L’organizzazione di un laboratorio di poesia capace di accogliere, accordare e trasformare; un cammino di parole e musica, che, grazie all’utilizzo di tecniche diverse, porta alla scrittura di parole poetiche in continua riflessione tra io interiore e realtà esterna
Per il secondo anno ho vissuto un’esperienza bellissima in qualità di formatrice presso La casa delle farfalle a Prato di Strada (AR), una realtà voluta, fortemente desiderata, da Paolo Costa e Roberta Ravanelli. La casa delle farfalle propone percorsi di varia natura su tematiche diverse, dalle discipline olistiche, alla psicologia e alla comunicazione, alla poesia.
E sulla poesia, sulle sue possibilità e potenzialità, mi è stato proposto di progettare un corso, un’esperienza da far vivere a chi avesse avuto voglia di staccare la spina per un fine settimana e dedicarsi del tempo.
Avevo ben chiaro il tema che avrei voluto per il mio corso: il viaggio, il cammino, lo sguardo trasformato grazie alla parola poetica… di qui Siamo Poesia In Cammino: per un nuovo sguardo attraverso la cura della parola; ma quando si progettano corsi di questa natura, non sai nulla circa i partecipanti: il loro livello culturale, le loro esperienze lavorative ed esistenziali. Pertanto, puoi solo ipotizzare: amano la poesia; hanno fatto altre esperienze di questa natura; vogliono trascorrere un tempo diverso; sono incuriositi… (il mio elenco sulle caratteristiche dei partecipanti è stato molto più lungo).
Non avendo la possibilità di raccogliere notizie sul gruppo, eccetto il numero dei partecipanti, 21, e il tempo a mia disposizione per suddividere i momenti all’interno del progetto, ho focalizzato le mie energie sul tema e sulla caratteristica del corso stesso. Così ho fatto una ricerca delle letture, dei testi delle poesie, degli studi sugli effetti delle parole sul cervello. Ho fatto delle ricerche etimologiche e storiche sulle parole occhio e sguardo: la stesura del progetto, che è stato più volte rivista, parallelamente agli approfondimenti e spunti che emergevano dalle mie letture, è un aspetto che amo molto ed è la base fondamentale di ogni laboratorio di biblio/poesiaterapia.
Per ogni momento, ho, poi, pianificato, non solo le letture, ma anche le attività di scrittura, gli esercizi che avrei proposto e i tempi con le pause che ci sarebbero state nelle due giornate. Ho pensato ad altre letture, poesie e brani, di “riserva”: penso sia sempre utile averne a disposizione. E i materiali: pagine di libri da macero, carta, penne, matite, fogli grandi, grandissimi, colori, tanti colori.
Dopo la presentazione da parte degli organizzatori, si comincia dalla parola in generale per finire con la parola poetica.
La parola crea e la poesia è la chiave che meglio di qualunque forma testuale ci fa entrare nelle parole, descrivendo il nostro rapporto con esse, la morfologia, la fonetica, l’effetto che provocano, dove risuonano. Le parole generano mondi.
Le parole creano la realtà e la trasformano. Che effetto hanno su di noi le parole che ci diciamo, quelle dentro di noi e che ci portiamo dentro. Siamo consapevoli del potere che le parole hanno dentro di noi? A partire dal nostro dialogo interiore. Le parole non sono mai neutre. Producono un effetto. Già Freud dice che in origine le parole erano come incantesimi. La parola è creatura vivente. Wittgenstein diceva che la realtà è frutto del linguaggio che noi usiamo per descriverla. Cosa succede nella mia mente quando mi dico: quella cosa è impossibile? O, ancora, non so fare nulla? Vediamo la realtà che descriviamo. Tabar in ebraico significa parola e fatto. Dio parla e le cose esistono.
Ma perché scegliere la poesia rispetto alla narrazione?
La poesia offre uno sguardo trasformato e trasformativo sulla ruvidezza della realtà.
La difesa del niente, della tenerezza, del vuoto, dell’impercettibile che viene alla luce, della delicatezza. Sguardo gentile e dolce, credendo soprattutto nelle parole che diciamo.
Se noi siamo le nostre parole e le parole creano mondi, ciò che dobbiamo operare è una metamorfosi dello sguardo, il nostro. La metamorfosi dell’io passa attraverso lo sguardo.
C’è una poesia di Claudia Fabris, in Parole sotto sale, AnimaMundi, intitolata, appunto, Occhio.
Occh-io
Contiene l’io
Anche in inglese esiste questa corrispondenza
Eye, occhio si pronuncia
Allo stesso modo di I, io
Come se tutto ciò che vediamo
Fosse solo un’estensione dell’io
Se l’io cambia, cambia anche la realtà
Il che spiegherebbe perché alcuni vedono cose
Che ad altri rimangono velate
Ma trasformare cosa? Lo sguardo.
In un Mondo come il nostro, tecnologico e legato ai dettami della scienza, parlare di poesia può risultare fuori tempo, ingenuo, nostalgicamente romantico. E per operare questa trasformazione semplicemente chiediamo aiuto a due scienze: la fisica e la chimica.
La fisica opera un cambiamento di forma, non di sostanza, come può esserlo ad esempio il cambiamento di stati dell’acqua, metafora dell’esistenza di diversi punti di vista.
La chimica, invece, modifica l’identità delle sostanze, si trasformano in sostanze differenti. H2O: è un dividere per moltiplicare.
È quello che accade nel quadro di Salvador Dalì, La danza del dente di leone, o nella canzone Il chimico di De André:
“Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare, guardate l'ossigeno al suo fianco dormire: soltanto una legge che io riesco a capire ha potuto sposarli senza farli scoppiare”.
I partecipanti, che si sono presentati attraverso un Piccolo Undici[1], scelgono un’immagine tra una serie di ritagli da riviste: la conserveranno; servirà per l’attività della serata, dopo cena.
Lo sguardo trasformativo mette in relazione, accorda il dentro col fuori. Accordare è un’operazione trasformativa; è rivolgere lo sguardo al dentro di noi. Accordare ha in sé la radice cor – cordis: si accorda quindi il cuore, è un rincasare, un ritornare al cuore per poi partire, riprendere il viaggio. D’altro canto per gli antichi ri-cordare non significava ritornare al cuore in quanto organo sede della memoria?
Prima del viaggio, metto ordine nelle mie “cose”: cosa mi rende felice, da fecundus, fertile, cosa mi rende contento, da contentus, sazio, temporaneamente appagato?
Colamedici e Gancitano in Prendila con filosofia propongono l’esercizio del “felice e contento”, ma è Wislawa Szymborska con la sua “Possibilità” che ci permette di fare un esercizio di scrittura a ricalco.
Accordati e trasformati, inizia il viaggio. Cosa metto nella mia valigia? Anche una canzone, supportata da un video, può rappresentare un’ottima attivazione per la scrittura di una poesia attraverso il Metodo Caviardage® di Tina Festa (in questo caso ho scelto la canzone di Ligabue “Il peso della valigia”). Ho utilizzato la tecnica base e la mia voce ha guidato passo dopo passo i partecipanti nel processo del Metodo. Ogni condivisione, sempre libera, avviene senza far seguire alcun giudizio: è una lettura a catena, in un ambiente protetto, di cura e ascolto.
Con il cut up (le parole erano state già precedentemente ritagliate da riviste e libri da macero), sempre del Metodo Caviardage®, ispirato dall’immagine scelta da ognuno dei partecipanti, è stato realizzato un pannello: parole e colori, mani imbrattate dai colori che completavano artisticamente la poesia di ognuno che incontrava quella dell’altro.
Tra le forme poetiche lo haiku mi è sembrata la più adatta a rappresentare l’accordo tra il mondo dentro di noi e il mondo fuori. Lo haiku deve poi includere un kigo un richiamo ad una stagione, al mondo esterno e alla natura; mentre lo hon’i è l’anima del kigo, il suo significato poetico, che si manifesta quando l’occhio del poeta mette in contatto il dentro con il fuori. E così, dopo una breve presentazione dello haiku e la lettura di alcuni esempi, io do il primo verso “Il mio sguardo”.
Guardare quindi dalla finestra del cuore, con uno sguardo che sa ancora stupirsi. Sguardo, ma anche postura: il nostro essere al mondo, il nostro sapersi soffermare sui particolari, sulle piccole cose, una foglia, il tronco di un albero, una nuvola.
Camminare nella natura per poi tornare e fare un esercizio di scrittura automatica, partendo dalle domande stimolo: cosa mi stupisce? Cos’è lo stupore per me?
La poesia nasce dalla fase estrattiva: scelgo dal testo tre/quattro frasi; le riordino, liberamente; nasce il mio pensiero poetico.
Emily Dickinson, Etty Hillesum, Christian Bobin, con le loro poesie e riflessioni sullo sguardo, sullo stupore e sulla postura nel viaggio dell’esistenza, hanno accompagnato le ultime fasi del corso, letture che si assaporano come doni preziosi.
Un barlume di speranza esiste se, come afferma Thich Nhat Hanh:
alla fine non c’è nessuna linea divisoria tra interno ed esterno. Se non sei davvero te stesso, non può esserci alcun autentico contatto con il mondo esterno. Entrando profondamente in contatto con l’interno entri in contatto con l’esterno e viceversa. Un collegamento genuino è possibile.
[1] l petit-onze (piccolo undici) è una composizione breve di origine surrealista. La sua origine viene attribuita alla scuola del poeta e scrittore francese André Breton, che l’aveva coltivata per contrastare la magniloquenza della poesia del suo tempo. La principale caratteristica del petit-onze è la disposizione delle undici parole che lo compongono in una struttura ad “albero”. In particolar modo, le parole vengono suddivise in cinque versi secondo uno schema fisso: una prima parola in alto, due parole nel secondo verso, tre nel terzo, quattro nel quarto e, per concludere, un’unica parola nel verso finale.
Laureata in Lingue e Letterature Straniere, insegna dal 1996 presso il 2° C.D. “N. Fornelli” di Corato (Bari), città in cui è nata. Dal 2021 è insegnante certificato del Metodo Caviardage® di Tina Festa. Master in Arti Terapie Integrate (Artedo), ha seguito corsi di poesia terapia, propedeutici alla pratica, della scuola PoesiaPresente e completato il Corso Base di Biblioterapia Italiana. Ha partecipato a corsi di poesia e di scrittura poetica presso Fenysia e Scuola Holden. Ha pubblicato alcune sue poesie per le collane Luci Sparse e Dantebus. Ama progettare e condurre laboratori esperienziali di scrittura poetica per adulti e bambini.