Poetizzarsi (2022), l’ultimo libro della poetessa Marisa Brecciaroli inerente “la cura della poesia”, introduce un curioso e affascinante neologismo. La casa editrice Moretti & Vitali di Bergamo ha il merito di aver pubblicato questa raccolta unitaria di studi e versi, arricchendola con i contributi di Donatella Bisutti (postfazione), Patrizia Gioia (saggio), Dome Bulfaro (prefazione), e dello psicanalista e psicoterapeuta Giuseppe Oreste Pozzi. Estrapoliamo e vi presentiamo le prime pagine dell’Introduzione, dove l’autrice spiega la genesi di questa sua ultima opera e cosa lei intenda per “Poetizzarsi”.
Ma che cos’è la poesia se non un insieme di echi,
di voci che restano nell’aria, o in noi? E noi, quasi
senza accorgercene, le ripetiamo. Ma ripetendole con
la nostra voce, in qualche maniera le cambiamo.
(Andrea Zanzotto)Solo la poesia ispira poesia
(Ralph Waldo Emerson)Se una parola confina con me, la lascio fare
(Ingeborg Bachman)
Poetizzarsi è un libro di poesia, ma di una poesia che si mette anche al servizio di un discorso sulla poesia stessa, specie se delicatamente esplorata in uno dei suoi punti aurorali di nascita, o addirittura di concepimento, e quindi còlta in una delle molteplici sfaccettature teoriche che la riguardano. Con questa perlustrazione teorica, ma anche esperienziale e, a tratti, sperimentale, spero di dare un mio contributo alla scuola di quell’arte-terapia, prima chiamata poetry therapy, e che ora, finalmente presente anche in Italia,[1] può essere nominata nella nostra lingua: poesiaterapia.[2] Inseguendo le sopra citate tracce, sia nel testo di poetica di Zanzotto, sia in quella di R.W. Emerson, sia, infine, nel verso di Ingeborg Bachman, oltre che in altri autori,[3] ho intrapreso una ricerca per me appassionante.
Si tratta di un lavoro che – oltre a presentare mie poesie di comune ispirazione autonoma – cerca di entrare negli albori di un altro tipo particolare di scrittura poetica: quella che è partita da uno stralcio di versi di una poesia-seme di un altro poeta, da cui mi sono sentita quasi chiamata, tanto mi è risonata interiormente.
Ho chiamato poetizzarsi questo modo di scrivere poesia; un modo che si è macroscopicamente accentuato per me in epoca di pandemia e che, man mano che lo adottavo, mi si rivelava sorprendentemente auto-curativo.
L’esperienza del poetizzarsi
In quel lungo periodo, ogni sera mi abbandonavo a un ascolto speciale di poesie di autori che risonavano con la mia sensibilità di quel momento. Poi mi accorgevo che alcuni versi o nuclei poetici del testo in lettura mi catturavano al punto tale da aprire il mio canale energetico tipico della scrittura poetica. Quindi mi mettevo a scrivere un mio testo che partiva dal nucleo originante dell’altro poeta. Osservai presto che quel modo di scrivere poesia era in un equilibrio particolare fra presenza al nucleo poetico originante, da un lato, e immersione consapevole nella scrittura del mio testo originato, dall’altro lato.
Alla fine, provavo uno stato d’animo di insolita completezza e integrità del cosiddetto io. In realtà sentivo ancor di più il fatto che quella completezza mi derivava proprio dall’essere uscita dall’io, nell’aver intrecciato la mia scrittura con quella di un altro poeta, ma, soprattutto, di averla messa in contatto anche con quella dimensione animica e transpersonale tipica della vera poesia, dimensione che era presente e attiva nel testo originante dell’altro poeta. Insomma, leggere in quel modo era come inserire la mia spina creativa nella corrente elettrica della Poesia e della mia possibilità di scriverla.
Allora, in seguito, mi è sembrato che fosse un bene cercare di mettere meglio a fuoco, e condividere con altri, il ruolo di autoterapia di quella pratica del poetizzarsi, visto che le sue conseguenze erano risultate così benefiche per me, in un’epoca in cui la socialità delle comunicazioni si era ridotta alla chiacchiera virtuale o si era addirittura azzerata. Del resto, allora le forme di comunicazione quotidiana de visu si erano assottigliate, a volte annullate, e il silenzio forzato acquistava un nuovo volto, inquietante, in quanto segnale invisibile, ma potente, collegato alle tante morti. Infatti, allora queste fioccavano, specie nella mia città di Bergamo.
Su questo sfondo, si è aperto allora per me questo piccolo, ma profondo spazio-tempo del poetizzarmi: il tempo di una comunicazione fra poeti, silenziosa, ma più profonda di quelle prima usate e comuni. In questo modo anche il silenzio fisico ritrovò quel volto benefico che aveva per me nei tempi di chiasso precedenti l’epoca del Covid.
In alcuni casi il poetizzarmi era il modo per me migliore di dialogare col testo di quel poeta, inverando le potenziali scie di senso che il suo testo lasciava dietro di sé; oppure era il modo per vedere e usare il ponte che quel poeta aveva lanciato in poesia, magari nell’inconsapevole o inconfessata speranza di abbracci di risposta e di corrispondenza, cioè, in poche parole, in un’attesa di risonanza comunicativa.
Era quasi un togliere quel poeta, o quella sua poesia, dalla solitudine e dal silenzio muto in cui sarebbe potuta restare. E allo stesso tempo era un manifestargli che la sua poesia aveva tolto anche noi dalla solitudine precedente, perché, come scrisse la Dickinson, «Non c’è una sola solitudine, ma molte solitudini che restano ignorate».
Insomma, non si trattava di una gara di poesia, ma di un possibile incontro profondo, tanto quanto solo il linguaggio poetico può creare.
La ricerca
Allora ho scelto di fare sempre di più esperienza esploratrice di questo tipo di scrittura, e non solo nella fase di stesura spontanea dei testi, ma pure, successivamente, in una scrittura auto-riflessiva, anche teorica, su quello che mi appariva sempre più immaginabile come uno strumento ulteriore nell’ambito della poesiaterapia.
Perciò in questo libro ho scelto di condividere, oltre alle mie poesie, anche riflessioni, considerazioni teoriche e ipotesi pedagogiche, che ho posto in un’appendice al testo; lì si trovano, sia due esempi di auto-osservazione e analisi di quella stessa esperienza (chiamata, da me, poetizzarsi o poetizzamento), sia alcuni miei scritti sui possibili addentellati pedagogici e strumentali per le situazioni di poesiaterapia.
Con queste auto-osservazioni ho cercato di cogliere ciò che è avvenuto, poeticamente e psicologicamente parlando, nella scelta e nel passaggio dai versi di altro autore alle mie poesie derivate, cioè scritte a partire da quelli. Ho provato a mettere a fuoco principalmente le “forme” dell’incontro fra quelli che potrei azzardare a definire i DNA psichico-formali dei due testi messi in relazione, dato che, come ha sostenuto il padre della critica stilistica, Leo Spitzer, «una particolare espressione linguistica è […] il riflesso e lo specchio di una particolare condizione di spirito».
Gli scritti di auto-osservazione dello scambio poetico posti nell’Appendice per poesiaterapia, sono redatti inevitabilmente da me stessa, in veste di cavia necessaria, come spesso avviene all’inizio di una nuova ricerca e sperimentazione.
Da questo tipo di esperienza di propria scrittura poetica a partire dalla poesia di altri deriva il titolo Poetizzarsi, dove la riflessività del verbo non è da ricondurre al verbo poetizzare inteso col suo significato da vocabolario (poetizzare: «trattare in versi»; oppure: «esaltare con toni discutibilmente fantasiosi»). Qui, invece, poetizzarsi va inteso (con una licenza poetica) come verbo transitivo, quindi con un possibile complemento oggetto; insomma poetizzarsi può essere tradotto così: “Tu poeta mi poeti con la tua poesia” (cioè mi introduci nella dimensione energetico-spirituale propria della poesia in generale e propria di quel testo poetico) e poi io poeto, cioè scrivo poesia a partire dalla tua; così si arriva al poetizzarsi…inteso come scambio profondo, (quasi si trattasse di un fertile contagio) fra un testo poetico “originante” di autore differente e un proprio testo poetico, “originato” dal precedente.
Perciò non si tratta né di imitazione, né di influenza, né di citazione, e tanto meno di plagio!
Usando un’espressione di Zanzotto, potrei riadattarla e chiamarla una «fantasia di avvicinamento», oppure quell’«ignoranza dell’intiero» di cui parlava Leopardi, a proposito degli antichi, ma qui rivisitata con tutt’altro significato. Se invece considero questo tipo di scrittura facendo un parallelismo con le forme musicali, potrei avvicinarla alla forma della variazione, combinata con l’impromptu o con la fantasia-improvvisazione.[4]
Perciò la ricerca di quest’opera, rispetto a dei classici libri sugli aspetti tecnico-formali della poesia, sposta l’attenzione su una delle modalità che favoriscono la scrittura di una propria poesia; ovviamente non partendo da forme poetiche prefabbricate, più o meno didascalicamente presentate, ma piuttosto da uno strumento utilizzato-utilizzabile in poesiaterapia, che sposta il faro sullo spontaneo fertile contagio psichico-animico e formale che si può realizzare sul ponte fra il leggere e lo scrivere poesia.
Motivazioni
Finora ho parlato della mia esperienza e del ruolo anche di autoterapia che questo tipo di scrittura poetica ha avuto per me. Ma
voglio motivare pure il perché ne ho fatto poi un libro, e un libro double face: libro di mie poesie, ma anche libro con un’Appendice pedagogica per la poesiaterapia, e libro con interventi di un tipo di saggistica che sia di riflessione sul tipo di esperienza poetica del Poetizzarsi, benché poi siano risultati dei testi anche, a loro volta, …poetizzati!
La motivazione principale è quella collegata alle situazioni psichiche individuali e collettive create dalla pandemia, e, purtroppo, ora anche dalla guerra in area europea, su cui riflettere nel loro aspetto antropologico. Infatti, il poetizzarmi è diventato per me
un’occasione per vivere la pandemia e ogni situazione di crisi importante, come una vera apocalisse-rivelazione, cioè come un nido di opportunità psichicamente e spiritualmente evolutive. Allora, perché non condividere quel nido con altri, pubblicando lo strumento poetico che mi ha aiutato, e condividendo le idee sbocciate in me dalle varie “apocalissi-rivelazioni” vissute? Idee ritrovate anche in altri studiosi di vari campi.
(...)
[1] A Monza è nata dal febbraio 2020 la scuola di “PoesiaPresente”, con una sua rivista on line, guidata dal poeta performer e poeta terapeuta Dome Bulfaro. Nei primi numeri si rende conto anche delle attività dei pionieri in Italia in questo campo, fra cui quella portata avanti da me, fin dagli anni ’90. Segnalo inoltre qui il famoso libro della scrittrice Donatella Bisutti, antesignano del modo di intendere la poesia anche come strumento di autocura, La poesia salva la vita, Mondadori, Milano 1992 (poi ristampato fino ai nostri giorni).
[2] Poiché la poesiaterapia era nata e cresciuta da vari decenni solo negli Stati Uniti, si era consolidato il nome di Poetry therapy anche in Europa, per indicare l’arte-terapia che usa la lettura-scrittura di testi letterari (prosa autobiografica o narrativa e testi poetici) in ambiti di terapia psicologica o come strumenti con cui, autonomamente, si può operare terapeuticamente.
[3] Qui cito soltanto J.L. Borges: «Credo cioè che sia un errore il pensare che la letteratura sia fatta di parole. No, non è fatta di parole; cioè, è fatta anche di parole, ma è fatta soprattutto di immagini, di sogni. […] E di citazioni di libri. Ma i libri sono poi la memoria dell’umanità, sono il passato e il passato è anche un sogno».
[4] Un esempio fra i tanti può essere l’Impromptu op. 66 di Chopin, che sembra fosse “partita” da una variazione dell’op. 89 di Moscheles. Alle variazioni sul tema (melodico) in musica, potrebbero corrispondere, nel campo dello strumento del Poetizzarsi, quei testi poetici che, nel procedere per la propria strada, ma a partire da un testo di altro autore, ne riprendono o ne sviluppano prevalentemente il tema centrale; invece alle variazioni musicali che variano gli aspetti ritmici, armonici, timbrici, possono corrispondere le variazioni letterarie che si realizzano soprattutto sul versante del Significante (ritmo e timbro).
Marisa Brecciaroli, ha pubblicato diversi libri di poesia, poesia visiva e sonora.
Tra gli anni '80 e '90 ha seguito percorsi di formazione, ricerca e sperimentazione in poetry therapy e musicoterapia: psicoanalisi a indirizzo psicodinamico, formazione quadriennale in musicoterapia a indirizzo psicodinamico, corsi e seminari in Psicofonia presso Elisa Benassi (Mantova), collaborazione con la poetry therapist Antonella Zagaroli.
Recentemente ha seguito una formazione di Terapia strategica breve e di Terapia EMDR.
Conduce laboratori di poesia e musica anche in ambito psicologico.