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Dalle idee poetiche ed ecologiche di Diane di Prima, Timothy Morton e Colin Falck, all’esempio vivo e contemporaneo delle opere di Melina Riccio, verso un nuovo paradigma poetico basato sull’amore, la cooperazione e la sostenibilità per tutti gli abitanti, umani e non, di questa Terra che chiamiamo casa: l’ecopoetica come tecnologia di tenerezza in azione.

"L’ecopoetica porta a domandarsi come una poesia possa essere un fare (il poiesis greco) legato all’abitare; il prefisso eco, infatti, deriva dal greco oikos: la casa o il luogo dell’abitare. Secondo questa definizione, poesia non deve necessariamente essere sinonimo di verso: la poesia dell’abitare non è intrinsecamente dipendente dalla forma metrica. Tuttavia, le notazioni ritmiche, sintattiche e linguistiche, proprie della scrittura in versi, conferiscono una forza particolare alla poiesis e quest’ultima, nel suo significato di “fare versi”, potrebbe essere la via più diretta del linguaggio che ritorna all’oikos, il luogo dell’abitare, perché il metro stesso – una musica calma ma continua, un ciclo che si ripete, un battito del cuore – è una risposta ai ritmi della natura, un’eco del canto della terra stessa."

Jonathan Bate, The Song of the Earth (p. 75-76)

Noi esseri umani viviamo all’interno di una rete, autogeneratasi, di incantesimi “elitari” che tendono a separare, di meta-narrazioni del patriarcato, della tecnocrazia, del capitalismo, dell’antropocentrismo, del fascismo, del razzismo, dello specismo, ecc. Le nostre lingue sono tessute da un intreccio di gerarchie e distruzione. Mentre affrontiamo le imminenti emergenze climatiche planetarie, nel crollo di una visione del vecchio mondo, basata su concetti obsoleti di individualità e azioni stereotipate e in uno tsunami globale pandemico-economico, la specie umana ha bisogno di trovare nuove storie da raccontare, nuove canzoni da cantare, nuovi rituali per guarire, nuove tecnologie di tenerezza, per creare insieme un altro modo di costruire una casa in questo luogo chiamato Terra, basato su amore e vita, biofilia e cooperazione, come antidoto alla pulsione di morte, di povertà, di mera sopravvivenza e di competizione.

Nuovo, tuttavia, non significa che non abbia radici nella saggezza e nella conoscenza del passato, ma sicuramente significa creativo, quindi diverso e quindi incerto, in contrapposizione a una certezza di tipo “fascista”. Significa aprire i nostri sensi non solo al richiamo degli antenati, ma anche alle lingue dei nostri coinquilini non umani e la nostra immaginazione collettiva/individuale alle possibilità delle generazioni future.

“Non torniamo a vivere nella foresta ma torniamo a vivere con la foresta” ha detto Toni Negri, in una trasmissione alla radio nel marzo 2020. E se dobbiamo creare insieme nuovi modi di fare casa e abitare, quale linguaggio migliore della poesia, un linguaggio universale, non religioso ma certamente spirituale, intellettuale e fisico, che segue il battito del cuore e i ritmi della Natura/Terra? Come ha affermato Shelley nella sua Defense of Poetry: “nell’infanzia della società... il linguaggio stesso è poesia”.

E “l’unica guerra è la guerra all’immaginazione” diceva Diane di Prima nella sua poesia Rant (Invettiva) da Pieces of a Song: Selected Poems.

“L’immaginazione” di cui scrive Diane di Prima sembra essere la chiave per sbloccare il potenziale curativo dell’ecopoetica. Il teorico dell’ “ecologia oscura” Timothy Morton, in recenti contributi parla di questa “immaginazione”, sia nella sua conferenza online “School of Art + Art History” dell’Università della Florida del 17 novembre 2020 con il suo testo ecopoetico Imagine, ispirato al video della canzone di Lennon & Ono, sia in un più recente discorso del 16 marzo 2021, riguardo alla creatività come antidoto al fascismo. Tim Morton definisce la creatività come dotata di tre elementi che contrastano la certezza e il dogmatismo di molti “ismi”: ironia, ambiguità (ma non vaghezza) e bellezza. Se

l’arte è necessaria (1) come opposizione alla credenza dogmatica, e (2) come opposizione alla mentalità tecnologica prevalente della nostra cultura, in un mondo più ontologico o spirituale, entrambi questi bisogni sarebbero meno insistenti. Come Schiller – e la successiva tradizione liberal-umanista, hanno chiaramente percepito – il nostro bisogno è di un’arte che possa interagire, e quindi redimere, il mondo meccanizzato e desacralizzato della vita quotidiana.

Myth,Truth & Literature towards a true post-modernism, Colin Falck 1989 Cambridge University Press (p.169)

allora l’ecopoetica potrebbe benissimo essere una forma valida di quell’arte necessaria. Falck continua dicendo che

l’autentica religione del futuro non può che essere: il vivere autentico. La sua “sacra scrittura” non può che essere: la poesia... La religione del futuro sarà la religione dell’esperienza piena. Tutta la verità è carnale e che l’Energia viene dal Corpo è il vero significato del Verbo fatto carne... Tutta la realtà è estetica... L’arte e la religione non risolvono i nostri problemi pratici, ci permettono solo di vedere il mondo in modo autentico. I poeti hanno solo interpretato il mondo. Il punto rimane: cambiarlo. (p.170)

Lavoro con l’ecopoesia da quando ero bambina, senza nemmeno accorgermene. Il canto spontaneo della mia infanzia di poesie d’amore agli alberi si è ramificato in una serie in continua crescita di progetti artistici, educativi, socioculturali, poesie e collaborazioni ecopoetiche.
Il mio precedente articolo per questa rivista, era proprio incentrato sulla spiegazione della Tecnologia della Tenerezza, che teorizzo e pratico.  Attualmente ho iniziato un dottorato di ricerca in ecopoetica a l’Université Libre de Bruxelles.

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In questo articolo voglio anche rendere omaggio a Melina Riccio e alla missione ecopoetica che porta avanti da oltre trent’anni.

Prendendo come mappa teorica la trama delle linee di pensiero di di Prima, Morton e Falck, vorrei, quindi, esplorare brevemente un approccio contemporaneo, pratico, creativo (e anche splendidamente imperfetto a volte, perché, come ha affermato Sylvia Plath nel verso di apertura della sua poesia The Munich Mannequins: “La perfezione è terribile”) di lavorare verso un nuovo paradigma basato sull’amore, la cooperazione e la sostenibilità per tutti gli abitanti, umani e non, di questa Terra che chiamiamo casa: l’ecopoetica come tecnologia di tenerezza in azione...

Mi sono imbattuta per la prima volta nelle opere ecopoetiche di Melina Riccio passeggiando per la mia nuova città d’adozione, Genova, nel 2018. Mentre vagavo per le strade acciottolate della città vecchia, ho continuato a imbattermi in graffiti dipinti di bianco, che parlavano di Madre natura e d’amore, in semplici ma misteriose rime, sempre seguite da una firma: una mela a forma di cuore con delle stelle e il nome Melina, accompagnato a volte da composizioni di fiori. Alcuni esempi sono visibili nelle seguenti pagine:

Poi, un giorno, ho visto una donna con un abito originale, un patchwork di colori e parole, con una corona di fiori in testa e fiori tra le mani, seduta, immobile come una statua, tra la folla di un evento che si svolgeva in una piazza centrale. Dopo di che ho continuato a vederla in posti diversi, ma sempre con indosso abiti luminosi e fioriti, a volte mentre disponeva delicatamente fiori alla base di un albero o metteva poster di collage fatti a mano tra i rami. Ho iniziato a chiedere alla gente del posto informazioni su questa donna dei fiori e alla fine ho scoperto il suo nome e ho capito che era la stessa Melina che stavo scoprendo, raccontata in giro per la città. Ho iniziato a leggere di lei su internet (alla fine dell’articolo lascio alcuni link per approfondire la sua storia).

Melina affascina le persone. Alcuni la considerano semplicemente pazza, altri addirittura una delinquente per aver scritto sui muri. Ma la maggior parte delle persone con cui ho parlato è affezionata a Melina; la gente, sorridendo, dice di provare una strana leggerezza nel cuore, gioia, meraviglia o speranza dopo aver parlato con lei, aver visto il suo lavoro o, se sono fortunati, dopo aver ricevuto un regalo da lei: fiori o anche un cuore di stoffa ricamato a mano.

Alla fine, l’ho incontrata vicino al suo albero di fico preferito, al porto. E quando mi sono avvicinata, Melina è stata felice di parlare e spiegarmi il suo lavoro. Questo il tratto distintivo di Melina: vive il suo messaggio di gioia e amore, senza parlare mai male di nessuno, sorridendo, incoraggiando le persone che incontra a essere più libere e felici, sempre in rima.

Mi ha invitata a visitare il suo atelier a Villa Piaggio, un edificio fatiscente dove l’associazione ContemporArte le ha messo a disposizione uno spazio per riporre i suoi materiali. Ha un disperato bisogno di manutenzione e non ha riscaldamento per quanto ne so, ma è almeno un riconoscimento del suo status di artista. I collage di Melina sono stati esposti anche a Tokyo e lei viaggia per l’Italia lasciando messaggi di pace e amore sparsi come benedizioni da Roma, a Salerno, a Milano.

Nei mesi successivi sono andata di tanto in tanto a trovarla, ascoltando la sua storia e la sua filosofia e imparando dalle opere che crea. Quando volevo incontrarla (non possiede un telefono) lasciavo messaggi scritti sulle foglie, perché non le piace usare la carta (a meno che non la ricicli come tutti gli altri materiali che usa, recuperati dai cassonetti) perché proviene dagli alberi e loro hanno bisogno di essere protetti. Ho iniziato a pubblicare foto del suo lavoro su Instagram e alla fine sono stata contattata da David Valolao, un regista che crede profondamente nel lavoro che Melina sta facendo e ritiene che la sua filosofia sia molto affine a quelle orientali. Valolao stava realizzando un breve documentario su di lei e mi ha chiesto se potevo tradurre i dialoghi per i sottotitoli del film. Ovviamente ne sono stata onorata e così ho avuto l’opportunità di conoscere meglio Melina e il suo straordinario lavoro. Il film Melina è attualmente in tournée in diversi festival e ha anche vinto alcuni premi.

Questa è la sinossi del docufilm:

Sola e con una straordinaria forza di volontà, Melina ha scelto di intraprendere un viaggio nell’ignoto sacrificando la propria famiglia per difendere la Santa Madre Terra. La spazzatura che ha invaso ogni angolo del mondo è l’espressione e la conferma dell’agire umano contro natura, il movimento di Melina è un operare demiurgico per riportare luce nel cuore delle persone e per portare ordine nel disordine quotidiano. Un documentario che racconta il lavoro umile e silenzioso di una donna che ha dato la sua vita per il prossimo.

Melina è onesta e aperta sulla sua storia e quindi è facile trovarla su Internet e il cortometraggio di Valolao rende davvero una giustizia “poetica” al suo percorso di vita. Secondo me Melina ha contribuito a creare una pratica dell’ecopoetica davvero straordinaria. Come osserva la poetessa Sophie Strand:

Le nostre ferite non si manifestano nei nostri corpi. Si presentano nei nostri ecosistemi. Quando proviamo dolore, dobbiamo chiederci dove quel dolore ci chiede di guardare. Quale pianta, paesaggio, oceano, montagna, risuona con la nostra particolare situazione? Come possiamo lasciare che la malattia personale ci galvanizzi in una maggiore connessione con il nostro ecosistema? (articolo completo a questo link )

Fino all’età di trentatré anni (lo stesso anno della morte di Cristo, come lei ama sottolineare), Melina ha vissuto una vita cosiddetta normale secondo la nostra attuale cultura occidentale, sposata con tre figli, accumulando ricchezze e case (Melina nota che più ne hai, più ne vuoi). Era un’artigiana di grande talento; un giorno stava andando a una fiera del design a Milano per esporre i suoi lavori, aspettandosi il giusto riconoscimento, invece, dopo aver lavorato tanto, fino allo sfinimento, ha ricevuto una grande delusione e ha compreso come quel sistema non fosse costruito per creare bellezza, ma per accumulare denaro. In quel momento, qualcosa dentro di lei è scattato. A seguito di una serie di vicende personali, ha deciso di “bruciare” una notevole quantità di denaro e iniziare a dedicare la sua vita all’amore e alla natura. Ovviamente, suo marito non comprendeva né le sue azioni, né le sue idee. Venne, quindi, ricoverata in un ospedale psichiatrico e lì iniziò una serie di esperienze infernali. Alla fine, Melina si è sentita chiamata da Dio (ma non dal “dio” che i dogmi della religione e di altre istituzioni ci propinano, che in realtà va contro l’idea divina di amore, pace e natura) chiamata a dedicare la sua vita a diffondere proprio la pace, l’amore e il rispetto per la natura. In questo senso Melina assomiglia al grande poeta inglese William Blake con la sua concettualizzazione del “dio” delle istituzioni (che chiama Urizen), che si pone contro il dio più compassionevole e amorevole.

Così Melina ha preso la decisione molto difficile di lasciare la sua famiglia “nucleare” per dedicare la sua vita a salvare la famiglia “umana”. Per questo ha dovuto rinunciare ai soldi e ha cominciato a seguire i messaggi che le erano stati dati. Per esempio, nel profondo della sua disperazione mentre era rinchiusa in un istituto psichiatrico, vide una mela (che richiamava il suo nome) metà marcia e metà buona. Decise di mangiarla perché anche lei è composta di due metà contrapposte e così facendo ha compreso il dolore della Terra causato dalle azioni dell’uomo. I “segni” che Melina ha visto dopo aver chiesto a Dio come operare per salvare l’umanità dalla profanazione della Terra, includevano una pattumiera e il simbolo della stella che compare quando si taglia a metà una mela.

È tutto magicamente semplice da spiegare, senza complicazioni che possano rovinare l’effetto che fa Melina quando ti insegna il significato della vita secondo le sue intuizioni ed esperienze. Invito ogni lettore interessato a cercare il documentario di Valolao e gli altri video su Youtube e le pagine social di Melina, oppure a provare a incontrarla di persona. Per me questo è il vero significato ecopoetico del suo lavoro: Melina riesce a prendere tutto ciò che ha a portata di mano, un pezzo di carta nella spazzatura, un portasigarette scartato, il gambo di una mela mangiata e lo trasforma in un’opera d'arte, mentre racconta la sua filosofia di vita attraverso ogni atto pratico-creativo che compie, così che l’atto stesso di piegare o tagliare o strappare o incollare o cucire o scrivere diventa una preghiera o un insegnamento d’amore.

Da trent’anni e più, Melina recupera ogni giorno dalla spazzatura oggetti e materiali, fiori dai cestini dei cimiteri e cibo per sé (che condivide con il mare e la terra e chiunque desideri mangiare mentre parla con lei) e poi crea poesie che promuovono l’amore, la pace e la natura, che cuce su vecchi vestiti e indossa o appende sugli alberi, su collage in poster (ad esempio trasformando slogan capitalistici dai manifesti di una fiera nautica in frasi ecopoetiche), graffiti sui muri, installazioni floreali a Madre natura e infine opere d’arte performativa in rima, poesia o silenzio, indossando le sue creazioni negli spazi pubblici. Durante i lockdown, causati dall’epidemia di coronavirus, ha creato e indossato mascherine con bucce di frutta e verdura e collage poetici.

Il suo approccio è un “poesia della dimora”, come definisce Jonathan Bates l’ecopoetica nella citazione all’inizio di questo articolo. La casa di Melina è la natura, anche negli spazi più urbani ed è nel suo stesso corpo. Non è antropocentrica perché condivide continuamente tutto ciò che ha con gli elementi della natura, siano essi umani, pesci o piante, non per carità, ma per affinità. E ha un rapporto simbiotico con la natura, dialogando – e non solo parlando – con lei. Naturalmente, anche la sua vita è fatta di estremo sacrificio, ma è la sua missione ed è gioia, e forse la salvezza dalla disperazione (e dalla possibile follia) che prova per il modo in cui gli umani stanno rovinando le loro vite e tutte le vite su questo pianeta, attraverso le loro azioni distruttive. Melina però non giudica; abbraccia tutti e offre messaggi di speranza che sanno trasformare, offrendo se stessa come poesia vivente dedicata al nostro oikos, la nostra casa. Questo è davvero un balsamo di tenerezza per i nostri tempi tumultuosi e per i nostri cuori vulnerabili alla ricerca di un significato e uno scopo.

Grazie Melina.

(traduzione dall'inglese di Simonetta De Donatis)

Su Melina Riccio

https://www.facebook.com/melinaricciocarmela/

https://www.instagram.com/melinaricciocarmela/?hl=it

https://www.ilsecoloxix.it/genova/2015/02/26/news/melina-riccio-ecco-la-mia-missione-1.31661737

https://www.blogo.it/post/7465/melina-riccio-a-milano-breve-storia-di-una-poetessa-art-brut

http://www.p-ars.com/page14/page207/page207.html

https://www.youtube.com/watch?v=jpE5iFm_kn0

https://www.youtube.com/watch?v=nIP7SSxFni8

https://www.youtube.com/watch?v=1HOSXHRhz5M (canzone dedicata a Melina)

https://filmitalia.org/it/film/155840/ (film di David Valolao)

 


 

TaniaHaberland 2017Foto Dome BulfaroTania Haberland è una poetessa interculturale, qualificata in Life Orientation, Integrative Counseling e Tantsu Bodywork. È nata in Sudafrica da madre mauriziana e padre tedesco. E’ cresciuta, vissuta, si è formata e lavorato in tutto il pianeta dall'Arabia all'Europa, dal Regno Unito agli Stati Uniti. Ora vive tra Mauritius e Italia con il suo partner Fabrizio Dalle Piane, con il quale sviluppa il progetto La tecnologia della tenerezza e insegna Zenglish, quando non nuota con la sua musa, il mare. La sua prima raccolta poetica, Hyphen, ha vinto il Premio Ingrid Jonker nel 2010. Il suo primo libro bilingue Water Flame / Fiamma d'acqua è stato pubblicato dalle edizioni Mille Gru nel 2019. Tania ha trovato il suo motto di vita su una borsa ecologica a San Francisco: “Merda succede. Prepara il compost!” Puoi seguire il suo lavoro e le sue attività su Instagram @thetechnologyoftenderness

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