Intervista diffusa a un equipaggio, quello della Compagnia Teatrale “Il Veliero” di Monza, che fa del teatro il suo strumento prezioso.
Pro-logo
Esattamente come su una imbarcazione di quelle a più alberi, la prima sensazione che si ha salendo a bordo de Il Veliero di Monza è quella di un grande dinamismo tra tutti i membri dell’equipaggio.
Non ci si è ancora resi conto di dove si è saliti e si ha la sensazione chiara di come il vascello già scivoli senza intoppi, solcando la superficie del mare senza apparenti rollii o beccheggi.
La prua apre un solco lieve ma spumeggiante sulla superficie liscia di quel palcoscenico che altro non è che il mare della vita.
Intanto c’è un gran movimento in ogni parte: gente che sale e scende lungo le scale, qualcuno che armeggia alle cime, persone che comunicano tra un ponte e l’altro, il timone direzionato con solo lievi oscillazioni verso una meta che risulta sempre convincente, tenuto conto delle variazioni del vento e delle correnti del mare.
Dinamismo non vuol dire confusione anche se i marinai de Il Veliero sono sicuramente particolari, nel senso che sono dei marinai artisti... e si sa bene che dirigere gli artisti non è sempre semplice. No, su Il Veliero non c’è confusione, potremmo dire che c’è un perenne fermento, sì un fermento creativo.
Una volta saliti a bordo di questa imbarcazione speciale capita spessissimo che non ci si renda conto che il tempo vola e in un battibaleno ci si trova al largo e non si capisce bene né il dove né il come. All’improvviso ci si ritrova senza ormeggi, senza pseudo e facili sicurezze, di fari o di luci costiere. I piedi non appoggiano più sul molo, non ci sono comodità, acqua corrente, solidi tetti poggiati su solide mura di pietra, autorità di capitaneria, né geografie intrecciate da strade o confini naturali o artificiali.
Forse per questo nel dinamismo del formicaio, altra metafora utile a spiegare cosa sia questa speciale combriccola, capita spesso di vedere che due membri dell’equipaggio, non importa il grado gerarchico o il compito prevalente che hanno, si fermino e – con una interconnessione che viaggia tra antenne invisibili – si abbraccino. Sì, nel movimento a volte incomprensibile la punteggiatura la fanno gli abbracci. Che Il Veliero si muova tranquillo a velocità di crociera, che stia facendo una manovra delicata e persino pericolosa nel bel mezzo di una burrasca o che sia nella rada sonnacchiosa di qualche porto semi sconosciuto, gli abbracci fanno da collante magico.
Su Il Veliero, naturalmente, si naviga. E quando a sera, si sa che i marinai artisti prediligono il buio della sera, l’imbarcazione dà la fonda con una leggerissima ancora aggrappata alla luna... ecco che la magia, implicita negli abbracci, diventa esplicita svelandosi in tutta la sua veleggiante potenza.
Le luci si spengono in sala, solo una lampara sulla consolle della sala di regia, e prende forma la magia del teatro che ravviva di energia e sensibilità potenti queste persone uniche nella loro preziosa particolarità.
Il varo
Quella de Il Veliero è una storia che nasce da lontano. Nel 1998, quando l’associazione non era formalmente nata, la troviamo in quello che dentro la metafora potremmo definire un cantiere navale.
Sentiamo cosa ci racconta Enrico Roveris, detto Chicco, regista, attore e mentore di questa realtà, alla domanda relativa al suo imbarco su Il Veliero.
Chicco Roveris: Fu una coincidenza e una sorpresa. Nel 1998, durante il mio anno di servizio civile, la responsabile del Centro di Riabilitazione Monzese, una psicoterapeuta, decise di dare vita ad un laboratorio espressivo con una pratica teatrale marcata, rivolto ad una quindicina di adolescenti con difficoltà psicofisiche varie: ritardi mentali medio lievi, sindromi di Down. Mi ritrovai in questo laboratorio con dei ragazzi di quattordici/quindici anni e a partire da lì incominciò questa piacevole attività settimanale che sfociò in una prima rappresentazione teatrale.
Paolo Manzalini: Chicco nonostante la giovane età tu ti stavi innamorando di quella realtà che sarebbe diventata Il Veliero, ma eri già seriamente fidanzato con il teatro...
Chicco Roveris: Intanto io nasco uomo di mare un po’ pirata un po’ signore… senza scomodare con citazioni importanti Julio… Innamorato del Il Veliero? In realtà avevo 21 anni quando mi si chiese di attivare questa esperienza, non avrei mai pensato… Sicuramente avevo già un buon rapporto col mondo della disabilità, conoscevo già ed ero abitualmente in relazione con tante persone che frequentavano quel Centro. Tuttavia sentirmi chiedere di attivare questo progetto con due o tre specialisti – il terapeuta, l’educatore, il fisioterapista – e trovare un modo di lavorare insieme fu una epifania.
Paolo Manzalini: Ma a quell’epoca per Enrico, detto Chicco, la disabilità esattamente cosa era?
Chicco Roveris: Era casa, era abitudine. Nel senso che io sono fratello di una persona con distrofia muscolare. Quindi fu tutto abbastanza naturale. Io mi trovavo la mattina ad aiutare gli specialisti in piscina, a cavallo, in palestra ad assistere dei ragazzi che poi ho seguito nel laboratorio de Il Veliero. Alcuni di questi ragazzi, e parliamo del 1998, sono ancora oggi membri de Il Veliero.
Paolo Manzalini: Possiamo dire che ancora oggi Il Veliero è un po’ casa per Chicco?
Chicco Roveris: Sì possiamo dire che è una casa galleggiante, che veleggia, fa rotte impossibili e nuove… ma sì assolutamente è casa.
La navigazione
Quindi Il Veliero nasce vent’anni fa come Associazione con l’intento di accogliere il bisogno di alcune famiglie di garantire la prosecuzione di questa prima esperienza che aveva avuto un’intuizione molto importante. I genitori ne sono una parte fondamentale, non solo per gli aspetti diciamo istituzionali e di funzionamento della Associazione stessa, ma perché comunque ne rappresentano una delle vele. Alcuni genitori sono più presenti ed altri magari un po’ più defilati nelle attività settimanali, tuttavia tutti rappresentano un elemento di forza che dà ai ragazzi sicurezza per sentirsi incoraggiati nella loro partecipazione e nel loro processo di crescita. Sicuramente i genitori sono in prima fila durante le numerose rappresentazioni che propongono in diversi teatri i lavori messi in scena dalla compagnia e non sono disposti a perdere le occasioni sociali quali le ormai mitiche grigliate che segnano i tempi dell’anno sociale, ma alcuni di loro non si perdono neanche le altre grosse occasioni come quando Il Veliero si è recato a Roma per partecipare, all’inizio di quest’anno, ad un Convegno promosso dalla Camera dei Deputati sul tema Teatro e Disabilità. L’associazione cerca di dare in queste diverse situazioni spazi e compiti ben chiari ai partecipanti e ai loro familiari. Non c’è confusione perché l’equipaggio fa procedere l’imbarcazione se ciascuno ha ben presente dove comincia e dove finisce il suo ruolo.
Proviamo a sentire, a titolo puramente esemplificativo, il punto di vista di un genitore, intervistato proprio durante un’esperienza intensa come è la vacanza di cinque giorni che Il Veliero negli ultimi due anni ha organizzato all’Isola d’Elba.
Paolo Manzalini: Pino la prima domanda è come ti descriveresti all’interno de Il Veliero?
Pino: In un doppio ruolo, direi, almeno in questa fase. Quello di genitore di un ragazzo del gruppo storico de Il Veliero che ha vissuto tante esperienze all’interno dell’associazione ed è cresciuto bene, acquisendo molte competenze, sia dal punto di vista della parola sia dal punto di vista delle altre iniziative proposte. Perché Il Veliero oltre a quella teatrale organizza anche attività di altro tipo, come quella delle vacanze. Nel complesso un ottimo viatico.
Paolo Manzalini: Quindi sei genitore, ma sei anche…?
Pino: La seconda veste è quella di accompagnatore nel senso che mi occupo della parte sanitaria, a tutela dei ragazzi, da un punto di vista pratico come la gestione delle terapie ma anche contribuendo a risolvere eventuali situazioni un po’ particolari. Ma sono anche accompagnatore in senso stretto, quando si svolgono le serate teatrali o quando si va in gita o in vacanza.
Paolo Manzalini: Tu sei infermiere, lavori in prima linea e hai esperienza della sofferenza delle persone. Ma sei anche attento al volontariato in senso generale. Secondo te Il Veliero cosa ha di particolare?
Pino: L’approccio che ha Il Veliero è diverso da quello di altre associazioni che si occupano di questi ragazzi. Il Veliero ha una parte di educazione alla vita. Si parte dal teatro ma poi offre stimoli per saper affrontare le cose della vita, dà spazio alla parola, al saper parlare bene, che poi significa saper esprimersi, dialogare, confrontarsi. Ma poi ci sono le cose semplici o altri eventi come le vacanze o la grigliata. In queste situazioni vedi i ragazzi che partecipano e sono parte attiva dell'associazione.
Paolo Manzalini: E quando vedi tuo figlio sul palcoscenico, se posso chiedere una cosa così personale, che emozione provi?
Pino: Un’emozione molto particolare perché vedi che il tuo ragazzo è apprezzato veramente. Per come recita, per come si muove, per come interagisce con gli altri ragazzi, anche aiutandoli. E così lo spettacolo non si limita ad essere una cosa a sé, un semplice copione da seguire. Perché poi i ragazzi si trovano anche fuori e allora si vede come sia un’attività complessa che accompagna gli attori portandoli a stare insieme, sollecitandoli a sopperire alle carenze di ciascuno. Così vedi il coinvolgimento di tutti finalizzato a costruire uno spettacolo che è il frutto di questo grande lavoro.
Paolo Manzalini: Il Veliero è una proposta per vostro figlio e immagino che tu e tua moglie vi confrontiate: secondo voi cosa potrebbe migliorare ulteriormente questa realtà già così ricca?
Pino: Più che proporre o chiedere agli altri, a noi piace essere dentro. Anche mia moglie è molto presente e siccome anche lei è impegnata nel mio stesso tipo di lavoro, ci alterniamo – quando si può – per farlo partecipare il più possibile a tutte le attività proposte.
L’impianto delle vele di un veliero è qualcosa di molto ricco ma piuttosto articolato e sarebbe dispersivo argomentare questa descrizione facendo un parallelo completo tra le vele di cui dispone una di queste imbarcazioni e la funzione che hanno le diverse componenti che danno vita alla associazione Il Veliero di Monza. Tuttavia se i ragazzi sono le vele di gabbia, fissa e volante, e quelle di velaccio e controvelaccio, i genitori potrebbero essere assimilati alle vele di straglio.
Ma bisogna sottolineare che questa realtà non potrebbe esistere se non fosse animata, in ogni manovra, dai volontari numerosi e variegati, che vengono impiegati per una infinità di azioni necessarie per la riuscita delle attività ordinarie settimanali, ma soprattutto per l’organizzazione e la realizzazione dei grandi eventi, come le rappresentazioni teatrali, il Festival, la vacanza estiva.
Mi piace pensare che i volontari altro non siano che le vele di mezzana e di belvedere oltre che la randa. La loro funzione è di dare stabilità e vigore all’azione delle vele più centrali, spesso con un lavoro silenzioso e nascosto ma sicuramente preziosissimo. ascoltiamo la voce di una delle decine di volontari che compongono l’equipaggio.
Paolo Manzalini: Maria Grazia, i ragazzi de Il Veliero ti conoscono come MG. Da quanto tu conosci questa associazione?
Maria Grazia: Da dieci anni circa. L’ho conosciuta perché negli anni del liceo di mia figlia Il Veliero ha lanciato un progetto di teatro integrato, che coinvolgeva ragazzi disabili e ragazzi non disabili, e mia figlia ha voluto fare questa esperienza che è stata per noi una fortuna.
Paolo Manzalini: Hai conosciuto Il Veliero grazie a tua figlia ma stai continuando a partecipare alle attività della associazione… sono dieci anni che tu continui ad essere qui con loro.
Maria Grazia: Sì perché ad un certo punto anche mio figlio minore ha voluto partecipare a questo percorso e sono successe tante cose. Ho conosciuto meglio le persone de Il Veliero e ho visto che avevano il sito un po’ “abbandonato” e mi sono proposta di rivedere questo aspetto. Così mi hanno dato l’incarico di sistemarlo e mi hanno proposto di occuparmi della comunicazione su tutti i social media.
Paolo Manzalini: Mantieni lo sguardo di una persona che ha conosciuto Il Veliero attraverso i tuoi ragazzi che ora sono più grandi e hanno imboccato il loro percorso di vita. Cosa può essere importante per un ragazzo che fa la sua vita ordinaria e si interfaccia con una realtà di questo tipo? Cosa si porta a casa?
Maria Grazia: Un’esperienza diversa da tante altre esperienze. Io non ho dovuto insistere con loro perché i miei figli partecipavano già ad altre attività di volontariato e hanno una sensibilità aperta, e questa cosa non nasce come programmata, hanno voluto provare e poi hanno continuato.
Paolo Manzalini: Lo consiglieresti ad altri genitori?
Maria Grazia: Per come vedo io la vita, sì. Innanzitutto si conoscono tante altre persone che secondo me è la cosa principale. Inoltre la bellezza è la diversità! Nel senso che ognuno di noi è diverso ed è unico nella sua diversità e l’unicità è un valore. Quindi per me i ragazzi non sono dei disabili, sono come me e come tutti noi hanno le loro differenze. Non tutti la pensano così, ma non voglio dire di avere una sensibilità superiore a quella delle altre persone. Io la vedo così anche se oggi si tende al tutto uguale, omologato su uno standard. A me piace la ricchezza della differenza, che altro non è che la diversità.
Paolo Manzalini: Un’ultima domanda. Tu sei una persona sensibile… Le emozioni all’interno de Il Veliero come girano?
Maria Grazia: Ah...altissime! Io ascolto la radio tutto il giorno e quando sento un pezzo che i ragazzi hanno usato sul palco io mi emoziono tantissimo perché trasmettono un’emozione pura. È una buona palestra per vivere emozioni sane.
La rotta
Naturalmente un’imbarcazione di questo tipo ha un notevole dislocamento, termine tecnico che indica la quantità di acqua che la nave è in grado di spostare stando in mare. Va da sé che nella progettazione e nelle manovre che si effettuano ci deve essere qualcuno competente ed esperto che prevede ciò che serve per dove si vuole arrivare. La sensibilità dei beneficiari e l’ambizione degli obiettivi richiedono che nulla venga lasciato al caso. Sul cassero quindi troviamo alcuni dei responsabili tecnici delle attività che ne definiscono gli elementi fondanti e che ne disegnano la rotta.
Paolo Manzalini: Allora Chicco, sul Veliero si imbarcano persone che hanno caratteristiche diverse e difficoltà diverse. In che cosa il teatro diventa una proposta specifica per questi ragazzi?
Chicco Roveris: In realtà il teatro non è una proposta. Il teatro è un mezzo. Esattamente come quando tu da bambino iniziavi a giocare a calcio, a pallavolo, a basket o a tennis e sviluppavi una preferenza, una abilità e iniziavi a costruire una parte importante delle tue relazioni amicali. Oltre che una passione sportiva trovavi gli amici con i quali andavi a fare un giro in bicicletta o a mangiare un ghiacciolo. Il teatro è un pie’ di porco, una leva che ti permette di fare quello che dicevo prima. Impari una cosa che non conoscevi, una pratica, una abilità, una disciplina che non avevi. E magari ti appassioni, e nello stesso tempo ti fa tirare fuori qualcosa di personale, di intimo e che nello stesso tempo ti fa dire: “che bello, posso stare con altre quindici persone e sviluppare un progetto comune”. E alla fine di questa parabola tutto quello che fai addirittura lo metti a disposizione di un pubblico: trasferisci pensieri ed emozioni a qualcuno che poi può applaudire, sorridere o riflettere rispetto a quello che vede.
Paolo Manzalini: Quindi nella proposta oltre ad esserci una offerta di relazione, di stare in mezzo agli altri, c’è anche la grossa opportunità di esprimersi, di tirar fuori delle cose, se capisco bene…
Chicco Roveris: È quello che è successo a me a 12 13 anni…
Paolo Manzalini: Certo, ma siccome tu proponi dei lavori che sono sempre qualitativamente alti, e alcuni di questi ragazzi hanno recitato anche in altri contesti, diciamo di livello professionistico, il tuo compito è un po’ quello di pulire. Perché il teatro che vediamo partecipando ai vostri spettacoli è un teatro molto rigoroso, dove c’è sempre una estrema sintesi. È’ faticoso questo lavoro?
Chicco Roveris: La metafora che possiamo usare è quella di quando si trova nel cassetto di una nonna una moneta di un certo valore o un altro oggetto prezioso; lo puoi prendere, lo puoi apprezzare però poi lo devi curare, lo devi pulire per farlo ritornare ad un aspetto originario. È come un pezzo di carbone che nasconde un diamante. Però a me piace questo aspetto; spesso ci sono delle qualità che tu vedi in un’altra persona e magari tu dai una mano a farle emergere. È ovvio che lo sport e così pure il teatro sono dei detonatori di emozioni e di pensieri: e allora poni le condizioni affinché uno possa banalmente sfogarsi o dire quello che non riesce a dire. Io ad esempio da piccolo giocavo a calcio e non riuscivo a dire e non riuscivo a fare; quando ho conosciuto il teatro ho incominciato a dire e ho incominciato a fare.
Paolo Manzalini: L’ultima cosa che volevo chiederti: c’è la dimensione collettiva e quella dell’individuo, ma bisogna tenerle insieme. Tu riesci sempre a tenerle insieme ma poi sei anche capace di fare emergere le specificità di ciascuno. Anche questo è fatica? O è più la soddisfazione?
Chicco Roveris: Non so... Non è fatica! Si fa fatica a costruire il momento finale ma in realtà tutto ciò che precede e comporta in realtà è un gioco. In questi contesti non fai teatro per fare teatro d’arte, per fare lo spettacolo più bello del mondo. Tu fai uno spettacolo per tutta la comunità tutto il gruppo che partecipa e osserva, per renderlo il gruppo migliore del mondo. Il teatro è una scossa di allegria. Punto!
Paolo Manzalini: Che cos’è il festival per Chicco?
Chicco Roveris: Il festival? Il festival per Chicco è Sanremo!
Paolo Manzalini: Dopo Sanremo però c’è Lì sei vero!
Chicco Roveris: Al di là della battuta, c’è una similitudine: per me il festival della canzone è un altro momento di gioia in cui la famiglia si riunisce nel salotto di casa, magari dopo una cena – tutti insieme – dove si apprezza un testo, un interprete ma nel frattempo la gente si racconta.
Sul cassero oltre a Chicco Roveris ci sono sicuramente altre persone che hanno contribuito alla progettazione, alla definizione delle linee di indirizzo e al disegno della rotta. Dobbiamo sicuramente citare Ilaria Cassanmagnago che è più di una aiuto regista, dal momento che ha una sensibilità molto particolare che le permette di entrare in una relazione speciale con i marinai attori. Oltre alle sue ormai consolidate competenze teatrali, il suo modo di interagire è un mix di ascolto e assertività che sui ragazzi de Il Veliero ha un effetto di grande potenziamento.
C’è poi la psicologa dell’equipaggio, Daniela Longoni, dalle cui parole capiamo come Il Veliero segua una rotta molto chiara, non rigida, ma chiara. Le competenze psicoterapiche della dottoressa impreziosiscono la visione psico-educativa che è sottesa ad ogni piccola scelta e ad ogni ambiziosa attività. Ascoltiamola.
Paolo Manzalini: Il Veliero è una proposta di teatro, nasce così per i ragazzi, ma non è solo una proposta di teatro.
Daniela Longoni: Il teatro è lo strumento, l’obiettivo è voler permettergli di crescere come persone, di identificarsi e di costruire la loro personalità. Lo strumento migliore per fare questo è il teatro che crea il setting adatto per conoscersi, per relazionarsi con l’altro e per poi sperimentarsi nella realtà, però in maniera tutelata. L’altro passaggio importante che creiamo come correlato al discorso del teatro è la bellezza del gruppo: se vuoi fare l’attore devi essere in grado di far parte di un gruppo perché il gruppo è la forza, la potenza, l’energia; far parte di un gruppo che però non sia giudicante, quindi dove tu ti senti a tuo agio. E lì cresci tu come persona e lì che puoi imparare, puoi cimentarti e gli altri sono di appoggio, sostegno. Questa è la bellezza perché il teatro te lo permette, perché si insegna ai ragazzi che quando sei sul palcoscenico non sei da solo, sei un melange, armonia insieme agli altri: gli strumenti devono suonare insieme. Quindi bisogna stare insieme anche fuori del puro teatro e devi funzionare insieme agli altri, devi stare attento all’altro, essere parte dell’altro per supportarlo. Se si riesce a creare questa atmosfera la persona può crescere perché si sente a suo agio.
Paolo Manzalini: Voi siete un’associazione, non siete un’istituzione, siete un’associazione che usa il teatro come strumento; siamo però lontani da un approccio clinico, lontani da altri approcci, lo psicodramma o le artiterapie intese come qualcosa di clinico: siete più vicini al teatro sociale.
Daniela Longoni: Siamo teatro sociale. Ma la tua domanda credo voglia chiarire qual è la funzione dello psicoterapeuta. Lo psicoterapeuta è trasversale, è un appoggio, un aiuto, un sostegno. È il veicolo che, oltre al teatro, ti porta a stare bene, crea l’atmosfera del gruppo, caldeggia l’importanza del gruppo e fa in modo che i ragazzi stiano bene.
Paolo Manzalini: I ragazzi raccontano, scelgono i loro personaggi, propongono al pubblico qualcosa che è molto personale. Funziona questa catena che va dall’esperienza soggettiva al pubblico?
Daniela Longoni: Io non so rispondere a questa domanda. So che serve per i ragazzi per avere uno spazio e un tempo per raccontarsi. Chi è molto sensibile poi lo coglie, lo comprende, lo sente, lo vive; per gli altri è comunque un grande spettacolo perché qualcuno che si racconta è sempre qualcosa di meraviglioso. Quello che a me interessa è proprio che loro abbiano la voglia di raccontarsi e la voglia di trovare qualcosa che li aiuti a raccontarsi. L’ultima commedia messa in scena esprime proprio questo percorso.
Paolo Manzalini: Proponete ai ragazzi delle esperienze molto intense, come la vacanza all’Isola d’Elba, ma da anni avete avuto l’intuizione di proporre un Festival Nazionale che ospita altre compagnie, altre esperienze, altri stili. Qual è secondo te la ricchezza del festival Lì sei vero?
Daniela Longoni: La specificità del festival sta proprio nella parola “ricchezza”. Ricchezza di esperienza, di metodologie, di confronto. Un gruppo non può essere soltanto fatto da alcune persone, deve essere il più allargato possibile. Questo ti permette di confrontarti, di crescere, di aggiungere quell’elemento in più, di individuare quella scintilla che ti faccia crescere. Il festival serve proprio per crescere; crescere in che cosa? Nel permettere ai ragazzi di essere se stessi. Ci sono molte realtà sul territorio italiano e non solo, anche internazionale. L’idea è di aprire il più possibile per permettere ai nostri ragazzi prima di tutto di conoscersi tra attori, quindi di viversi la bellezza di essere in un gruppo che non sia fatto solo da dodici, quindici o venti ragazzi con i quali entrano solitamente in contatto. Quindi serve ad aprire gli orizzonti Ma anche per noi professionisti: vedere le altre esperienze e imparare insieme a loro, costruire insieme a loro.
Sicuramente parliamo di teatro sociale...
Dal porto parto se so quel che porto
Questa intervista diffusa nasce come reportage realizzato durante l’ultima vacanza che Il Veliero l’estate scorsa ha proposto ai suoi marinai artisti. In realtà sono state intervistate molte altre persone ma le esigenze di sintesi mi hanno indotto a fare delle scelte. Ho cercato di rendere il senso e la portata di questa esperienza utilizzando le parole dei protagonisti. Questo perché l’arte, il bello, la creatività vanno fruite non descritte.
Il Veliero è un’opera d’arte collettiva. Potrei definirla un’installazione permanente in continua evoluzione. È un’esperienza di teatro sociale a mio avviso molto efficace poiché dimostra come l’arte aiuta a sostenere il benessere delle persone. Ne rinforza i processi di crescita, ne indirizza i processi di identificazione, ne potenzia le capacità di assumere ruoli sempre più consapevoli, fa acquisire competenze e aiuta a trovare strategie. Tutto ciò avviene nel rispetto delle caratteristiche di ogni singolo ma sempre nella circolarità del gruppo. E il teatro mostra la sua fantasmagorica versatilità perché vivifica la naturalezza della vita, amplificandone gli aspetti salienti ma sempre nella dimensione rispettosa di uno spazio protetto e tutelante. In questo Il Veliero ha maturato un’esperienza solida che permette di entrare e uscire dai porti con serena consapevolezza. Il carico che porta in giro è prezioso e merita ogni sforzo profuso per essere condiviso tanto attraverso le competenze attorali di questi artisti così sensibili quanto attraverso gli abbracci.
Ma questo mio noioso tentativo di sintesi diventa più chiaro nelle parole di uno degli attori de Il Veliero.
Paolo Manzalini: Sebastian, tu sei uno dei veterani de Il Veliero. Sei uno di quelli che sono presenti fin dall’inizio. Cos’è questa esperienza per te?
Sebastian: Una famiglia. Il Veliero dà amore, passione, sincerità: fa crescere le persone, ti aiuta a migliorare, come ti muovi, come fai teatro, ti mostra come andare avanti… con Il Veliero.
Prima non c’era; è partito con me nel 1998 ed è sempre stato come una famiglia grande.
Paolo Manzalini: Il teatro è una parte importante. A te piace stare sul palco o è faticoso?
Sebastian: Non è faticoso è un modo di stare bene con gli altri.
Paolo Manzalini: Che sensazione dà il pubblico quando voi fate i vostri spettacoli?
Sebastian: La gioia, perché noi portiamo la gioia non la tristezza. I ragazzi sul palco si sentono amati.
Paolo Manzalini: Ho visto in questi giorni all’Elba che gli altri ragazzi ti considerano come un punto di riferimento. Ti dà un po’ fastidio?
Sebastian: No, non mi da fastidio, io sono un po’ come un papà... Sono un po’ più vecchio, ho un po’ più di maturità. Insieme cresciamo sempre di più. Io vorrei migliorare sempre più con loro. Il Veliero mi ha indicato la strada.
Paolo Maria Manzalini (Napoli 1963) medico, psicologo clinico, psicoterapeuta si occupa di cura e riabilitazione psichiatrica dal 1992, prima in contesti residenziali e da dieci anni in contesti territoriali. Attualmente Responsabile della Struttura Semplice dell’Area Territoriale Psichiatrica della ASST di Vimercate. Promotore con l’Equipe del CPS di Vimercate della rassegna Far Rumore – Azioni per la salute mentale. Da sempre attento alla parola come fondamento dell’incontro e della comunicazione tra gli umani, negli ultimi cinque anni ha ripreso ad approfondire l’espressione teatrale e ha preso parte alla edizione 2017-18 del Corso di TeatroPoesia condotto da Domenico Bulfaro presso il Teatro Binario 7 di Monza. Responsabile Comitato Scientifico di Lì sei vero – Festival Nazionale di Teatro e Disabilità.
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