Scrivere in uno spazio protetto permette di lasciare un segno, una traccia, la pagina è un territorio da significare che apre verso vie ignote. Paola Turroni raccoglie qui frammenti luminosi dei suoi tanti laboratori di scrittura, dei suoi incontri, che sono gesti di conoscenza, dove ci si mette di fronte alla propria parola, alla propria nominazione.
Si sta presenti nel corpo che scrive - anche per questo si scrive – è qui l’aggancio per un percorso in cui la scrittura diventa l’atto di cura. Si modifica la faccia, il respiro, fino al battito del cuore. Si scende nel fondo della terra, si toccano le ossa, a una a una. Si comincia col silenzio, un libro aperto, le bottigliette dell'acqua vicino al quaderno. Si continua scrivendo, pagine fitte o stropicciate, scappando e tornando, come a un tavolo che scotta, che segna una riga e una stella. E si finisce a piedi nudi, una valigia rifatta, un posto dove stare. Vengono per scrivere e trovano tra le parole una voce, un linguaggio, per stare al mondo.
Il laboratorio di scrittura “Narrare con cura” è fatto per incontrare, conoscere i propri linguaggi, per com-prendere cosa diciamo - come lo diciamo. Ogni traccia scritta è un atto relazionale e una presa di coscienza. Il gruppo fa da spazio di accoglienza protetto e nello stesso tempo rilancio di significati. La scrittura accende e piega e salta e ascolta e mira e suona e spalanca e sbatte le porte. Chi conduce ha il compito di curare che accada, stare con chi scrive, in questo spazio che si apre, in cui il fiato si ferma e riprende. Stare - bic e matita - nello spazio del foglio lo spazio del tavolo lo spazio tra le parole. Avere cura delle braccia, della carta, dello sguardo, in bilico su una sedia, stare lì a tenere il fianco al coraggio di dirsi, di dirlo.
Affianco nel tempo, tengo memoria del viaggio. A volte cambiano colore dei capelli, a volte sostituiscono gli anelli. A volte scrivono di corsa, una pagina dopo l'altra, a volte appoggiano la guancia sulla carta bianca. Arrivano sempre gli animali a riempire la stanza, ombre che diventano un lupo, uccelli sulla testa, ringhi dietro la sedia e il cuore aperto sulla riva. Abbiamo sempre caldo alla fine, come dopo una corsa, chiudiamo i quaderni, ascoltiamo quello che avanza dalla ferocia, dalla perseveranza, come diventa leggero, come sposta le sedie. Hanno riso pianto maledetto e ricordato, hanno toccato con mano in punta di penna la pagina il corpo, hanno cancellato pastrocchiato strappato pagine, hanno incollato piegato corretto. Il gesto sacro di darsi parola.
Curare che accada significa anche credere alle parole di chi è lì con me e scrive, dare a quelle parole il valore di un segno, di un atto. Riconoscere la singolarità del linguaggio, la dimensione vivida di un’esistenza. Lasciare un segno, una traccia di sé - scrivere come fare un solco, mostrare la terra arata, la pagina sporca, una voce che si fa materia. Stanno, gambe incrociate sul divano, composte sulla sedia, col quaderno sulle ginocchia, col fazzoletto nelle mani, con la penna in bocca – avere cura di tutto il corpo che c’è ogni volta che si scrive una parola, il mistero che c’è fra l’urlo e la risata.
Non si cura la scrittura, che è un atto necessario e si avvera, ma il luogo in cui porta la scrittura, un accesso che non si può avere con la voce, con il dire - torna alla voce dopo, quando si legge e si condivide e lo si rende tangibile, in relazione col mondo. In questo luogo preparato – un setting che tenga conto di luci, odori, suoni, temperatura, oggetti - l’atto della scrittura è avere a che fare con materiale differente di sé, come una convocazione al linguaggio che sedimenta in noi, che si forma senza essere detto. Scrivere per rinominare, per dare la propria parola alla malattia, alla fatica, alla paura, alla strada, alle persone, al giocattolo, alla minestra, al campo e a quel giorno. Ognuno con la sua storia, la sua fragilità e la sua forza, ognuno con la sua scrittura.
Difendo lo spazio di scrittura, il diritto a scrivere, l’appartenenza o l’estraneità – entrambe – col mondo, gli uni con gli altri. Riuscire ad autorizzarsi a scrivere, riuscire a prendersi il tempo di farlo, riuscire a leggere ad alta voce o decidere di tacere, riuscire ad ascoltare, a sporcarsi le mani con l’inchiostro o a mandare messaggi di appunti col telefono, riconoscersi una voce, quindi un corpo, quindi una forma di esistenza. Questo percorso che si fa corpo – letteralmente quando si scrive si attiva la vista e il tatto e l’udito e si fa parola su un altro corpo che è la pagina – è un processo di consapevolezza e di misura. Il confine del proprio corpo è messo in discussione, è rimisurato sulla pagina, che può essere in brutta e in bella, con le immagini incollate, con pagine vuote che saltano, il cancellino e le cancellature, la matita e la penna. Tutto è un campo di lavoro.
Nel processo che passa dall’atto di scrivere alla lettura con la voce, la scrittura si trasforma e forma, nomina, scardina e ramifica. In questo senso la scrittura è un gesto di conoscenza, non è una dichiarazione di sapere, ma entrare nel sapere, indagandolo con le proprie parole. La scrittura è anche un legame con l’altro di sé, con gli altri e con il mondo, è una continua domanda su ciò che si scrive, è una rivelazione sempre. In quel salto tra sé e la pagina ci si prende una responsabilità affermativa e ci si mette di fronte alla propria parola, alla propria nominazione.
Scrivere in uno spazio protetto permette di lasciare un segno, una traccia… la pagina è un territorio da significare che apre verso vie ignote, una possibilità di narrazione di sé differente, il linguaggio diventa un processo di elaborazione ed invenzione, di condivisione col gruppo e di rispecchiamento, porta a un ricamo alternativo di sé, fornendo un bagaglio intimo su cui poter contare.
Arrivano con l’ombrello bagnato o la sciarpa sulla testa, con lo sguardo acceso che si ha di fronte al mare, lasciamo fuori il freddo e il caldo e il tempo, che batte dalla porta come un indesiderato. C’è chi ha lo stesso quaderno da anni e chi ogni autunno ne compra uno nuovo, c’è chi scrive su fogli tenuti insieme con le graffette e c’è chi tiene stretto un diario di cuoio. Scrivono con la cura della preghiera, con la sfacciataggine della risata, scrivono silenziosi e sacri, esseri in bilico sulle mura, a cavalcioni sul fossato. Negli anni si riconoscono a vicenda i tremori e i salti, e i capelli che cambiano e tutte le parole che hanno battuto sulla lingua. Portano biscotti, cioccolato, vino e tisane, abitano la scrittura, come stare nella loro valle segreta, disperati e forti, si tolgono le lacrime e le menzogne e hanno tutto il coraggio del mondo a venire qui da me a farlo. Vi spalerò la neve e accenderò il fuoco, tutte le volte. Stiamo qui a scrivere il filo d’Arianna - il Minotauro dentro. Stare e andare, continuamente, Caino e Abele, la scrittura.
Narrare con cura, il laboratorio di scrittura di Paola Turroni, è attivo dal 2010 ed è un luogo di cura e relazione permanente presso il Consultorio La famiglia di Fano (PU), sia per giovani che per adulti. Inoltre le collaborazioni costanti in questi anni sono con le scuole, sia per gli insegnanti che per gli alunni e le alunne (Istituti Comprensivi Nuti e Padalino di Fano, Istituti Comprensivi Vanoni e Damiani di Morbegno); presso Villa Miralago, centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare e l’Associazione genitori Il filo Lilla in provincia di Varese; Associazione Arcobaleno di profilo di Varese, Associazione Con-tatto di Morbegno, Fondazione Vita e Salute di Firenze, la Casa Circondariale di Busto Arsizio.