La consapevolezza di chi è il poetaterapeuta è il principio attivo che in modo particolare abbiamo sondato in questo numero.
In pochi hanno compreso che la poesia è una delle più potenti medicine che, dalla notte dei tempi, l’uomo utilizza per curarsi.
Tutte le arti sono pratiche medicinali, se hanno in sé i principi attivi da cui dipende l’azione curativa, la quale definisce la tipologia del medicinale.
Nel discorso del 21 maggio 2005 per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, il poeta David Foster Wallace afferma che:
La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificanti e poco attraenti. Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.
Ecco, la poesia è l’antidoto al dolore che nasce dall’inconsapevolezza, dal vivere in modalità predefinita, dal sentirci sempre manchevoli di qualcosa e mai interi e colmi d’infinito.
Non abbiamo ancora compreso che quando Montale contrappone, in Spesso il male di vivere ho incontrato, la “Divina Indifferenza” a “il male di vivere” sta innanzitutto indicando al lettore, non un fatto estetico, ma un preciso antidoto naturale in grado di aiutare tutti gli uomini a vivere non come “il rivo strozzato che gorgoglia”, o “l'incartocciarsi della foglia riarsa”, o “il cavallo stramazzato”, ma come “la statua nella sonnolenza / del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato”.
La poesia è una medicina semplice e, al contempo, delicata da usare quando si vuole liberare nel migliore dei modi i suoi principi terapeutici. Per farlo occorre crescere in consapevolezza altrimenti si rischia di confondere “l’indifferenza” che è un veleno, con la “Divina Indifferenza”, evocata da Montale, che invece è il rimedio al male di vivere. La parola farmaco, che deriva dal greco phàrmakon, significa sia veleno sia rimedio: la poesia è un farmaco naturale e semplice, che tutti hanno a disposizione, perché si compone delle stesse parole con cui comunichiamo quotidianamente. Ma appena condensiamo tutto di noi stessi sulla punta della lingua per dire ciò che non abbiamo mai avuto la forza di dire, oppure stringiamo tra l’indice e il pollice la penna per scrivere una poesia ecco che, come ha ben detto nei suoi versi Seamus Heaney, quella penna diventa la nostra vanga per scavare e scoprirci. Quelle due dita e la penna diventano un unico piccone per scavare nelle miniere più profonde di noi stessi e trovare i nostri filoni d’oro. Il non detto, che fa male ma cura, si stacca dal fondale dei nostri più oscuri abissi e risale a galla come un rimedio evacuante, una sostanza che libera l’essere umano dal dolore, dal disagio, dalla disarmonia, ripristinando in lui le perdute condizioni di equilibrio e salute o armonizzandone di nuove.
Va ricordato che il termine greco pharmacòs indicava la vittima espiatoria immolata per liberare da ogni male la città o la comunità. La poesia terapeutica non è certo “una vittima espiatoria da immolare” ma di sicuro ha il potere di liberare il nostro essere da qualcosa che lo avvelena, o quantomeno, lo intossica.
Questo terzo numero di Poetry Therapy Italia e il prossimo, in uscita a febbraio, s’interrogano e pongono il focus su quale debba essere la formazione del poetaterapeuta italiano. Questo impegno profuso su due numeri testimonia quanto il gruppo di ricerca di Mille Gru sia sensibile al problema del praticare poesiaterapia nella massima consapevolezza.
In questo numero di novembre rispondono a questo interrogativo tre delle massime esperte di poesiaterapia italiane: Antonella Zagaroli, Marisa Brecciaroli e Leonora Cupane, le quali attraverso un articolo sostanzioso e le conferenze del nostro progetto “Anticorpi poetici”, disegnano percorsi, proiettano visioni sulla base di solide teorie e mettono in guardia da problematiche che bisogna affrontare con estrema lucidità. Tanto più in questo nostro tempo di pandemia è necessario, per evitare gli effetti collaterali della poesiaterapia, “leggere attentamente le istruzioni d’uso”.
Wallace, sempre nel discorso al Kenyon college, dice che il valore reale di una vera istruzione
non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: Questa è acqua, questa è acqua.
La poesia fa bene come l’acqua: è semplice come l’acqua, si versa come l’acqua, si beve come l’acqua, ci purifica come l’acqua. La poesia è l’acqua dello spirito. Ma anche l’acqua più salutare, per restare tale, va assimilata nel giusto dosaggio e se bevuta in gruppo – come spesso accade nelle pratiche di poesiaterapia – nella giusta condivisione.
Anche per questa ragione, sottotraccia, con l’uscita dei numeri di “Poetry Therapy Italia” stiamo lavorando affinché questa arteterapia abbia finalmente un lessico e un glossario comuni. Si tratta di un lavoro in Italia mai fatto, ancora in essere, le cui basi sono state gettate con la traduzione di Poetry Therapy. Teoria e pratica di Nicholas Mazza.
Almeno sulle parole principali, sgombriamo quindi una volta per tutte il campo dalle incertezze e diciamo, seguendo il seminato dei vocaboli già impiegati in Italia per le altre arti terapie, che i termini corretti per designare l’arte e il terapeuta di questa disciplina sono poesiaterapia e poetaterapeuta, scritti in un’unica parola. E utilizziamo il termine poesiaterapia per indicare quest’arte terapeutica in generale e nello specifico in Italia, mentre adottiamo il termine poetry therapy, per indicare sia quella poesiaterapia di matrice americana o anglosassone, sia per riferirci alla poesiaterapia in senso internazionale. La redazione di questa rivista, pur amando molto la parola italiana poesiaterapia, ha optato per il termine poetry therapy perché meglio restituisce il respiro internazionale che vorremmo avessero sia la rivista, sia PoesiaPresente LAB, il luogo dove stiamo realizzando il nostro sogno di una Scuola di Poetry Therapy.
(video realizzati da Matteo Andrian, disegni di Dome Bulfaro)
Dome Bulfaro (1971), poeta, esperto di poesiaterapia, si dedica alla poesia (di cui sente un servitore) ogni giorno dell’anno. È tra i più attivi e decisivi nel divulgare e promuovere la poesia performativa; ed è il principale divulgatore in Italia della poetry therapy/poesiaterapia. Dal 2021 è docente di Poesiaterapia e Lettura espressiva poetica presso l’Università degli Studi di Verona, nel pionieristico Master in Biblioterapia. Nel 2013 ha ideato e fondato con C. Sinicco e M. Ponte la LIPS - Lega Italiana Poetry slam. Nel 2023, ha ideato e fondato con M. Dalla Valle. P. M. Manzalini e I. Monge la BIPO - Associazione Italiana Biblioterapia e Poesiaterapia, prima associazione di categoria. Ha fondato e dirige Poetry therapy Italia (2020), rivista di riferimento della Poesiaterapia italiana. Ha fondato e dirige (con Simona Cesana) PoesiaPresente – Scuola di Poesia (2020) performativa, scrittura poetica e poesiaterapia. www.domebulfaro.com
(Foto Dino Ignani)
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