha sempre accompagnato, perché leggere mi faceva stare bene, tanto che mi sono domandato se non potesse essere lo stesso per i miei pazienti. Quindi ho capito che per trovare una risposta dovevo ricercare, studiare, approfondire e l’inevitabile conclusione è stata ritornare a scuola, e, sempre continuando a lavorare e a fare il papà, prendere la maturità e iscrivermi alla facoltà di Lettere dell’Università di Verona. Quindi ho raggiunto prima l’obiettivo della laurea triennale e poi della magistrale con tesi sulla biblioterapia. Nel frattempo, nel 2010 ho aperto il mio blog, trasformatosi poi in un sito web, e ho cominciato a gestire progetti e collaborazioni varie: con Università popolari, hospice, centri di formazione e associazioni; da quel momento non mi sono più fermato. Cercavo sempre di più di approfondire i miei studi anche se, in Italia, ancora poco si sapeva – e si sa – della biblioterapia a differenza di ciò che accade all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti, dove la disciplina è nata agli inizi del Novecento.

Simonetta: la tua esperienza di trent’anni anni in campo sanitario come infermiere ti è stata d’aiuto?

Marco: sì e no. Mi spiego meglio: il valore aggiunto che deriva dall’approccio sanitario, scientifico è stato fondamentale, ma ahimè è anche quello meno riconosciuto, e questo nonostante io attualmente in Italia sia l'unico infermiere che ha una formazione e un’esperienza di questo tipo. Il mio desiderio sarebbe stato quello di creare una nuova figura di infermiere, per il quale il ruolo assistenziale venisse arricchito dalle competenze che derivano dalla biblioterapia. Ho quindi provato a proporlo all’azienda ospedaliera per la quale lavoro, iniziando con un progetto in collaborazione con l’università. Ma i miei sogni si sono infranti perché mi sono imbattuto in tutta una serie di lacci e laccioli e regole troppo stringenti che mi impedivano di essere un infermiere e allo stesso tempo un biblioterapista. È stata una grande delusione.

Comunque, non mi sono perso d’animo e ho aumentato le mie collaborazioni con l’università di Verona, prima con il centro di ricerca dipartimentale Asklepios. Filosofia, cura, trasformazione e poi con il Dipartimento di “Culture e civiltà”. Ho così avuto modo di fare un incontro fondamentale, quello con la professoressa Judit Béres, direttrice del Corso di biblioterapia dell'università di Pécs (Ungheria), un corso post-universitario di due anni, che si attiene al modello americano e che rappresenta l'offerta formativa più importante in Europa in questo campo.
Sono riuscito a incontrarla in Italia, grazie alla sua grande disponibilità. Ho potuto finalmente parlare con chi ha un approccio alla biblioterapia simile al mio, per di più in italiano perché la professoressa lo insegna. Lei mi ha parlato del suo corso e delle applicazioni sul campo in diversi settori, di esperienze oltreoceano, di realtà in cui la biblioterapia è già un metodo per tanti professionisti ed è riconosciuta a tutti i livelli in diverse parti d’Europa. È iniziata così una proficua collaborazione che mi ha permesso di essere visto, per la prima volta all’interno dell’ateneo, con occhi diversi. Io, che ero già correlatore di tesi a Infermieristica, ho cominciato a seguire tesi di laurea anche in questo ambito. Ho incontrato la professoressa Formiga, che mi ha aperto la strada per il primo laboratorio didattico di biblioterapia come professore a contratto, un primo riconoscimento formale delle mie competenze.
Nel frattempo avevo già pubblicato un manuale di “Biblioterapia”, per far conoscere finalmente la storia di questa disciplina, che non è una materia appena nata, inventata di sana pianta, bensì a un metodo scientifico collaudato. È stato anche un passo necessario per chiarire la cornice entro la quale avevo intenzione di muovermi e i diversi ambiti della stessa biblioterapia.

Simonetta: infatti lo chiarisci sempre nei tuoi incontri che esistono ambiti differenti che influenzano profondamente l’approccio del biblioterapeuta.

Marco: certo, come ha scritto Arleen McCarty Hynes esistono due macro-ambiti distinti la “biblioterapia clinica”, e la “biblioterapia dello sviluppo”. La prima viene praticata da figure mediche, come psichiatri e psicologi che utilizzano i testi letterari come fonte di discussione in un setting psicoterapeutico; la seconda è utilizzata da operatori sanitari in senso lato, ma anche docenti, educatori, counselor che, a seguito di un’adeguata formazione, operano spesso nell’ambito di gruppi, ma con approcci che, ovviamente, sono e devono essere molto differenti dalla terapia medica in senso stretto. Nella biblioterapia dello sviluppo lo scopo non è la risoluzione di un problema o di un disturbo. L’obiettivo è, invece, potenziare le risorse interiori della persona, le capacità emotive e intellettive, il modo di guardare se stesso nella vita con le lenti dilatanti che sono i libri. Comunque, anche un incontro di biblioterapia dello sviluppo non può essere improvvisato, ma deve partire dall’analisi del profilo degli utenti, in modo da stilare un programma che si adatti alla loro competenza scolastica, linguistica e cognitiva, per giungere a fissare un obiettivo, scegliendo un testo adatto che possa dimostrarsi veicolo di cambiamento. Il facilitatore deve accompagnare la lettura dei libri e sottolineare alcuni passi, come aggancio a discussioni più ampie. Sovente gli incontri sono di gruppo, proprio per amplificarne le potenzialità e per condividerle con altri e il facilitatore deve offrire spunti letterari e di discussione, sempre nuovi. Mi è sembrato necessario anche scrivere Quando la lettura è un dono. Compendio per lettori volontari e organizzatori di servizi di lettura in contesti sociosanitari, affinché fosse disponibile uno strumento anche per chi non si addentrava nella vera e propria biblioterapia, ma utilizzava comunque i libri come fonte di benessere, offrendo il servizio di lettura ad alta voce.
Attualmente vengo contattato per partecipare a convegni in Italia e all’estero, ma il problema è che io continuo a essere un infermiere e non un accademico con un ruolo strutturato e un corso di riferimento, ciò che mi anima resta solo la grande passione per la lettura.
Ho lavorato tanto per creare una fitta rete di contatti con biblioterapeuti di diversi Paesi e tutte le interviste che ho fatto, e che farò, vengono raccolte e pubblicate sul sito “Biblioterapia italiana”. Proprio in questi giorni sto scrivendo un articolo sulla biblioterapia per due università, una in Uruguay e l’altra in Polonia; sto organizzando la nascita di una collana di libri sulla biblioterapia e tecniche narrative.
Ho progettato una biblioteca virtuale per raccogliere i risultati di anni di ricerche nel campo. Organizzo laboratori e seminari su argomenti specifici che, a causa della pandemia, si sono trasformati in incontri online. Su Instagram ho creato un appuntamento settimanale “Non più di mezz'ora” per dialogare di tutto ciò che a che fare con la biblioterapia (nota: dove sono stati ospitati anche Dome Bulfaro e Sara Elena Rossetti di Mille Gru hanno che hanno parlato di poesiaterapia), perché, ribadendo ciò che dicevo prima: è importante fare rete.
Ho dato l’avvio alla “Accademia online di biblioterapia e tecniche narrative” all’interno della quale ho attivato un corso a pagamento, perché ora il mio sta diventando un impegno lavorativo vero e proprio, infatti ho deciso di prendere un’aspettativa dal mio incarico in ospedale. Ho in essere la collaborazione con due radio web, dove terrò brevi incontri e una rubrica radiofonica sui libri e sulla musica nei libri.

Simonetta: tantissime attività su più fronti e in campi differenti e, immagino, anche con linguaggi differenti, ma in conclusione è possibile definire univocamente la biblioterapia?

Marco: possiamo dire che è un percorso che permette di ottenere un benessere interiore e un'occasione di crescita attraverso l'uso della letteratura. Ma la biblioterapia può anche essere: un insieme di tecniche per strutturare l’interazione tra il facilitatore e un partecipante, basate sulla comune condivisione della letteratura, uno strumento che può essere usato per promuovere la salute attraverso i libri, l’uso dei libri per aiutare le persone a risolvere i problemi…
Una delle prime cose che faccio, quando comincio un corso, è elencare le numerose definizioni esistenti, che hanno un unico fulcro, ma si modificano a seconda del campo in cui la pratica viene applicata. Per evitare incomprensioni, io condivido la necessità di modificare il termine di biblioterapia, intendendo quella dello sviluppo praticata da figure non mediche, in “shared reading” eliminando la parola “terapia”, come si sta già facendo negli ambienti di Liverpool e in Germania.
E tutto ciò che ho detto si limita all’esercizio della lettura e non a quello della scrittura, perché quest’ultimo rappresenta un ulteriore ambito di approfondimento. In conclusione, voglio sottolineare che il bello di queste tecniche è che possono andare al di là dell’oggetto “libro”. Mi piace ricordare l’esperienza di una terapeuta che, con un gruppo di pazienti oligofrenici, crea un ambito narrativo grazie all’uso di collane, che fungono da filo conduttore di una storia: ogni perlina colorata è un personaggio diverso, che può quindi stare più o meno vicino a un altro. Le storie create vengono quindi “lette” e condivise. Il libro qui scompare, rimane solo il potere della narrazione.

International Federation of Biblio-Poetry Therapy (IFBPT). Capitolo estratto dal libro Biblioterapia di Marco Dalla Valle, QuiEdit, Verona, 2018 (pagg. 39-41). >> scarica il PDF

 


 

azzurra d agostinoMarco Dalla Valle è un esperto di biblioterapia, che utilizza dal 2010.
A partire dal semplice offrire un libro ai suoi pazienti quando faceva l’infermiere, è arrivato a mettere in campo la biblioterapia nei gruppi di crescita personale, in progetti di bibliomusic-therapy e di fusione della biblioterapia con l’arte.

 
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simonetta de donatisSimonetta De Donatis frequenta dal 2013 il corso di Teatropoesia tenuto da Dome Bulfaro presso la Scuola del Teatro Binario 7 di Monza ed è una dei componenti dei cori “poetici”: CoroDiverso e PoetiCanti.
Per Mille Gru segue dal 2018 vari progetti didattici, editoriali e culturali.
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