Poetry Therapy Italia

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Francesca Matteoni racconta l’esperienza di un laboratorio di fiaba e poesia che ha coinvolto tutta la comunità locale di una valle dell'Appennino pistoiese. Mutuando i passaggi propri della fiaba, i partecipanti hanno avuto la possibilità di attraversare il proprio dentro e il proprio fuori, usando come mezzo di condivisione la poesia, uscendo così dal proprio guscio.

Ho vissuto per alcuni anni sulle colline nel nord-est di Pistoia, in un piccolo paese di fondovalle, dove scorre il ruscello della Bure. Anche se ora mi sono spostata altrove, quel paese resta una parte fondamentale di ciò che chiamo casa, sebbene non possa portarla sempre con me come fa una tartaruga.

È stato un periodo di condivisione e comunità aperto a tutta la valle e alla città di Pistoia, che spero in qualche modo possa protrarsi. In particolare dalla primavera del 2017 all’autunno del 2019 ho portato avanti, grazie alla collaborazione delle varie realtà locali, dai circoli Arci ai comitati, e del Centro Diurno Desii 3, il “Viaggio dell’Eroe”, un laboratorio di fiaba e poesia sviluppato per tappe e temi. Gli incontri si tenevano in diversi paesi della Valle delle Buri, con sconfinamenti in zone periferiche cittadine; ogni appuntamento corrispondeva a un momento di passaggio della fiaba, dalla definizione dell’eroe, all’idea della casa, al sentiero e all’aiutante magico, fino a concetti più complessi come la trasformazione, le fatiche, l’altro mondo. Come una piccola tribù nomade, dunque, ogni mese ci siamo dati appuntamento nelle stanze dei circoli, in vecchie scuole dismesse, in case private che si sono aperte per noi e perfino nel bosco di Santomoro.

Il laboratorio si è incentrato sulla marginalità: geografica e sociale, rivolgendosi, da una parte, alle persone delle periferie collinari, luoghi che spesso non figurano nella produzione culturale di una città, dall’altra, agli utenti del Centro Diurno ovvero persone che attraversano o hanno attraversato un disagio psichico e si affidano agli educatori del centro per attività giornaliere di ogni tipo. Fin da subito, parlando con l’educatrice Federica Barelli, abbiamo deciso che l’esperienza non sarebbe stata all’interno del Centro, al contrario, le persone avrebbero raggiunto, di volta in volta, i luoghi designati per lavorare a contatto con gli altri partecipanti.

Ciò che ci premeva era usare la poesia come mezzo inusuale per condividere fragilità personali, per provare, infine, a ritrovarsi, non poi così differenti, seduti a un tavolo ad ascoltare letture, sfogliare libri e scrivere.

Il laboratorio di poesia non iniziava propriamente davanti al foglio di carta ma, ancora prima, quando i frequentatori del Centro Diurno dovevano raggiungere i paesi, organizzandosi, prendendo autobus, salendo in auto, chiedendo passaggi ad altri partecipanti. Uscire insomma dal guscio come primo atto poetico, niente affatto scontato. D’altra parte anche gli abitanti più anziani dei paesi, la maggioranza dei partecipanti, dovevano uscire dal loro guscio, pieno di falsi miti: siamo ignoranti, non abbiamo studiato, non leggiamo poesia. In modo un po’ provocatorio rispondo sempre a questo tipo di dubbi che basta essere vivi e parlare, più o meno, lo stesso linguaggio, per ascoltare una poesia e usare le parole come strumenti di scoperta. Se c’è un effetto terapeutico in tutto questo è diffuso, perché annulla le distanze, almeno per quelle due o tre ore in cui siamo insieme. O meglio ribalta l’interno nell’esterno e così alleggerisce le paure: quando ci troviamo a immaginare una poesia-incantesimo nella quale si chiede di essere liberati da tutto ciò che ci opprime, non ha poi più molta rilevanza il percorso psicologico e umano da cui proviene chi scrive. Ciò che importa è quanto verrà accolto dall’altro accanto. La poesia così creata suggerisce che siamo tutti gli immediati dintorni, proprio come le nostre periferie che rischiano, e non meritano, di divenire dormitori, e siamo tutti fragili, quando troviamo il tempo per guardarci un po’ meglio, magari anche, concludendo con una merenda insieme, una tazza di tè, un dolce che qualcuno ha preso il tempo di preparare.

Perché ho scelto la fiaba? Ho spesso detto, durante gli incontri, che ognuno aveva una casa da abbandonare e a cui tentare di far ritorno; ognuno aveva compagni e antagonisti che talvolta potevano addirittura coincidere, proprio come accade ai personaggi delle fiabe. Eroici sì, ma al prezzo della perdita. Per sostare nella poesia bisogna accettare di perdere: un’arte in cui chi si espone nella debolezza diviene maestro, fino a trovare strade fuori dal tracciato più comune e fare di se stesso una mappa.

Per concludere, lascio spazio ad alcuni dei testi provenienti da momenti diversi dell’esperienza come: il racconto dell’eroe, i portafortuna che si tengono con sé durante il viaggio, le fatiche spirituali e fisiche da compiere, l’immersione in altre storie e la riflessione sul passato e futuro, di cui chiunque scrive si fa seme.

(l’eroe)
Io sono il primo degli ultimi
Io provengo da questo mondo
Io non sono il mio tipo ideale
Io temo il futuro
Io vedo l’orizzonte sperduto della vita
– Cristian

(le cose che preferisco)
Preferisco sigarette accese a macchine sospette
uscire la sera piuttosto che sentirmi in galera
adoro mia sorella perché è la mia stella gemella
e voglio essere me stesso
ma non sono sotto stress
sono solo senza nome
– Veriano

(dai libri illustrati)
Libro ti sfoglio e trovo la pagina del canto notturno della raganella sognante.
Ciao raganella che vuoi essere mia amica vuoi venire con me nelle spiagge del sud, dove la notte è magica potremmo trovare le tartarughe che depongono le uova, potremmo giocare a nascondino con la luna che complice non si fa vedere, che poi torna a risplendere nel cielo stellato a vedere le onde che vanno e vengono mentre nel chiarore del cielo si dipinge l’arcobaleno.
Ciao raganella, il nostro viaggio è terminato.
– Monica

(le fatiche)
Ricordare tante volte un anno passato a morire,
cosa è rimasto? Il vero nemico adesso è il ricordo
il più grande amico, l'oblio, mi accompagna
fedele nel risveglio di tutti i giorni.
L'uscita dal sonno si capovolge e i nuovi affetti
si uniscono ai vecchi trasformando
la mia parte morta in un racconto ancora da scrivere.
– Damiano

(la cura del passato)
Non ho trovato niente da curare nel mio passato
mi manca l'esperienza del protettore, ma, forse,
in quest'assenza, sta nascendo un nuovo ruolo:
il futuro, i giorni che non ho vissuto, li custodisco
dentro di me, con una sacra separazione dal passato,
li rendo incontaminati per far nascere
in questo nuovo suolo il mio gemello.
– Damiano

 


 

francesca matteoniFrancesca Matteoni conduce laboratori di poesia e fiaba e di tarocchi intuitivi. Vive sulle colline pistoiesi. Ha pubblicato vari libri di poesia fra cui Artico (Crocetti 2005), Acquabuia (Aragno 2014) e Libro di Hor con le immagini di Ginevra Ballati (Vydia 2019); il romanzo Tutti gli altri (Tunué 2014) e il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ 2019).
» La sua scheda personale.