Questo articolo è un approfontimento di Gabriele Marciano sulla metafora, e in particolare sull'utilizzo della metafora in ambito psicologico. Intervento preparato per la conferenza “Le metafore delle malattie”, secondo dei tre incontri del progetto “Anticorpi poetici”.
La metafora
Sappiamo bene cosa sia una metafora. Ne apprezziamo il valore aumentativo sulla conoscenza, lo slancio poetico, l'andamento giocoso. Aristotele, il filosofo di epoca classica che più ha ragionato sul linguaggio in rapporto al pensiero (il logos), attribuiva alla metafora un ruolo catartico, di elevazione del processo conoscitivo, tanto da augurarsi che gli schiavi non conoscessero la metafora, perché non si elevassero più del dovuto. Ma non soffermiamoci troppo sulla metafora in sé, oggetto di studi e analisi fin troppo numerosi e di tendenza, in linguistica e altre discipline, e ruotiamo il nostro sguardo di 180 gradi per osservare il suo opposto, la sua antimateria: il pensiero concretistico.
Il pensiero concretistico
È una modalità diffusa (si dice) nel pensiero primitivo, caratteristica delle fasi precoci dello sviluppo (e in questa fase, dunque, fisiologica) e della disabilità intellettiva. Se in risposta all'esclamazione “tagliamo la corda!” qualcuno prendesse le forbici e cercasse davvero una corda da tagliare, dubiteremmo, infatti, della sua intelligenza. Nell'individuo sano e adulto la tendenza alla reificazione è considerata un vero e proprio disturbo della comprensione simbolica. Il concretismo emerge in alcune sindromi patologiche, quali l’autismo e la schizofrenia, che hanno un forte impatto sul funzionamento cognitivo e producono rilevanti interferenze, anche in presenza di un livello cognitivo adeguato o superiore alla media.[1] Lo psichiatra italoamericano Silvano Arieti (2014) scrive che una persona, cosiddetta sana, può sentire che la relazione con il coniuge lo stia avvelenando (per modo di dire), mentre lo schizofrenico inizia a sospettare che il coniuge lo stia avvelenando concretamente.
Questo tipo di pensiero non permette il procedimento metaforico e ogni altro slittamento del significato: l’ironia, la battuta, il gioco di parole, l’allusione eccetera. Se la metafora guarda dietro alla forma per scorgere un contenuto inaspettato, il pensiero concreto guarda solo a ciò che appare, disinteressandosi dello sfondo più o meno invisibile.
La traslazione e il rapporto fra sensibile e insensibile
Una favola, una parabola, una battuta di spirito, un mito, sono strutturati per alludere a qualcosa d'altro attraverso il dato immediato. Attraverso il dato letterale, si rende comprensibile qualcosa che sta su un piano semantico superiore. Allo stesso modo un oggetto può diventare simbolo di qualcosa di astratto, di un’idea, di un concetto, così come le icone permettono l’accesso all’idea del divino, secondo gli iconoduli (nonostante l’opposizione degli iconoclasti, che temono una reificazione eccessiva, che porti il fedele ad adorare l'oggetto e non ciò che rappresenta), e ciò fu tipico della cultura greco-romana, e poi del cattolicesimo. La figura, ancora, rende possibile l’accesso all’idea non solo nel figurativismo (come scrive John Ruskin[2] a proposito della pittura “dal vero”) ma anche nell’astrattismo, come descritto da Kandinsky, Marc, Schomberg e altri.[3]
Allo stesso modo agisce la metafora: il suo valore conoscitivo si realizza attraverso una lettura che, seppure immediata o a volte automatica (come già descritto), è comunque interpretativa. La traslazione, tuttavia, può non essere un’operazione sofisticata, studiata per espandere l’orizzonte di senso, e per raggiungere piani più elevati. Può derivare da uno slittamento, da una lassità associativa: il principio di somiglianza era la modalità conoscitiva dominante nell'antichità. Come ancora oggi nella poesia, la parola era polisemica, libera cioè di assumere diversi significati, e questi erano attribuiti a partire non solo dalle analogie, ma anche dalle assonanze, da suggestioni indotte dalla somiglianza delle parole stesse. Zolla (1963) aveva individuato lo stesso procedimento nell’atteggiamento dei mistici, che fino al medioevo si esprimono mediante simboli e analogie. Questo paradigma (o episteme, secondo Foucault, 2016) tramonta con l’affermarsi della scienza come processo conoscitivo ufficiale, nell'esigenza dell'esattezza nel rapporto tra parola e oggetto nominato, e soprattutto con il dominio dello scientismo come dogma autoritario e irrazionale. Questo sovvertimento del principio conoscitivo, come osserva ancora Zolla, ha provocato il tramonto dell’educazione alla lettura del simbolo. La scienza esigerebbe un linguaggio neutrale e indicativo: “il sacrificio dello spirito esige la rimozione dello stesso metaforeggiare” (1966, p. 307).
Diversi usi della metafora
Nella forma chiamata catacresi, la metafora è un modo per nominare oggetti che non hanno un nome proprio. Sappiamo che nel lessico tecnico, ogni singolo oggetto deve avere un nome esatto, perché non ci si può confondere, la precisione è una priorità, la corrispondenza tra nome e oggetto nominato non può lasciare adito a interpretazione, a confusione, a un procedimento associativo ondivago. Nella nautica, ad esempio, ogni piccolo particolare della barca, che magari avrebbe già un nome comune, altrove, è designato con un termine specifico. Nel linguaggio comune, invece, non ogni oggetto (o azione, o qualità) ha un nome proprio, altrimenti le parole sarebbero troppe. Allora i “buchi” sono riempiti da espressioni metaforiche, spesso sinestetiche. Il che corrisponde a una lettura corporea o comunque associativa della cosa da nominare. Ad esempio la “gamba del tavolo” è un'espressione alla quale si ricorre per nominare qualcosa che ricorda, per forma e funzione, una parte del corpo.[4] La metafora, dunque, può essere più o meno nobile, a seconda dell'origine e dell'uso che ne viene fatto. Pensiamo al linguaggio poetico della cultura dei nativi americani, almeno per come ci viene spacciato dal cinema mainstream: il cavallo di ferro per indicare il treno, il bastone tonante per il fucile… Il carro di fuoco, (il sole), è una metafora mitologica universale. La Via Lattea, la nostra galassia, è così nominata da un capitolo della mitologia greca: Zeus cerca di far allattare, alla moglie dormiente, il piccolo Eracle, frutto della rocambolesca liason con Alcmena, l’ignara moglie di Anfitrione. Era però si sveglia d’improvviso, e il latte della sua mammella schizza con forza e volumi prodigiosi nel cielo, formando appunto la Via Lattea. Le cosiddette metafore d'uso, sul fronte opposto, sono invece associate al linguaggio quotidiano (“c'è un mare di gente”, “sono una persona solare”), e così, consumate e abusate, perdono il loro sapore, come le gomme americane masticate troppo a lungo.
Lo stesso avviene nei giochi d’infanzia dove si ripete mille volte una parola fino a renderla bizzarramente incomprensibile. È talmente stereotipato, l'uso che può essere fatto di una metafora, abbassandola al rango di espressione idiomatica, che il pensiero concretistico, se interviene in tali ambiti di significazione, ha un effetto comico, nel suo discostarsi dal senso comune. É anzi un espediente molto usato, negli sketch: il personaggio interpreta alla lettera ciò che era stato espresso in termini metaforici dalla spalla.
Ancora, per i termini nati da procedimenti associativi (come lo sono anche le onomatopee e le antonomasie), molto spesso, si perde memoria del legame associativo stesso, e le parole suonano come originali, nuove, mentre una ricostruzione del percorso etimologico ci fa riscoprire l'origine metaforica. È un salto verso l'astrazione, lo stesso compiuto dalle lettere dell'alfabeto: se in quello cananeo ogni lettera era un ideogramma che doveva indicare un oggetto, il cui suono iniziale corrispondeva al suono della lettera stessa (principio dell’acrosticismo), con una progressiva stilizzazione e a volte rotazione,[5] il segno diventa completamente astratto, digitale. Anche per queste parole, dunque, la metafora originale perde il suo sapore, e addirittura diventa invisibile.
Alternanza fra traslazione e concretismo
La metafora, in origine, è dunque una facilitazione per la concettualizzazione, che usa il tramite del corpo e delle conoscenze già acquisite e condivise per rendere più accessibili concetti complessi, astratti, sovramondani. Dunque, usi elevati e quotidiani della metafora si mescolano, si intrecciano. Non solo: s'intrecciano anche forme evolute e involute di pensiero, la simbolizzazione e la reificazione, in una dialettica complessa. Secondo il filologo tedesco settecentesco Christian Gottlob Heine, il mito, come il simbolo, nasconde in modo inconsapevole un linguaggio filosofico profondo, non concettuale, ma espresso attraverso immagini.[6] Il procedimento mitologico, cioè, prende una metafora e la rappresenta in termini concreti: se ad esempio il pensiero verbale utilizza la metafora del concepire o generare, per esprimere l'idea di creare qualcosa attraverso il pensiero, ecco che nella storia mitologica occorre una gravidanza, o un parto. Se esiste la tendenza spontanea a interpretare il canto degli uccelli come se fossero parole,[7] nel mito gli uccelli parlano davvero. Anche nel mito, come nel sogno e nella poesia, è presente una lassità dei nessi associativi. Ne è esempio il mito di Deucalione e Pirra. A costoro, gli unici esseri umani sopravvissuti a un castigo divino, è permesso di ricostituire un popolo. Devono lanciare delle pietre dietro le spalle, e da queste nasceranno uomini e donne. Attraverso l’atto magico le pietre (in greco antico laas) sono trasformate in persone, cioè membri del popolo (laos). Una semplice assonanza fra termini è sufficiente a permettere la metamorfosi di uno dei significati nell'altro, e la stessa proprietà si trasmette agli oggetti indicati dai nomi.
Pensiero metaforico e pensiero concreto sono alternative sempre presenti nel repertorio del pensiero umano, anche se alternativamente dominanti in alcune culture, in alcune fasi di sviluppo, dell’essere umano o della civiltà, in alcuni contesti. Ragioniamo su questo punto. Abbiamo visto che il procedimento concretistico sia per certi versi inadeguato, basso, involuto. Eppure, è quanto permette l’esplorazione concreta, agita, della metafora, così come accade nella schizofrenia ma anche nel mito, nelle parabole, dove il linguaggio metaforico è per così dire condensato e pronto a manifestarsi se estratto dal corpo della sua narrazione. Su questa relazione tra metafora e reificazione si fonda il mio approccio alla poesiaterapia (2020). La poesia si esprime (soprattutto, ma non solo) attraverso un linguaggio metaforico e allegorico; l’esplorazione immaginativa rende concreta la metafora, permettendo un’esplorazione del concetto attraverso il corpo, e cioè la spazialità, la temporalità, la messa in gioco di tensioni, risoluzioni, vissuti. In modo simile lavorava lo psicoterapeuta Milton Erikson, non attraverso la poesia, ma l’induzione ipnotica: a partire da una metafora sviluppava un campo immaginativo, dove il suo paziente era immerso e dove si palesavano soluzioni diverse a problemi esistenziali o semplicemente sintomatologici.
Prendiamo ad esempio la Divina Commedia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita” è un verso che crea uno spazio, un luogo (immaginativamente) concreto. Siamo in una strada, e ciò permette lo sviluppo dell’allegoria che ne segue, dove in quello spazio immaginario compaiono personaggi, animali, mostri, fino allo sviluppo che conosciamo. Dicendo “a 35 anni circa” non si sarebbe aperto nessun panorama immaginativo. Pensiamo ancora all'orologio. Nella sua versione analogica alcune lancette si muovono, lasciando emergere una sinestesia, dove il tempo è percepito attraverso coordinate spaziali. L'orologio digitale, invece, indica l'orario in modo numerico, in modo più astratto, meno intuitivo e corporeo. Tornando ai campi metaforici, quando Rogers Waters sentì che fra sé e gli altri si era creato un muro, metaforicamente parlando, concepì una storia che raffigurava un muro vero e proprio, e così nacque The Wall. L'allegoria della vita come rappresentazione teatrale è tanto antica quanto vasta. Shakespeare, Pirandello, il già citato Waters e molti altri l’hanno esplorata senza mai consumarla. In sintesi, la concretizzazione della traslazione permette la nascita e l'esplorazione di un mondo immaginativo, che può essere percorso a scopo terapeutico.
Cornici metaforiche
Siamo sempre immersi, in sostanza, in un discorso metaforico e allegorico, anche nel linguaggio stereotipato dei media, delle conversazioni da ascensore, perché la metafora e l’allegoria sono procedimenti che possono essere anche inconsapevoli e residuali, come abbiamo notato in precedenza. E se assumiamo per valide, perché le sentiamo mille volte, alcune traslazioni, per esempio sulla malattia, il nostro immaginario ne viene forgiato, ancora in modo stereotipato, e da ciò deriva una precisa griglia conoscitiva. Questa orienta la ricerca e l'interpretazione dei dati, perché la teoria precede sempre l'osservazione: anche in ogni approccio presunto “empirico” e “induttivo”, la mente umana tende inconsciamente a sovrapporre i propri schemi mentali alla realtà osservata, come pensava, fra gli altri, Karl Popper.[8] Quest'ufficializzazione dei pregiudizi costituisce un impedimento a uno sguardo diverso, originale, libero, inventivo. E diciamo sguardo non in senso metaforico, anzi, metaforico sì, ma concreto. Il concetto di metafora concreta lo dobbiamo allo psicofisiologo Vezio Ruggieri,[9] che descrive il processo attraverso cui una metafora, e in particolare una sinestesia, non solo un “modo di dire”, ma si realizza nel corpo. L’immagine interiore è davvero esplorata attraverso lo sguardo, attraverso una percezione rivolta alle immagini mentali. Non stupisca dunque che in inglese il verbo capire (to see) sia sinonimo di vedere. Ecco l’anello mancante fra la metafora e l’immaginario, fra il pensiero concreto e quello simbolico: ogni azione mentale superiore si fonda su un processo filogeneticamente più antico, che diventa modulo funzionale di un’operazione più complessa, come accade con la percezione, che diventa modulo del pensiero, con il comportamento sessuale, che diventa modulo dell'attaccamento, e così via.[10]
La metafora nella malattia
Per il semiologo George Lakoff (2006), il sistema concettuale umano attraverso il quale si pensa e si agisce nelle situazioni ordinarie, è sostanzialmente metaforico. Nonostante quanto detto dell’episteme attuale, che esige una relazione di esattezza tra parola e cosa nominata, la personificazione è un espediente residuale ancora molto usato. Tipico della tradizione orale e pre-filosofica, della narrazione mitologica che precede la filosofia e il procedimento logico, possiamo rintracciarlo ancora oggi non solo nella favola, nell’arte, nella poesia e nella narrazione, ma anche nella filosofia e addirittura nel discorso scientifico, nonostante la scienza ufficiale prenda le distanze da tale procedimento. Schröedinger (1963, p. 126), citando Mach, osserva come i resti dell’animismo siano sopravvissuti nella fisica fino al novecento, e sono ancora presenti nell’idea astratta dei rapporti causa/effetto. Huizinga (1973, cap. VIII), similmente, trova tracce consistenti della figurazione mitologica nella concettualizzazione scientifica, attraverso la “personificazione dell’immateriale e dell’inanimato” (p. 160). Mitizzazione che ha avuto per oggetto gli emisferi cerebrali, il DNA. e, più recentemente, i neuroni specchio. Ancora Huizinga nota come la filosofia e la psicologia moderna non abbiano ancora abbandonato completamente lo strumento espressivo dell’allegoria (p. 166). Freud descrisse la psiche umana con delle “topiche”. L'inconscio, nella narrazione scientifica di un tipico (seppur geniale) rappresentante del positivismo, è descritto come un luogo, dove accadono cose straordinarie.
Anche il dibattito pubblico sulla malattia, dunque, si fonda su metafore e allegorie. Quante volte sentiamo dire che una persona, malata, sta combattendo contro un “nemico insidioso”? Il nemico sarebbe la malattia, e l'ufficializzazione del modo di dire, che ha una forza coercitiva straordinaria, conduce a un immaginario predefinito, perché è difficile astenersi dall'usare le metafore e dall’esplorarle immaginativamente. Spesso quest'operazione è inconsapevole, automatica, inesplorata. La metafora bellica cade a proposito, in epoca COVID, perché la guerra, per eccellenza, è la condizione dove maggiormente tutti sono chiamati a fare il proprio dovere senza potersi tirare indietro, pena uno stigma sociale pesantissimo. Gli uomini in trincea; gli inabili al combattimento, comprese le donne, in fabbrica. Ognuno doni il suo oro allo stato, le fedi nuziali, i denti. Siamo carne da fabbrica e da cannone, scriveva Elsa Morante nell'introduzione a La Storia. Sia detto, questo, a prescindere dall'idea che dietro alle misure prese per contenere la pandemia ci sia un uso strumentale, a vantaggio di pochi.
La metafore usate nel discorso scientifico e nel dibattito pubblico sono rimbalzate, moltiplicate dagli specchi dell’informazione/trattenimento, che diffondono e naturalizzano i pregiudizi. Contro questi pregiudizi è necessario proporre altre letture, altre prospettive (anche questa è una metafora concreta), liberando lo slancio immaginativo e rendendolo consapevole. Non basta fare la guerra ad alcune parole, perché lo slogan “le parole fanno le cose” è una semplificazione e un appiattimento, espresso in modo dogmatico e autoritario, di un processo molto complesso; è necessario, piuttosto, diffondere gli strumenti psicologici per decostruire la cornice concettuale proposta dal senso comune ufficiale.
Bibliografia
Arieti Silvano (2014), Interpretazione della schizofrenia, Roma, L’asino d'oro edizioni.
Carnevali Rossella, Giorgini Luca, Masillo Alice, Polese Daniela (2014) Introduzione ad Arieti: Interpretazione della schizofrenia, Roma, L’asino d'oro edizioni.
Foucault Michel (2016) Le parole e le cose, Milano, Rizzoli (edizione digitale).
Huizinga Johan(1973) Homo ludens, Giulio Einaudi editore.
Kandinskij Vasilij, Marc Franz (1988) Il cavaliere azzurro, Casa editrice SE.
Lakoff George (2006) Non pensare all’elefante!, Edizioni Fusi Orari.
Marciano Gabriele (2019) Sguardo, forma, verità - Edizioni Universitarie Romane.
Marciano Gabriele (2020) Il “prisma poetico”, poetizzazione terapeutica di gruppo, Poetry Therapy Italia, n. 001.
Ruggieri Vezio (2001) L’identità in psicologia e teatro, Roma, Magi edizioni.
Ruskin John (1998) Pittori moderni, Giulio Einaudi editore.
Schröedinger Erwin (1963) L’immagine del mondo, Bollati Boringhieri.
Zolla Elémire (1963) I mistici dell’occidente, Adelphi.
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[1] In psichiatria si parla di pensiero paleologico (Silvano Arieti), pre-logico (Levy-Bruhl), paralogico (Von Domarus), cfr. Carnevali – Giorgini – Masillo - Polese, 2014, p. XXXVIII.
[2] 1998.
[3] Cfr. Kandinsky V./Marc F., 1988.
[4] Il fatto curioso è che in epoca vittoriana le gambe del tavolo erano nascoste da lunghe tovaglie, come lo erano le gambe delle donne dalle gonne, per motivi di pudore. Ecco un diffuso procedimento concretistico.
[5] Come accade alla A (che non è il suono vocalico attuale, ma il cosiddetto colpo di glottide, ancora presente nell'alfabeto arabo) che non era altro che il disegno semplificato della testa del bue (Alp).
[6] Cfr. Radio Rai Due, Alle 8 della sera - Sussurri di Hermes di Maurizio Bettini, puntata 2 del 22.10.2002, min.8.40.
[7] Un gioco molto diffuso è quello di tradurre nella propria lingua, per somiglianza fonemica, i testi delle canzoni in lingua straniera. Un gioco che si basa sulla pareidolia, l'attitudine a riconoscere contenuti in forme astratte e casuali. Anticamente si traduceva il canto degli uccelli, la mitologia antica trabocca di esempi a proposito (cfr. Marciano, 2019).
[8] Cfr. Marciano, 2019, p. 45/54.
[9] Ruggieri, 2001, p.249.
[10] Il concetto è esplorato sistematicamente in Marciano, 2019, soprattutto nei capitoli 2 e 3.
Gabriele Marciano, Psicologo e psicoterapeuta, lavora in un servizio territoriale della ASL, dove inizia, a partire dal 1994, a condurre gruppi di poetizzazione con adolescenti. Dal 2002 è docente presso il master triennale di arte-terapia dell’AEPCIS, Roma, per il corso di poesia-terapia.
Poeta e musicista, scrive numerosi articoli e saggi su psicologia clinica, estetica, poesia e arte-terapia e, nel 2019, pubblica il libro Sguardo Forma Verità (lettura interdisciplinare del rapporto tra forma e contenuto), per le Edizioni Universitarie Romane.
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