Poetry Therapy Italia

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La poetessa inglese Helen Moore ci racconta del suo contributo al movimento dell’ecopoetry, incentrato in particolare su un progetto di “Wild Writing”, scrittura selvaggia.

Come e quando è iniziata la tua collaborazione con il movimento dell’ecopoesia?

La mia partecipazione al movimento dell’ecopoesia è iniziata quando, nel 2003, sono diventata “Bard of Bath”, con una competizione tenuta appunto nella città di Bath nel Sud Est dell’Inghilterra. Questo ruolo ha a che fare con le tradizioni orali degli antichi Celti e con i bardi che venivano chiamati da re e governanti per tutta una serie di attività legate alla comunicazione, al racconto di storie, alla musica, alla poesia, al riportare eventi storici e genealogie, al piangere i defunti ma anche a spingere i guerrieri in battaglia. Esplorare e abitare questa tradizione in un contesto moderno, nell’anno in cui ho avuto questo titolo, ha restituito valore al mio desiderio di esprimere la mia spiritualità, basata sulla Terra nell’ambito di un mondo letterario piuttosto mondano, aiutandomi ad ampliare la mia percezione del ruolo del poeta.

Allo stesso tempo stavo diventando consapevole della crisi climatica, della distruzione ecologica diffusa e di tutti i problemi connessi e volevo usare la mia creatività per imparare, testimoniare, rispondere, comunicare. Così ho deciso di dedicarmi al servizio di Gaia e delle future generazioni. Nonostante io non abbia figli, ho iniziato a sentire quanto la vita dei giovani potesse essere influenzata da una mancanza di azione collettiva.

Quando ho iniziato a capire che quello che stavo facendo era effettivamente ecopoesia – anche se il movimento era poco conosciuto nel paese – alcuni poeti che conoscevo hanno cercato di avvertirmi di non limitarmi a questa etichetta. Ricordo che un poeta più anziano di cui seguivo i corsi in quel periodo mi disse: “Non c’è più nulla di nuovo da scrivere sulla Natura”, sostenendo così che la mia poesia fosse anacronistica e affine alla tradizione romantica.

In ogni caso, definire la mia scrittura come ecopoesia, mi è parsa l’espressione dell’intenzione di stare nel mondo con la coscienza di tutto quello che c’è in gioco, e con la consapevolezza di celebrare la nostra interdipendenza tra esseri viventi, la celebrazione del miracolo della vita sulla terra. Questo termine per me significa anche coltivare una pratica di osservazione della Natura oltre l’essere umano, una Natura che non è l’ambiente o un semplice sfondo della mia vita. È invece qualcosa di dotato di senso, con un valore intrinseco profondo che mi fa crescere come madre, musa, insegnante, amante. Un’ispirazione che mira a risollevare tutti gli esseri viventi dai margini dove la nostra cultura occidentale li ha relegati.

Qual è il contributo che l’ecopoesia può dare alla relazione tra uomo e Natura?

Nel rispondere a questo mi piacerebbe porre prima una domanda. Con l’uso della parola "uomo" si intende "essere umano"? Usare questa parola in inglese per rappresentare l’essere umano è una questione problematica perché c’è la questione di genere. In ogni caso vorrei anche dire che non riesco a parlare di umanità come un tutt’uno. Ci sono tanti esseri umani che abitano questo pianeta e che hanno già una relazione profonda con la Natura. Forse l’ecopoesia a loro non deve rivelare nulla. Queste persone sono spesso parte di gruppi indigeni che stanno tentando di sopravvivere alla colonizzazione e alle devastazioni di corporazioni globali che lavorano in combutta con i governi. Forse tutto quello che l’ecopoesia può insegnare loro è che ci sono dei poeti nelle culture occidentali che sono solidali con loro? E che anche noi, ecopoeti, ci stiamo “decolonizzando” per imparare e sviluppare la sensibilità che queste popolazioni hanno da millenni.

La domanda forse potrebbe essere riformulata in questo modo: “Quale contributo può dare l’ecopoesia alla relazione tra le persone, partendo dalla nostra cultura e Natura?” Alla fine spetterà a chi verrà dopo di noi giudicare. Ma c’è comunque la possibilità che sia l’ecopoesia a ricordarci che anche noi siamo Natura, che non siamo né separati né superiori come invece siamo stati portati a credere. L’ecopoesia può aiutarci a vedere il mondo con i nostri occhi, a sentire rispetto verso i superorganismi che hanno 4 miliardi e mezzo di vita alle spalle su questa Terra, che è anche la nostra casa e il nostro corpo allargato. Può aiutarci a comprendere che danneggiando la Terra stiamo danneggiando anche noi stessi.

Così come i poeti nell’antichità ispiravano i guerrieri, anche noi ecopoeti possiamo forse ispirarci e ispirare gli altri per resistere alle forze della distruzione, vedere possibilità di rigenerazione, cura e trasformazione? Questo rappresenta sicuramente un grande sforzo ma io ho avuto segnali di quanto il mio lavoro abbia seminato negli altri una coscienza ecocentrica e questo mi rende umile e mi fa molto felice.

Qual è il principio dell’ecopoesia che senti tuo? Perché?

Ci sono diverse definizioni di ecopoesia e ne seguono principi diversi. Per il mio lavoro ci sono quattro tematiche davvero centrali che sono: la riconnessione con la Natura altra-da quella-umana e con il nostro sé selvaggio; la testimonianza degli ecocidi e le ingiustizie sociali, che si intersecano; la resistenza, ossia dire la verità a chi detiene il potere; l’ideazione di modi Terracentrici di vivere ed essere. Per me ciascuno di questi aspetti è una via attraverso cui può essere sviluppata l’ecopoesia ed essi sono certamente collegati tra loro.

Recentemente sto cercando di approfondire la riconnessione con una pratica ecopoetica che chiamo scrittura selvaggia, delineando una metodologia attraverso cui ispirare altri. Oggi aiuto le persone con il mio programma “Wild Ways to Writing” che, con una serie di indicazioni, porta i partecipanti a intraprendere un viaggio creativo in connessione con la Natura più profonda, e offre un feedback in modo da rifinire il linguaggio, l’immaginario, la forma.

“Wild Writing” è una componente essenziale del mio lavoro come ecopoeta e mi permette di aprirmi e diventare un canale per esprimere la Natura al di là dell’essere umano. In questo sono influenzata dal grande ecopoeta americano Gary Snyder che ha detto: “La mia posizione politica consiste nell’essere il portavoce della Natura selvaggia. Penso che sia questo il mio bacino di riferimento.”

Nel “Wild Writing” è fondamentale il principio della “co-creazione”. Nella nostra cultura siamo stati portati a pensare che l’atto della creazione avvenga in uno spazio vuoto. Pensiamo che il genio sia bianco, uomo, uno, pensiamo che lavori da solo, spesso ispirato da una musa femminile. In realtà tutto accade come co-creazione. Un albero non cresce in uno spazio vuoto, risponde alla luce, alla terra, all’acqua, al tempo atmosferico, alle colonie di insetti. Interagisce con altri alberi attraverso relazioni simbiotiche (micorrize). Un albero è anche la casa di altri uccelli e altre creature che potrebbero avere una relazione simbiotica con l’albero stesso, come ad esempio mangiare le sue bacche e poi spargere i semi facendoli cadere.

La co-creazione è cuore di tutte le esperienze – tutti gli esseri sono connessi attraverso la rete della vita, gli ecosistemi e le comunità che la abitano. In quanto esseri umani la nostra co-creazione è con altri esseri umani, anche con gli scrittori che ci ispirano e anche con altri esseri non umani, come esperienza tra specie diverse. La co-creazione potrebbe includere un lavoro conscio di relazione con l’Universo, lo Spirito Divino, l’Unità, Dio, qualsiasi sia il nome che vogliamo attribuirgli. Quindi, certo, la co-creazione è al centro del mio lavoro e non solo del mio.

Potresti scriverci una poesia da tradurre e pubblicare su Poetry Therapy?

Vorrei condividere la poesia Parla lo scienziato del Clima che è inclusa nella terza raccolta di ecopoesia The Mother Country (Awen Publications, 2019). Questa poesia non è molto “Wild Writing”, è un testo che si basa su un lavoro di ricerca. Sono molto interessata alla scienza e sono anche impegnata in un progetto che connette arte e scienza e che riguarda l’inquinamento dei fiumi. Sono consapevole del fatto che la scienza spesso sia intrisa di linguaggio astratto e che possa essere complicato capirla per chi non si occupa di materie scientifiche. Così vedo la poesia come un atto di traduzione che mi permette di comunicare ciò che ho scoperto dagli scienziati e cerca di rivelare le profondità e la meraviglia latente del loro lavoro.

§

Climate Scientist Speaks

                    The Sibyl, with frenzied mouth uttering things not to be laughed at,
                    unadorned and unperfumed, yet reaches to a thousand years
                    with her voice by aid of the god.

                     – Heraclitus

Our integrated Earth system is a thing of beauty –
the work of algorithms and differential equations.
In the calm of the lab, I sit by a plasma screen observing 
the kaleidoscopic patterns of sea ice concentrations.  
Through the laws and logic focussing my mind, 
I peer into the future.

Arachne, our super-computer, makes 600 trillion calculations 
per second, weaves scenes of spiralling instability.
With a tap on my touchscreen, I look through distant eyes in the sky – 
polar orbitters that monitor deep-water currents, surface 
temperatures and melting rates of glaciers and ice sheets.
Data drops into my office like subterranean water
in a limestone cave, leaving ever more profound impressions.

Often I’m gazing thousands of years into the past, 
analysing cryospheric systems, evidence from borings in icecaps – 
those giant, glassy scrolls chronicling periods of global heating
and cooling.  Unforeseen results appear like rays of sunlight 
piercing the atrium of a temple; then my mind fledges hypotheses 
that rise on thermal currents.  I race to track them down, 
start the next phase of rigorous assessment.

When the media publishes my findings, or I report with colleagues 
to Congress, there’s always the hope that this time 
our work will make a difference.  Mostly I feel as if I’m speaking 
with addicts on the subject of their habit – 
the harm it’s doing them and others, the denial of this truth.  
Back home, I well up as my kids play at being adults –
their make-believe shaped by the only world they know.

O, but my angels, the unravelling web….

Parla lo scienziato del clima

                  La Sibilla, con la bocca delirante, mormora cose di cui non si ride,
                  senza orpelli né profumi, e con la voce supera mille anni grazie
                  al divino che la abita

                  –Eraclito

Il nostro Sistema Terra riguarda la Bellezza –
è il lavoro di algoritmi e equazioni differenziali.
Nella quiete del laboratorio, davanti a uno schermo al plasma osservo
i pattern caleidoscopici di concentrazioni di ghiaccio marino.
Concentro la mia mente sulle leggi e la logica,
guardo il futuro.

Arachne, il nostro super-computer, fa 600 mila miliardi di calcoli
al secondo, intesse scene di instabilità a spirale.
con un colpetto sul touchscreen, vedo attraverso occhi lontani nel cielo –
orbite polari che controllano correnti d’acque profonde, superfici
temperature e indici di scioglimento di ghiacciai e strati di ghiaccio.
I dati arrivano nel mio ufficio come acqua sotterranea
in una cava di calcare, lasciando impressioni ancora più profonde.

Spesso osservo migliaia di anni nel passato,
analizzo sistemi criosferici, perforature nelle calotte –
quei giganteschi rotoli trasparenti che registrano il surriscaldamento globale
e il raffreddamento. Risultati imprevedibili appaiono come raggi di luce solare
che bucano l’atrio di un tempio; poi la mia mente impenna ipotesi
che crescono su correnti termali. Io corro per tracciarle,
inizio una nuova fase di assestamento rigoroso.

Quando i media pubblicano le mie scoperte, o io le riporto con i colleghi
ai congressi, c’è sempre la Speranza che questa volta
il nostro lavoro farà la differenza. Per lo più mi sento come se stessi parlando
con persone drogate dall’abitudine –
il danno che fa a loro e agli altri, la negazione di questa verità.
Rientrato a casa, mi viene da piangere mentre i miei figli giocano a fare gli adulti –
il loro credo basato su quell’unico mondo che conoscono.

Oh, miei angeli, la rete si disfa da sé…

§  

A cura di Dome Bulfaro e Patrizia Gioia.
Traduzioni di Sara Rossetti.

 


Moore HelenHelen Moore è una ecopetessa, impegnata come artista e scrittrice. Ha pubblicato tre raccolte di ecopoesia, ha un programma di online mentoring, Wild Ways to Writing e lavora con studenti di tutto il mondo. Nel 2020 il suo lavoro è stato nominato al Forward and Puschart Prizes e ha ricevuto sussidi dal Royal Literary Fund e Arts Council England.
Collabora con Cape Farewell a RiverRun nel Dorset, un progetto che si occupa, insieme a agricoltori e scienziati, di esaminare l’inquinamento nella Poole Bay e nei fiumi limitrofi. 

» La sua scheda personale.