Marco Dalla Valle, Dome Bulfaro, Irene Monge e Paolo Maria Manzalini tengono a battesimo la BIPO – Associazione Italiana di Biblioterapia e Poesiaterapia, un’associazione che guarda alla comunità scientifica internazionale, che vuole armonizzare un panorama professionale composito che richiede rigore, ma anche flessibilità e che intende unire e non dividere.
La creazione di un’associazione non è mai una cosa facile; BIPO – Associazione Italiana di Biblioterapia e Poesiaterapia nasce da un’esigenza irrinunciabile: tutelare la disciplina e gli utenti che la utilizzano e rappresentare coloro che ne fanno uno strumento professionale. A oggi non esiste un’abilitazione per praticare la “biblio/poesiaterapia” (da questo momento, come accade nei paesi anglosassoni, utilizzerò questo termine per indicare entrambe, appartenenti alla stessa disciplina pur essendo due tecniche differenti), non è stato creato un codice ATECO[1] che ne tuteli la professionalità, non è stato condiviso un codice etico per garantire standard elevati, non è richiesto un piano di formazione continua, non sono stati ipotizzati servizi di supervisione, non è stata creata una comunità in grado di condividere scoperte e difficoltà. Tutto questo e altro ancora sono gli strumenti necessari ai professionisti che praticano a diversi livelli la biblio/poesiaterapia e che possiamo osservare nel modello più alto: l’International Federation for Biblio/Poetry Therapy (IFBPT)[2], ente statunitense che si occupa del training e re-training dei professionisti medici e non medici. Dopo di loro, che hanno cominciato a lavorare negli anni Sessanta del Novecento, anche in Europa, a partire dagli anni Settanta, è nata la stessa esigenza. Ungheria e Finlandia hanno seguito l’esempio, costituendo associazioni in grado di affiancare la formazione di base e diventare intermediari a favore dei propri iscritti e degli utenti. Esattamente come per la formazione, dove nulla può essere inventato, anche la tutela della biblioterapia come disciplina deve seguire l’esempio di chi, prima di noi, si è cimentato in questo campo.
Guardo con stupore coloro che, in Italia, si sentono proprietari della biblioterapia o che tentano, con goffi sistemi, di registrarla come un marchio privato. La BIPO farà esattamente il contrario: guarderà alla biblio/poesiaterapia attraverso lo sguardo della comunità scientifica internazionale di ogni disciplina, in grado di portare ricerche ed esperienze. Siamo tutti consapevoli che l’applicazione della biblio/poesiaterapia comporti una buona parte di empirismo. Ma proprio per questo, laddove è possibile, è indispensabile affidarsi a ricercatori in grado di fornire nuovi elementi, e a linee guida da affiancare all’irrinunciabile creatività che ogni facilitatore biblioterapista deve mettere in campo per portare i libri nel proprio lavoro. E quando parlo di facilitatore di biblio/poesiaterapia intendo sia le figure professionali mediche, sia quelle umanistiche: psicologi, psichiatri, tecnici della riabilitazione psichiatrica, infermieri, educatori, insegnanti, bibliotecari, counselor, filosofi, coacher, operatori socio-sanitari e culturali. Non è un caso se i miei compagni di viaggio nella creazione della BIPO siano Dome Bulfaro, docente e poetaterapeuta, Irene Monge, filosofa della narrazione e Paolo Maria Manzalini medico, psicologo clinico, psicoterapeuta. Siamo un quartetto estremamente eterogeneo perché anche la biblio/poesiaterapia lo è. Biblio/poesiaterapia clinica, di competenza medica, e biblio/poesiaterapia dello sviluppo, utilizzata dai professionisti di area umanistica, questa è una suddivisione che tiene conto dei confini professionali che, necessariamente, devono essere rispettati, ma la questione non si esaurisce così. Se i facilitatori di area umanistica devono essere in grado di restare all’interno del proprio ambito, psichiatri e psicologi possono avere l’esigenza di inserire nella propria “cassetta degli attrezzi” strumenti letterari e tecnici da portare nella propria professione. Devono anche supervisionare professionisti “laici” nell’utilizzo della biblio/poesiaterapia di ambito clinico. Inoltre, i facilitatori di biblio/poesiaterapia umanisti inviano a loro, laddove osservano di non poter agire in autonomia, utenti che hanno bisogno di un percorso diverso da quello che inizialmente avevano proposto. Se vi sono ambiti operativi ben differenti, esiste anche una componente condivisa. Ed è per questo che la BIPO nasce a opera di quattro professionisti così diversi. La biblio/poesiaterapia compone un panorama professionale composito che richiede rigore, ma anche flessibilità. Soprattutto, necessita di unire e non dividere. Infatti, la prima sfida dell’associazione sarà quella di proporsi per capire se la comunità, composta dai numerosi facilitatori di biblio/poesiaterapia, avrà veramente l’intenzione di riunirsi. Non pochi dei professionisti che conosco non aspettano che la possibilità di iscriversi, ma non ho dubbi che alcuni preferiranno, legittimamente, operare in completa autonomia. La seconda sfida sarà la redazione del codice etico. Questa è forse la meno difficoltosa perché è possibile prendere ad esempio quelli già in uso in altri Paesi. La terza sfida sarà quella di creare un registro di facilitatori che posseggano una serie di prerequisiti, che l’associazione considererà necessari per operare, nel tentativo di creare un primo allineamento della formazione. Le valutazioni dei curricula saranno basate non solo sui percorsi di studi, ma anche sulle esperienze maturate, utilizzando un protocollo valutativo. E a chi non avrà le caratteristiche necessarie, saranno indicate quelle mancanti, così da dare la possibilità di ottenerle e tornare a richiedere l’iscrizione. La quarta sfida riguarda la formazione continua. Certamente apriremo un dialogo con l’Università degli studi di Verona (ma non solo) dove il Master in Biblioterapia è giunto alla seconda edizione (e si stanno aprendo le iscrizioni per la terza) e dove esiste il centro di ricerca interdipartimentale Biblioterapia e Shared Reading. I libri per il benessere[3], i quali, grazie alla professoressa Federica Formiga, si stanno sviluppando notevolmente. Essendo il sottoscritto, Bulfaro e Monge già coinvolti in entrambi i centri dell’ateneo veronese, cercheremo in ogni modo di promuovere dei percorsi di formazione continua e specialistica di alto livello per i professionisti di tutte le aree. La quinta sfida richiederà notevole impegno nel creare un servizio di supervisione a quanti sono in difficoltà nello sviluppare nuovi progetti o si trovano a dover gestire situazioni critiche. Si tratta di un’attività complicata e da codificare, certamente pianificabile sul lungo termine. Infine, c’è la sfida più grande e più difficile: cercare di ottenere un codice ATECO per chi pratica la biblio/poesiaterapia. Attualmente, abbiamo già detto, non ne esiste uno, come non esiste la figura del biblio/poetaterapeuta puro. Oggi la biblio/poesiaterapia è praticata da professionisti che ne fanno uno strumento da utilizzare con gli altri già a propria disposizione. È, quindi, un obiettivo ambizioso che, se potrà mai realizzarsi, lo farà di pari passo con lo sviluppo della biblioterapia in Italia.
La carica di presidente della BIPO che andrò a ricoprire con l’appoggio del vicepresidente Dome Bulfaro e la necessaria collaborazione dei consiglieri Irene Monge e Paolo Maria Manzalini durerà cinque anni. Non ho la presunzione che in questo lasso di tempo tutti gli obiettivi elencati saranno raggiunti, in modo particolare l’ultimo. Credo però che potranno compiersi molti passi avanti. Nel mio ruolo agirò pensando che, se quando ho iniziato a occuparmi di biblioterapia fosse esistita un’associazione di questo genere, certamente non ne sarei stato mai il presidente, ma mi sarei concentrato a diventare un buon professionista insieme ad altri. La fatica di non aver avuto una comunità di biblioterapisti (o biblioterapeuti, la disamina è ancora aperta) a cui riferirmi, né dei punti fermi sulla formazione nel periodo in cui ho intuito che i libri potessero essere una forma di cura, la ricordo ancora e sono consapevole di come abbia segnato il mio percorso professionale. Ho dovuto attendere alcuni anni l’incontro con la professoressa Judit Béres, direttrice del corso biennale post-universitario in biblioterapia per professionisti medici e non medici dell’Università di Pécs (Ungheria), per provare la sensazione di non essere più solo. Quando ho tenuto un laboratorio davanti a lei e poi ho avuto la sua conferma che quello che facevo era davvero biblioterapia, ho provato vera gioia. Avevo ricevuto finalmente una legittimazione, quella sicurezza di cui avevo bisogno e tutto è cambiato. È questa la funzione che vorrei l’associazione avesse: essere un punto di riferimento positivo e propositivo per tutti quelli che credo che i libri possano fare la differenza, aiutandoli a spiegare le ali verso una professione che in Italia ha ancora bisogno di essere costruita. La BIPO sarà la casa comune di coloro che desidereranno averne una, non tutta per sé, ma in comune con chi condivide gli stessi valori.
[1] il codice ATECO è un codice assegnato ai professionisti e utilizzato da ISTAT, Agenzia delle Entrate e altri enti per classificare le varie attività economiche ai fini contributivi, fiscali e statistici
[3] https://biblioterapia.dcuci.univr.it/
Marco Dalla Valle è un esperto di biblioterapia, che utilizza dal 2010.
A partire dal semplice offrire un libro ai suoi pazienti quando faceva l’infermiere, è arrivato a mettere in campo la biblioterapia nei gruppi di crescita personale, in progetti di bibliomusic-therapy e di fusione della biblioterapia con l’arte.