Poetry Therapy Italia

casiraghy 37

Questo articolo è la prima parte del racconto di dodici anni di sperimentazione terapeutica dello strumento di comunicazione audiovisiva nelle corsie dell’Azienda ospedaliera Socio Sanitaria Territoriale dei Sette Laghi (Varese/Luino)

Portare l’audiovisivo tra le corsie di un ospedale: non una suggestione ma una proposta articolata. 
È il 2008, da tempo alterno l’attività di sceneggiatore e articolista per diverse riviste di cinema, a quella di formatore. Con sempre più insistenza insegnanti, studenti, come anche il pubblico più appassionato chiedono di approfondire la grammatica di un linguaggio complesso e cruciale per orientarsi nel cosmo della comunicazione audiovisiva che dalla sala, e dallo schermo TV, inizia a conquistare le prime piattaforme di condivisione sul web (Youtube nasce nel 2005).

La proposta questa volta arriva dall’Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi” di Varese. Inaspettata, sorprendente.
Cosa chiedono al cinema, alla fotografia, in generale alla cultura iconica, medici, infermieri, fisioterapisti, logopedisti, educatori? Quali aspettative nutrono verso un percorso formativo inedito, spiazzante per alcuni, e proposto dalla Direzione come una scommessa?
Senza troppa fantasia, apro gli archivi nel cervello e scorro veloce lunghe liste di film divisi per generi, autori, temi, per scovare, sotto il segno del cinema come terapia dell’anima, titoli per imbastire una rassegna guidata. E invece niente di tutto questo.

Pensare al cinema, ma più in generale alla cultura dell’audiovisivo, in un ambito come quello ospedaliero è stata una sfida lanciata da alcuni operatori che da anni lavoravano (molti di loro lavorano ancora oggi) in contesti affini a quelli della riabilitazione psichica e motoria all’interno dell’Azienda. Non si trattava del cineforum tematico, ma di corsi intensivi sui rudimenti del linguaggio prima, fino alla strutturazione, in un secondo momento, di laboratori di scrittura e  montaggio per poter produrre audiovisivo con i pazienti o per i pazienti.

2008-2020, dodici anni, un lasso di tempo che ci ha permesso di identificare istanze diverse e cuori tematici, di formare gruppi di lavoro e cadenzare gli interventi formativi su dodici o diciotto mesi.
Diverse le linee guida che si sono via via definite, non sempre pianificate, piuttosto conseguenza di tensioni creative che hanno agitato le menti dei partecipanti ai corsi, fino a trovare coincidenze tra attività professionale e strumenti di comunicazione audiovisiva, centrando per questo il primo degli obiettivi che ci eravamo dati: comprendere la natura delle immagini fisse o in movimento, mute o sonore, per piegarle alle esigenze dei percorsi terapeutici.

La prima linea guida ha tentato di sviscerare i congegni del linguaggio cinematografico, partendo dalla cellula che nelle sue varianti, organizzata in tessuti, compone l’organismo: ovvero l’inquadratura, spazio polisemico che genera interrogativi radicali, prima di arrivare al cinema cosa bisogna sapere sul mistero di un’immagine che ancora non si muove ma che muove intelletto e cuore di chi la osserva? Quali circuiti sotterranei producono racconto in un Caravaggio o in una istantanea di Robert Capa e, di conseguenza, generano correnti emotive a volte disarmanti? Quale sortilegio agisce sulla psiche così da provocare permeabilità, immersione, identificazione, meccanismi proiettivi, fino alla riverie, nel momento in cui in sala buia una luce apre un varco alla più profonda illusione di realtà che l’uomo sia riuscito a produrre nell’ultimo secolo del secondo millennio?
Infine, acquisite minime competenze linguistiche e conoscenze sul funzionamento teorico del cinema e dei meccanismi di percezione dello spettatore, in che maniera è possibile trasformare l’esperienza in strumento operativo?

Seppur in una geografia linguistica delimitata dalle coordinate della formazione da zero, una volta appurata la relazione tra significanti e significati nella produzione dell’immaginario cinematografico, la sfida si è tradotta nell’esigenza di produrre, seppur con mezzi limitati, audiovisivi con finalità anche lontane tra di loro sulla base di istanze legate alle professionalità di una platea eterogenea:
1. il terapeuta che ha necessità di riprendere con precisione e oggettività le trasformazioni di un paziente, limitando qualsiasi intervento in post-produzione (il montaggio ad esempio); il problema del come e dell’invasività della videocamera (dove posizionarla, quale taglio scegliere, il problema del setting, la ripresa chiara delle componenti sonore);
2. il terapeuta che intravede nell’audiovisivo uno strumento per accelerare la riabilitazione motoria – grossa e fine – di pazienti che devono recuperare abilità perdute (afferrare oggetti e/o manipolarli, pettinarsi i capelli o abbottonarsi una camicia, ecc.), identificando nella videocamera uno strumento per ottenere immagini in grado di far lavorare i neuroni-specchio sulla base delle teorie più recenti elaborate a partire dal lavoro svolto da studiosi italiani sul finire del secolo scorso.

Ma, nella prassi riabilitativa, soprattutto per chi opera nell’alveo del disagio psichico o della patologia, è parso evidente come, più che il cinema in quanto film o in quanto luogo, è anche l’audiovisivo come pratica laboratoriale a farsi interessante. Per cui:
3. terapeuti ed educatori hanno coinvolto i pazienti nella produzione di brevissimi filmati con l’intento di stimolare la partecipazione a un’esperienza collettiva che potesse rinegoziare l’immagine del sé nella vestizione di ruoli nuovi.
L’esperienza del laboratorio, seppur nei vincoli dettati dalle storie individuali, dal setting, dagli strumenti a disposizione, che fosse una video-presentazione o la messa in scena di piccole gag, è stata la scintilla che ha acceso una nuova narrativa personale e di gruppo, tanto per i pazienti che per gli operatori. La videocamera, simulando ciò che da tempo fa la macchina da presa, diventa una superficie riflettente, uno specchio dove ritrovare, consapevolmente o inconsapevolmente, certe zone meno visibili, caratteri latenti, improvvisamente palesi nell’immagine sdoppiata (che è poi ciò che avviene nell’esperienza teatrale o nei laboratori di scrittura creativa, spesso responsabili dell’origine di ecosistemi nuovi e inaspettati).

Negli ultimi anni l’Azienda, adesso denominata Socio Sanitaria Territoriale dei Sette Laghi (Varese/Luino), ha scelto di puntare prima sulla sperimentazione, alla quale facevo cenno in precedenza, che dovrebbe promuovere l’audiovisivo a strumento centrale nella riabilitazione di traumi neurologici colpevoli di disprassie o di parziali inabilità motorie. Per questo ha predisposto per i fisioterapisti che lavorano sull’attivazione dei neuroni-specchio, una formazione pratica che possa renderli autonomi nella creazione di filmati pensati per aiutare i pazienti compromessi.
Un secondo investimento è invece tutto teorico e apre ad approfondimenti che accostano il cinema alla filosofia, per affrontare temi tutt’altro che secondari in ambienti ospedalieri, quali la morte e l’elaborazione del lutto, i traumi e la resilienza, il fluire del tempo nelle diverse fasi della vita.
Di queste esperienze argomenterò i passaggi salienti nei prossimi numeri della rivista, tenuto conto che a Varese a fine autunno ritornerò con i gruppi di lavoro proprio sui concetti di resilienza e superamento del trauma, aiutandomi con testi filmici che hanno saputo raccontare la fragilità dell’esistenza con il garbo e la delicatezza dei poeti.

 


 

azzurra d agostino

Alessandro Leone, regista, sceneggiatore e critico, ha pubblicato diversi saggi sul cinema. Scrive da più di vent'anni per Il Ragazzo Selvaggio. Da lungo tempo svolge attività di formazione presso l'Azienda Ospedaliera Sette Laghi in provincia di Varese. 
Come regista ha girato La fune (2005), Fuoriscena (con Massimo Donati, 2013, Nastro d’Argento speciale 2014) e Storie di pietre (2019, Premio RAI Trento come miglior documentario di attualità).  Nel 2010 scrive il documentario diretto da Daniele Azzola, La via del ring, Guirlande d’Honneur al 28th International Sport Movies & Tv di Milano.
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