Dome Bulfaro, nello studio dedicato alla prefazione del libro Poetizzarsi di Marisa Brecciaroli, disegnando i tratti salienti dell’opera dell’autrice, traccia il passaggio dal poetizzarsi al Farsi Poesia vivente, secondo cinque modi: l’ascolto, la lettura “muta” (a mente), la scrittura, l’oratura, e la performatura… Presentiamo qui la prima parte dello studio.
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.
(Antonia Pozzi)
Questo libro ha un merito grandissimo: ci ha donato una parola-strumento cruciale, poetizzarsi, che prima non c’era e che, creata, apre a una più sentita consapevolezza del ruolo fondamentale che può svolgere la poesia per migliorare di molto la nostra vita e rendere tutto, fuori e dentro di noi, molto più rigoglioso.
A cosa corrisponda questo neologismo e in cosa consista questo strumento lo spiega la stessa Brecciaroli: chiama poetizzarsi quel «particolare tipo di fonte di ispirazione e di scrittura poetica», ovvero la scrittura di «poesie nate dallo strumento dei silenziosi traslochi poetici dai testi di un altro poeta a una mia successiva scrittura di poesia».
E così facendo la Brecciaroli come un fuoco d’artificio illumina a giorno delle zone buie del fare poesia. Affermo questo perché Poetizzarsi, per quanto sia un libro di autoguarigione dell'autrice, testimonia per esperienza diretta quanto la poesia con i suoi semi non solo possa fecondare la nostra creatività ma anche stimolare e incrementare il nostro grado di fertilità; testimonia che la poesia ci è amica, compagna, guardia, guida, angelo, presente (dono); che la poesia ci è madre, figlia, sorella, gemella, famiglia; che la poesia nell’invisibile ha ricadute nella realtà, talora sconvolgenti, come ci ricorda Rilke nei versi finali delle Elegie duinesi; che la poesia è la nostra ambrosia: cibo-bevanda che nel restituire fragranza alla vita prosciuga in noi la paura della morte.
Per buona pace del filosofo e poeta Ralph Waldo Emerson e della sua affermazione “da poesia nasce poesia”, la poesia nasce da tutto, certamente non solo dalla poesia. Anzi spesso la poesia nasce in reazione a ciò che consideriamo cosa impoetica o in reazione a qualcosa di rovinoso, come l’indifferenza, l’apatia, la paura, i soprusi, il moralismo, il perbenismo, l’ingiustizia sociale, la discriminazione, la pandemia…, che se prendesse il dominio della nostra vita ucciderebbe a morte la poesia stessa della vita. Però nell’economia di questo libro la frase di R. W. Emerson, al di là che la si consideri veritiera in senso assoluto o essa affermi una verità relativa, è capitale per comprendere il poetizzarsi praticato e teorizzato dalla Brecciaroli, perché circoscrive uno dei suoi tratti distintivi: il processo del poetizzarsi il quale si innesca, ci dice l’autrice, quando la lettura di una poesia di un poeta insemina e feconda la scrittura di una poesia di un’altra persona.
Questo libro mi ha molto ispirato tanto da aver originato quel che potrei definire una prefazione “poetizzata”. Nel senso che questa prefazione senz’altro s’immerge nelle correnti di questo fiume ma mi conduce anche a oltrepassare le sue sponde.
Scrive il Nobel per la Letteratura Tomas Tranströmer: «Fantastico sentire come la mia poesia cresce / mentre io stesso mi faccio da parte. / Cresce, prende il mio posto. / Mi spinge via. / Mi scaccia di casa. / La poesia è pronta.»[1] La propria cacciata è vissuta dal poeta come un evento fantastico. Chi scrive poesie può facilmente constatare gli effetti di benessere dello scriverle. Ora quello che voglio dire è che questo poetizzarsi è un processo che porta il poetizzato a lasciare che la poesia prenda spazio e il nostro sé si fonda con l’altro da sé. Come se il trasloco nella nostra casa di alcuni libri di poesia presenti nella casa di un altro costituisse per noi l’abbrivio per creare in prima persona libri che arricchiranno la nostra biblioteca personale. Dunque Poetizzarsi è uno strumento ideale per accedere alla nostra creatività e quindi al nostro fare poesia.
Farsi Poesia: è questo per me il senso più intimo e profondo di fare poesia. Farsi Poesia cioè di manifestare in tutto e per tutto la poesia che siamo, incorporare tutta la poesia che io/essi sono.
Per mia esperienza di poeta, performer, poetaterapeuta e fruitore di poesia, ci sono cinque modi diversi di nutrirsi di versi per farsi poesia: l’ascolto, la lettura “muta” (a mente), la scrittura, la lettura ad alta voce anche detta oratura, e l’incorporazione poetica anche detta performatura, quest’ultima a mio avviso quintessenza della performing poetry e del farsi poesia perché è quella che più va alle radici del farsi poesia vivente. Ma tutti e cinque i modi vanno considerati fasi dello stesso processo di progressiva incorporazione la quale, grazie a questo libro, trova la sua definizione corrispondente più consona: il poetizzarsi.
Di questi cinque, la poesia ha tre modi di uscire dal foglio e camminare verso chi vuole comporre versi: la scrittura, l’oratura e la performatura.
La poesia scritta, come sappiamo, ha trovato nel libro il suo medium ad personam, che permette un rapporto intimo, reiterabile individualmente più o meno quando e dove lo vogliamo, mentre la poesia ad alta voce presuppone gli altri, l’unione con gli altri, lo sconfinamento del corpo del dicitore nel corpo sociale prima e nel corpo universale poi.
L’oratura, ovvero il processo di messa in alta voce del testo scritto, resta dentro i limiti del testo scritto esterno al corpo al pari dello spartito da eseguire facendolo sbalzare dalla pagina: la messa in voce della lettura scenica è una tecnica a sbalzo della voce, un rilievo che emerge da una pagina bianca che fa da fondo. Mentre il testo detto a memoria, con una performatura che coinvolge tutto il corpo, si muove in un tracciato depositato interiormente, come se si stesse modellando una scultura a tuttotondo ma quadridimensionale, dato che subentra la cronometria del tempo.
Voglio dire che il poetizzarsi, senza riferirsi a esso in senso stretto a questo verbo transitivo coniato dalla Brecciaroli e uscendo dal perimetro in cui lei lo ha circoscritto, può essere considerato non solo proprio della scrittura poetica a partire dai versi di un altro poeta, ma anche proprio dell’oratura e della performatura a partire dal testo di un altro poeta, e andando ancora oltre, concependolo in senso ancora più ampio, il poetizzarsi può essere considerato il processo che avviene attraverso i versi per farsi poesia.
Nella seconda parte del libro, definita Appendice per poesiaterapia, la Brecciaroli mette “in osservazione la relazione profonda fra lettura di poesia e scrittura che da quella lettura può misteriosamente nascere” e si domanda se il poetizzarsi possa diventare un metodo di poesiaterapia. L’autrice si è soffermata per molte pagine su questo “silenzioso trasloco poetico” cercando di esplorarne il senso e cercando di comprendere se possa, questa tecnica, diventare uno strumento, come lo è stato per lei, di autoguarigione o guarigione in percorsi di poesiaterapia.
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[1] Da Morgonfåglar (1966), traduzione Lucia Scazzola.
Dome Bulfaro (1971), poeta, esperto di poesiaterapia, si dedica alla poesia (di cui sente un servitore) ogni giorno dell’anno. È tra i più attivi e decisivi nel divulgare e promuovere la poesia performativa; ed è il principale divulgatore in Italia della poetry therapy/poesiaterapia. Dal 2021 è docente di Poesiaterapia e Lettura espressiva poetica presso l’Università degli Studi di Verona, nel pionieristico Master in Biblioterapia. Nel 2013 ha ideato e fondato con C. Sinicco e M. Ponte la LIPS - Lega Italiana Poetry slam. Nel 2023, ha ideato e fondato con M. Dalla Valle. P. M. Manzalini e I. Monge la BIPO - Associazione Italiana Biblioterapia e Poesiaterapia, prima associazione di categoria. Ha fondato e dirige Poetry therapy Italia (2020), rivista di riferimento della Poesiaterapia italiana. Ha fondato e dirige (con Simona Cesana) PoesiaPresente – Scuola di Poesia (2020) performativa, scrittura poetica e poesiaterapia. www.domebulfaro.com
(Foto Dino Ignani)
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